Dal 24 gennaio si pensa al Quirinale … in una grande confusione – di Giancarlo Infante

Dal 24 gennaio si pensa al Quirinale … in una grande confusione – di Giancarlo Infante

Alle ore 15:00 del 24 gennaio le Camere si riuniranno per procedere all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Il tutto avverrà alla luce del tramonto della Seconda Repubblica e con un quadro politico caratterizzato da una notevole confusione. Inevitabile che la situazione concorra a rendere davvero incerto l’esito di un passaggio destinato ad avere una forte incidenza sul futuro del Paese. E non solo perché, con l’elezione del nuovo inquilino del Quirinale, si potrebbe determinare anche un cambio di quella “forzata” maggioranza di cui il Presidente Mattarella si è fatto ostètrico nel momento più critico del diffondersi della pandemia.

Sembra certo poter dire che l’elezione, che sta richiamando già l’attenzione generale, giunge nella indeterminatezza più totale: a ben guardare, non ha molti paragoni con situazioni precedenti. Anche se non sono mancate elezioni lunghe e defatiganti. Per eleggere Giuseppe Saragat furono necessari 21 scrutini. Sette anni dopo, per Giovanni Leone, ce ne vollero addirittura due di più.

In queste ore, poi, alcuni si rifanno a quelle del 1978 di Sandro Pertini e del 1992 di Oscar Luigi Scalfaro. Entrambi eletti al sedicesimo scrutinio. Entrambi salirono al Quirinale con una convocazione  anticipata delle Camere a seguito delle dimissioni dei loro predecessori. Leone nel caso di Pertini e Cossiga in quello di Scalfaro.

La differenza tra le vicende dei giorni nostri e di alcuni di questi precedenti, però, ci sono e come. E sono da cogliere nel quadro generale, nella tenuta complessiva del sistema politico e dei partiti che, nelle pregresse occasioni cui si fa riferimento, era sostanzialmente forte, sia pure sottoposto a forti tensioni. L’elezione di Pertini avvennero nel pieno dell’attacco terroristico portato al cuore dello Stato capace di colpire molto duramente addirittura nella persona di Aldo Moro. Quel Moro che lo stesso Pertini si sentì in dovere di dire sarebbe stato naturalmente eletto al suo posto se non si fosse verificato l’eccidio di Via Fani e tutto quello che ne seguì. Pertini al Quirinale finì per assicurare la continuità del quadro politico, allora basato su di una forte maggioranza di centrosinistra, almeno numericamente parlando, ed anche sulla tenuta complessiva di quello che allora si chiamava l’Arco costituzionale.

Semmai, saranno le elezioni di Scalfaro ad inserirsi in un quadro di già più profonda evoluzione, ma dopo che le precedenti elezioni dell’aprile 1992 avevano fatto risultare ancora la Democrazia cristiana primo partito con il 29,66%. E’ come allora, semmai, che si può dire di essere nel pieno di un cambiamento. Con la differenza che quello di circa trent’anni fa doveva ancora essere consumato. Non a caso ci vollero ancora 24 mesi di tribolata legislatura prima che, con il cambiamento della legge elettorale, si abbandonasse il proporzionale puro e ci si consegnasse a quel “bipolarismo” che si è oggi in grado di definire il rimedio peggiore del male.

Il nuovo Presidente della Repubblica verrà eletto sulle ceneri di quelle che sono da considerare l’idea astratta della governabilità a scapito della rappresentatività reale di una intera società e della creazione di schieramenti forzati i quali, poi, mancando la tensione politica e la capacità programmatica, si decompongono in una miriade di posizioni pronte a ricomporsi strumentalmente solamente in occasioni di successivi appuntamenti elettorali.

Fondamentale, all’opposto di quello che accadde nel biennio ’92 -’94, si ripropone allora la necessità di individuare una legge elettorale destinata a formare un Parlamento davvero espressione dell’intero corpo sociale e in grado di ricostruire la relazione tra eletti ed elettori, mancando la quale ci si ritrova in una democrazia svuotata di sostanza e con parlamentari che rispondono solamente a chi li ha nominati.

Giancarlo Infante