La Carta costituzionale, la riforma dei partiti e della legge elettorale – di Domenico Galbiati

La Carta costituzionale, la riforma dei partiti e della legge elettorale – di Domenico Galbiati

Soprattutto quando stanno scritti in Costituzione, “pacta sunt servanda”. E la nostra Carta – il “patto” fondativo della nostra convivenza civile – definisce in modo limpido ed inequivocabile quali siano ruolo, poteri ed attribuzioni funzionali, rispettivamente, del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei Ministri. La Costituzione, peraltro, è – se così si può dire – “carne viva” dell’ Italia e degli italiani. Non il portato di una elaborazione fredda, dottrinale ed asettica, più o meno accademica, affidata ad esperti del settore. Nasce, al contrario, dalla sofferenza e dal sangue di tanti giovani – “ribelli per amore” – che hanno dato la vita per un ideale di riscatto umano e di libertà.

Rappresenta, ad un tempo, l’approdo, il presidio, la garanzia e la promessa di una libertà, che – vitalmente connessa alla giustizia – evoca ed esige, piuttosto che un opaco adattarsi al corso degli eventi, purché assicurino una vita passabilmente serena, il costante, personale, sofferto esercizio della propria singolare ed inalienabile capacità’ di giudizio critico.

Ogni frana prende le mosse da un piccolo smottamento che, a cascata, via via si autoalimenta. Anche, in quest’ottica non è accettabile che si immagini di mischiare malamente i “Palazzi”, attribuendo al Colle piu’ alto, funzioni di indirizzo del Governo che non gli competono, così da comprometterne e falsarne l’autorevolezza nelle quotidiane tensioni della politica corrente. A meno che, più o meno scientemente, si persegua o ci si adatti ad un disegno di umiliazione e di limitazione, studiata ad arte, del compito proprio delle istituzioni democratiche, così da liberare praterie offerte alle scorribande di altri soggetti ed altri poteri.

Questo modo di pensare tradisce una concezione accomodante, pigra ed inerte dei principi costituzionali che non fa bene alla democrazia. Non ha alcun senso immaginare di risolvere una difficoltà contingente mettendo sotto schiaffo principi fondativi del nostro ordinamento democratico. Siamo entrati, del resto, in una stagione di preoccupante fragilità democratica, ma, in fondo, è comprensibile che il passaggio epocale che stiamo vivendo metta alla frusta ordinamenti, i quali, peraltro, pur concepiti in funzione di un contesto storico superato, permangono essenziali anche per i nostri giorni.

Non è storicamente data alcuna esperienza di effettivo valore democratico che, pur con forme e procedure differenti, non sia fondata sulla piena e libera espressione della democrazia rappresentativa e parlamentare. La quale resta il fondamento ineludibile di quella democrazia del tempo post-moderno che – dopo quella degli antichi e dei moderni – tocca alle nostre generazioni costruire. Ci si può illudere che vi siano scorciatoie nel breve momento, ma tutto ciò che limita ed umilia la rappresentanza, di fatto ferisce la governabilità, per quanto sia in nome di quest’ultima che, a costo di torcere la lettera e lo spirito del dettato costituzionale, si vanno proponendo prospettive che aprono a soluzioni “presidenzialiste” o giù di lì.

Vi sono ambienti – e questo avviene significativamente dall’una e dall’altra parte dello schieramento politico – che, pur concedendo la buona fede, sembrano ritenere che la democrazia, per difendere e sostenere le sue buone ragioni, debba accettare un certo ridimensionamento del suo ruolo. Si invocano le parole magiche della “semplificazione” o del “decisionismo” o della “centralizzazione” di fatto del potere, in nome di un “efficientismo” che si vorrebbe modellare secondo criteri desunti dalla cultura aziendalista. La quale poco o nulla ha a che vedere con la effettiva possibilità di governare un contesto civile articolato e plurale, colmo di voci, tendenze, istanze che si intrecciano e si sovrappongono trasmettendo l’impressione di un groviglio inestricabile, che vien voglia di troncare di netto ed, invece, rappresenta una straordinaria ricchezza.

Si tratta di linee di pensiero che, comunque la si giri, evocano, ben che vada, una interpretazione, per dirla benevolmente, “leaderistica” della sovranità, almeno nelle forme di una delega fiduciaria e cieca che il popolo – unico titolare di tale sovranità – concede al “capo carismatico” di giornata. E’ un po’ come se, nella migliore delle ipotesi, fossimo sempre in attesa di una soluzione, per dirla in gergo, di stampo “gollista”, sia pure in salsa nostrana.
Insomma, di chi si prenda il Paese sulle spalle e ci liberi dalla faticosa incombenza di esercitare a pieno, quotidianamente, la nostra autonomia di giudizio. In effetti, dobbiamo, al contrario, essere consapevoli che quanto più una società è complessa, tanto più è governabile solo se fatta di persone libere ed orgogliose della responsabilità che dalla loro libertà deriva.

Che chi afferma che soffriamo, addirittura, di un eccesso di libertà. E se, invece, fosse vero il contrario? Ad ogni modo, questa premessa ha a che vedere anche con il momento politico che stiamo vivendo nel nostro Paese.
Infatti, il nodo politico-istituzionale che il Parlamento è chiamato ad affrontare con la elezione del nuovo Presidente della Repubblica e le conseguenti ricadute sulla governabilità del Paese, in vista della prossima consultazione politica generale, induce taluni esponenti politici, sia pure di diversa appartenenza, ad avanzare ipotesi di soluzione che alludono, sia pure in prospettiva, ad una sostanziale alterazione del dettato costituzionale, suggerendo percorsi che, di fatto, potrebbero avviare una involuzione “presidenzialista” del nostro ordinamento democratico.
Dall’una e dall’altra parte – significativamente da ambedue le aree dello schieramento politico “bipolare” – viene, dunque, sia pure ancora cautamente, suggerita una forzatura interpretativa diretta ad introdurre una prassi che affianchi alla Costituzione così come formalmente scritta, una sorta di “costituzione materiale” diversamente orientata.

Si tratta, evidentemente, della attualizzazione, apparentemente occasionale, di una linea di pensiero che, non da oggi, sta nelle corde di ambiti della società italiana che, pur non essendo riconducibili a quelle lontane radici, evocano argomenti o suggestioni che, in altre stagioni, hanno seriamente cercato di compromettere la tenuta democratica e costituzionale del nostro ordinamento. Siamo ad un transito difficile della nostra esperienza democratica, esposti al rischio che la crescente disaffezione dei cittadini, attestata dal forte astensionismo elettorale, apra pericolosi varchi verso soluzioni istituzionali lontane dalla lettera e dallo spirito della Costituzione repubblicana, incardinata sulla centralità del Parlamento e della democrazia rappresentativa.

Come se si volesse minare e contravvenire alla fedeltà costituzionale degli italiani, più volte coralmente ribadita, aggirandone i pronunciamenti referendari attraverso elitarie operazioni di palazzo. Non a caso, peraltro, l’ invocato superamento della democrazia rappresentativa, a favore di criteri e modalità di presunta democrazia diretta, ha fortemente concorso allo sviluppo di una attitudine populista e demagogica che, a dimostrazione dell’errore di fondo su cui si regge, giunge, infine, ad approdi del tutto contraddittori rispetto all’ assunto originario.

Per parte nostra, ci auguriamo che un vasto movimento di opinione apertamente solleciti, anzi esiga lo sviluppo e l’ arricchimento della democrazia rappresentativa e parlamentare, unica forma di ordinamento storicamente capace di garantire gli spazi necessari ad una piena affermazione delle libertà civili e sociali.

Legge elettorale proporzionale, applicazione dell’articolo 49 della Costituzione, riscoperta delle autonomie locali e funzionali, nuova valorizzazione dei corpi intermedi, congiuntamente, sono momenti privilegiati e necessari di questo itinerario.

Domenico Galbiati