La lunga marcia… alla Rai di via Teulada – di Giuseppe Careri

La lunga marcia… alla Rai di via Teulada – di Giuseppe Careri

Ero stato appena assunto al Telegiornale della Rai, dopo aver superato un duro concorso per montatori a cui parteciparono centinaia di giovani. Ero emozionato al pensiero di lavorare con giornalisti famosi che conoscevo solo attraverso lo schermo della giovane TV.

Allora il Direttore dell’unico Tg era Fabiano Fabiani, uomo duro ma con grande competenza manageriale e giornalistica. Segretario di Redazione Emilio Rossi, un signore gracile, gentile, apparentemente mite, in realtà forte come una quercia.

C’erano poi i grandi inviati, Sergio Zavoli, Furio Colombo, Piero Angela, Andrea Barbato e il mitico Ruggero Orlando. Infine tanti giornalisti che, come si usava dire, facevano “la cucina  e si occupavano dei servizi UPI e Visnews che venivano dalle altre televisioni estere.

Tra questi giovani giornalisti, siamo nel 1966, ricordo un giovane serio, impegnato, battagliero, idealista, che indossava sempre gli occhiali e i baffi come se li avesse avuti sin dalla nascita. Mi piaceva perché era coraggioso, ma soprattutto perché era leale. Sempre. In ogni occasione. Convinceva i suoi interlocutori con il ragionamento, le idee, il confronto, mai con la prevaricazione. Era comunista, ed era fiero di esserlo. Ricordava molto mio suocero che aveva una fede, quasi religiosa, per il comunismo, per Togliatti, Pajetta, Ingrao.

Roberto Morrione faceva propaganda per il PCI di allora, con il volantinaggio davanti ai cancelli della Rai, delle fabbriche, nelle piazze. A bordo di una vecchia auto scoperta e con un megafono in mano denunciava i dirigenti della Rai di faziosità, di censura, di propaganda democristiana, girando ore e ore intorno al Centro di Produzione di Via Teulada all’epoca cuore della produzione della Rai.

Giornalisti, tecnici e impiegati lo osservavano dal quinto piano della nostra palazzina dove c’erano gli studi televisivi, le sale di montaggio e le redazioni. Commentavamo e discutevamo sulle iniziative di questo giovane serio, educato, ironico, per certi versi allegro, che in quel modo sosteneva una battaglia per la democrazia che molti di noi non capivamo e, forse, non condividevamo. In quegli anni parlare di politica era quasi un azzardo. In realtà c’era molto opportunismo, e ancora più grave, molta autocensura.

I miei capi, addirittura, non volevano che Roberto Morrione, giornalista comunista, facesse discorsi politici, questi “comizi”, nelle nostre salette di montaggio.

Dopo il terremoto di Gibellina e di Tuscania montai con Roberto due bellissimi servizi. Nel servizio sulla Sicilia intervistò due sindaci, un democristiano e l’altro comunista che denunciavano i ritardi della ricostruzione, con intere famiglie, donne, vecchi, bambini, costrette a vivere nelle tendopoli, con l’umidità, il freddo, il fango. Nel 1968 fui mandato in Sicilia insieme a giornalisti, operatori, montatori, tecnici. Per la prima volta mi resi conto della morte, della paura, della miseria ma anche della dignità della povere gente. Interi paesi rasi al suolo, case distrutte, morti, feriti, gente disperata che aveva perso la casa e tutti i suoi beni.

Pianse l’operatore Tonino Bucci quando riprese le immagini della bambina estratta ancora viva dalle macerie dai vigili del fuoco. Piangemmo tutti quando la bambina adottata da Zavoli morì alcuni giorni dopo.

Avevano paura il povero giornalista Enzo Aprea e il suo operatore Matteo Marsala quando tremanti per il movimento tellurico giravano un servizio durante una scossa di terremoto. Avevamo paura anche noi quando montando i servizi in sede o nel pullman parcheggiati in piazza sentivamo questi enormi boati. La sera, per distrarci dalla paura e dalla desolazion. I giornalisti Pogliotti e Aprea ci cantavano delle canzoni accompagnati da una chitarra. Quando montai il servizio di Morrione sul terremoto di Gibellina rividi quelle scene strazianti della gente che piangeva, urlava, si disperava di aver perduto affetti, casa, quel poco che possedevano. Inconcepibile, all’epoca, che si trasmettessero quelle denunce, che si mostrassero quelle immagini, quei volti, quelle rovine, quell’abbandono.

Prima della trasmissione, vennero a vedere il servizio in tanti, il Capo redattore, il vice direttore, il direttore Willy De Luca, il Direttore Generale Ettore Bernabei. Roberto Morrione difese con coraggio il servizio e le interviste ai due sindaci uniti in quel caso dalla disperazione. Discussioni, censure, lotte, compromessi.

In quegli stessi anni ci fu poi il sogno infranto della primavera di Praga invasa dai russi, le lotte dell’autunno caldo, la bomba fascista di Piazza Fontana, i referendum in favore del divorzio e l’aborto, la storica vittoria dell’Italia a Città del Messico sulla Germania. Quanti avvenimenti, alleanze, gioie, dolori.

E’ in arrivo l’era Craxiana. Nuovi arrivi, nuove assunzioni, carriere folgoranti soprattutto da parte di giornalisti dell’area di Governo. Saranno dieci anni e oltre di ininterrotto potere socialista e democristiano. E’ il momento dei socialisti rampanti che occupano i principali posti di potere in Rai e nella società.

Cambiano i valori, il potere è in mano a pochi fedeli, molti si sentono emarginati, delusi, scontenti del proprio ruolo. Noto una certa stanchezza anche in Roberto Morrione, allora Capo Servizio della Cronaca del Tg1 dopo la riforma. Roberto, però, continua a lavorare con la consueta serietà, con determinazione, con impegno. E’ un esempio anche per i giovani.

Negli anni settanta le Brigate Rosse, rapiscono e uccidono Aldo Moro. La gente ha paura, smarrita, ha pochi riferimenti. In Rai lavoriamo molto, con impegno ma anche con angoscia. Le Brigate Rosse imperversano, gambizzano giornalisti, uccidono dirigenti d’azienda e Magistrati; sparano anche al nostro Direttore, Emilio Rossi nominato da pochi mesi alla guida del TG1. Subirà tante operazioni ma rimarrà claudicante per il resto della sua vita.

Trascorrono altri dieci anni di intensi avvenimenti, la strage di Bologna, il terremoto in Irpinia, la morte del Generale Dalla Chiesa e di sua moglie che mi procurarono un fortissimo dolore e un certo smarrimento. In questi dieci anni nuove tecnologie avanzano nel mondo del lavoro televisivo. Il nastro video magnetico sostituisce il filmato. E’ una rivoluzione, ma è solo l’inizio. Il nuovo sistema modificherà e arricchirà il sistema di montaggio e di ripresa televisiva. Alcuni non ce la fanno.

Ritrovo Morrione a Capo della Cronaca. Fa un lavoro straordinario. Segue tutti gli avvenimenti, dalla cronaca nera, alla giudiziaria, la mafia, la camorra, la medicina. Valorizza giovani redattori, dà loro suggerimenti, consigli, è un esempio di professionalità, impegno, serietà. Ho l’impressione che Nuccio Fava, allora Direttore del Tg1, lo lasci lavorare in autonomia ricavando il meglio da un Capo Cronista così preparato. Fa largo uso d’inchieste a partire da quella di Ustica. La lunga marcia per arrivare a un modo di lavorare diverso era quasi conclusa. Il Cronista Morrione poteva finalmente lavorare come sapeva, in libertà, senza le censure che avevano contraddistinto il passato. Un premio alla sua tenacia, a trent’anni di lotte, di successi, sconfitte, gioie, dolori.

I telegiornali si trasferiscono a Saxa Rubra. La nuova sede non porta bene a Roberto Morrione. Direttore del Tg1 diventa Bruno Vespa, mio amico, e bravo professionista. A Saxa Rubra la difficile convivenza tra il nuovo Direttore e Morrione era evidente a tutti. C’era assoluta incompatibilità tra questi due cavalli di razza. Non entro nel merito. Morrione andò via dal Tg1 ed emigrò al Tg3 dove per diverso tempo curò delle memorabili copertine nel Telekabul del bravissimo direttore Sandro Curzi. Ricordo che un giorno me ne parlò con orgoglio, contento di aver “inventato” una formula che si era rivelata una scelta giusta.

In quegli anni la Direzione del nuovo supporto mi fa la proposta per la nomina a Dirigente dei mezzi di Produzione dei tre Telegiornali e di Rai News. Il Direttore Generale Pasquarelli la boccia. Il mio Direttore, Bruno D’Aste, mi comunica che la proposta non è stata accettata perché tutte le caselle sono “colorate” ed io non ho colore. Gli scrivo una lettera in cui gli comunico che per tanti anni non mi ero iscritto a nessun partito e che non lo avrei fatto certamente adesso all’età di 50 anni. Per i politici era meglio un dirigente “schierato” che non aveva mai visto una sala montaggio, o cosa fosse un collegamento, una stazione satellitare, un duplex.

Quando i “Professori” decisero di silurare Sandro Curzi, tutti fummo convinti che il naturale sostituto fosse Roberto Morrione. Ci sbagliammo. Fu nominato Andrea Giubilo, un uomo triste ma bravo, ma che in passato non credo avesse mai realizzato servizi televisivi.

Roberto conosce bene l’azienda, sa che le sue delusioni non sono finite. Per ragioni di opportunità si trasferisce al Tg2 guidato da Garimberti. Ho partecipato a qualche riunione insieme a Roberto. Solita grinta, solida preparazione. Poco dopo essere stato nominato Direttore di Televideo, viene però rimosso dalla Moratti che lo emargina e umilia in una stanzetta della palazzina A, con una sedia, una scrivania, un posacenere che continuamente gli portano via, e un televisore. Lo andai a trovare più volte in quel periodo, per chiedergli un consiglio su alcuni miei problemi di lavoro non risolti. Era depresso. Continuava a venire a Saxa tutti i giorni. Come se dovesse lavorare. In realtà stava combattendo una grande battaglia contro il “potere”, più feroce che in passato. Mi disse con orgoglio che non avrebbe chiesto nulla a nessuno. Nemmeno al PDS che forse lo avrebbe aiutato contro il sopruso che aveva subito. Lui che aveva sempre lavorato con impegno ora era costretto a stare fermo.

L’Ulivo è stata la sua rivincita. Quando ho saputo che avrebbe partecipato alle elezioni del 21 Aprile come Coordinatore dell’Ulivo, capii che quella sarebbe stata una mossa vincente che lo avrebbe ripagato di tante amarezze, delusioni, incongruenze, che pure lui conosceva bene, ma a cui, grazie a Dio, non si fa mai l’abitudine. L’ho rivisto la notte della vittoria dell’Ulivo al Palazzo dell’Esposizione. Bandiere, volti felici, applausi. Un quarto di luna ci osservava di lassù nella bella Piazza di Santi Apostoli. Un mio amico, Nello Lanzetta, ha le lacrime agli occhi. Si commuove. La lunga marcia, la lunga marcia di Roberto Morrione iniziata più di quarant’anni fa con un megafono a Via Teulada si era finalmente conclusa.

“A nuttata era passata”.

Giuseppe Careri