9 maggio 1978 le Br uccidono Aldo Moro. Un mistero insoluto – di Giuseppe Careri

9 maggio 1978 le Br uccidono Aldo Moro. Un mistero insoluto – di Giuseppe Careri

“Il Professore Franco Tritto?.. Si, chi parla?...Dovrebbe portare un’ultima ambasciata alla famiglia…. si, ma chi parla?…(sospiro) Brigate rosse!… Allora… Lei dovrà comunicare alla famiglia che troveranno il corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani… via??? via Caetani…è la seconda traversa a destra di via delle botteghe oscure… Va bene?… Si… Li  c’è una Renault 4 rossa”.

E’ la registrazione della drammatica telefonata delle BR a uno degli assistenti dell’Onorevole Aldo Moro da recapitare alla sua famiglia. E’ il 9 maggio del 1978, la Renault 4 rossa è parcheggiata tra la sede della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista. Nel bagagliaio c’è il corpo  del Presidente. E’ l’epilogo di una tragedia consumata 55 giorni prima, il 16 marzo 1978 quando un commando della Brigate Rosse irrompe a Via Fani uccidendo i cinque uomini della scorta. Moro viene rapito e portato in un luogo al momento sconosciuto.

Il 16 marzo era prevista la presentazione del quarto Governo Andreotti, appoggiato dall’esterno dal Partito Comunista di Berlinguer dopo l’accordo del Compromesso Storico deciso insieme al Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro.

Il dibattito della fiducia si svolse regolarmente con commozione e toni alterati da parte dei parlamentari sconvolti dall’agguato alla scorta e dal rapimento di Moro

L’agguato e il rapimento di Aldo Moro si svolge dieci anni dopo la strage fascista di Piazza Fontana alla Banca dell’Agricoltura di Milano e di numerosi attentati terroristici avvenuti nel corso di tutti gli anni 70. Si ricorderà che le indagini di Piazza Fontana furono indirizzate verso gli anarchici; fu arrestato Valpreda risultato poi estraneo alla strage; perse la vita misteriosamente l’anarchico Pinelli morto dopo un volo dal quarto piano della questura mentre veniva interrogato.

Piazza Fontana fu solo l’inizio. Seguirono le bombe sui treni; la rivolta di Reggio Calabria al grido “boia chi molla”; viene assassinato il Commissario Calabresi, responsabile secondo Lotta Continua, della morte di Pinelli; le BR rapiscono un dirigente dell’Alfa Romeo e il direttore del Personale della Fiat Ettore Amerio. A Genova viene rapito dalle Brigate Rosse il Giudice Sossi.

A Brescia, Piazza della Loggia, durante una manifestazione sindacale scoppia una bomba che provoca la morte di 8 persone e di numerosi feriti gravi.

L’escalation della violenza viene alimentata sempre di più da fascisti e dal terrorismo delle Brigate Rosse.

Uno degli atti terroristici avviene sul treno Italicus all’uscita di una galleria a San Benedetto Val di Sambro; muoiono dodici persone innocenti. I mandanti e gli esecutori materiali, attribuiti alle trame nere, non saranno mai trovati.

I brigatisti rivolgono la loro azione terroristica contro i giornalisti, servi del padrone. Gambizzano Indro Montanelli, Carlo Casalegno, vice direttore della Stampa di Torino ed Emilio Rossi, Direttore del Tg1 dopo la riforma.

I brigatisti, dopo magistrati e giornalisti, mirano al cuore dello Stato. Dopo la clamorosa vittoria alle elezioni politiche del 1976 inizia un lungo percorso di avvicinamento tra la Balena Bianca, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. Gli attori principali sono il Segretario del PCI Enrico Berlinguer e il Presidente della Democrazia Italiana Aldo Moro. L’accordo prevede l’appoggio al nuovo Governo presieduto sempre dall’eterno Giulio Andreotti.

L’attacco al cuore dello Stato avviene proprio il giorno della presentazione del quarto Governo Andreotti, martedì 16 marzo 1978. Con lo stratagemma di un tamponamento alla macchina della scorta a Via Fani, il commando “militare” delle Brigate Rosse massacra cinque poveri poliziotti a difesa del Presidente della DC; Moro viene rapito. Trascorrono da questo momento ben 55 giorni di attesa. Il paese è sotto shock . Migliaia di giovani militari, poliziotti, carabinieri, finanza, sorvegliano ogni parte del territorio. Invano. Passano 55 giorni di speranza e di apprensione per la sorte del Presidente della Democrazia Cristiana. 55 giorni di controlli a tappeto nella speranza di ritrovare il rifugio dove è tenuto prigioniero Aldo Moro. Alcuni politici, tra cui Romano Prodi, fanno una seduta spiritica: esce per la prima volta il nome di Gradoli. Le indagini si spostano a Viterbo, al lago della Duchessa nei pressi di Gradoli; le ricerche dei sommozzatori non approdano a nulla.

Viene allora in mente una stradina di Roma Nord, Via Gradoli, un anello a senso unico di case affacciate a una enorme vallata. Dopo il sequestro di Moro, la stradina è presidiata da poliziotti in borghese e in divisa. La zona è abitata dalla borghesia romana. I militari controllano chi entra e chi esce dalla stradina. Controllano pure un appartamento al secondo piano di via Gradoli 96. La polizia bussa più volte; non risponde nessuno; rinunciano, vanno via. Controlli erano fatti anche in altri appartamenti della stessa zona vicino al numero 96; senza risultato; i giovani poliziotti, alcuni di 20 anni o poco più, entravano nella casa con il mitra imbracciato e la paura dipinta sul loro viso giovanile alle prese con un problema più grande di loro. Nessuno sa se Moro, in un primo momento, fosse stato portato, in questo piccolo appartamento. E’ probabile di si; come è probabile che qualcuno lo abbia anche intravisto; o che abbia incrociato il viso, per un momento, del suo carceriere, il brigatista Moretti. Mistero.

Mistero che forse nessuno potrà mai più saperlo. Sono passati 42 anni e i testimoni di Via Gradoli, pochi o tanti che siano, forse non ci sono più. O forse non ricordano.

E’ uno dei tanti misteri italiani rimasti insoluti.

Giuseppe Careri