La piaga sociale delle case pignorate. Intervista con avv. Patrizia Straccamore

La piaga sociale delle case pignorate. Intervista con avv. Patrizia Straccamore

La questione delle case pignorate e messe in vendita è diventata una vera e propria emergenza nazionale. “ Il sistema delineato dalla introduzione delle nuove leggi in materia non funziona”. Questa è l’opinione dell’avvocato di Roma, Patrizia Straccamore, che segue direttamente diverse procedure esecutive.

Il quadro che fa l’avvocatessa romana è preoccupante, soprattutto per tutte le conseguenze che la legge introdotta nel 2016 sta comportando per centinaia di migliaia di famiglie, già sfrattate o in procinto di essere sfrattate.

Abbiamo incontrato la legale per capire meglio il fenomeno e per valutare la portata di ciò che abbiamo illustrato nel nostro articolo pubblicato ieri ( CLICCA QUI ) su quella che si sta dimostrando un’autentica piaga sociale.

 

D ) Lei, avvocato, ha maturato un’importante esperienza in materia. Qual è la sua impressione come fenomeno sociale e per le conseguenze che sta avendo la questione  delle esecuzioni immobiliari? Sappiamo che in casi da lei trattati si è giunti a valori d’asta davvero ridicoli a fronte del valore del bene.

Sicuramente la crisi economica e immobiliare che si è abbattuta negli ultimi anni sul nostro paese, e non solo, è stata determinante. La perdita del lavoro e l’impossibilità di far fronte, fondamentalmente, al pagamento del mutuo, ha portato ad un incremento dei pignoramenti immobiliari. Nel 2017 in Italia  sono stati messi all’asta circa 642 immobili al giorno e oltre il 70% sono di categoria residenziale.

Ebbene, il sistema giustizia italiano risponde a questo fenomeno con norme spesso lacunose i cui effetti sono aberranti. Ricordo una procedura esecutiva iniziata nel lontano 2010, ad oggi ancora pendente, con immobile stimato a euro 2.300.000,00 e con prossima vendita a euro 183.500,00 (offerta minima euro 135.000,00); e ancora immobile valutato euro 1.500.000,00, liberato, prossima vendita a circa 400.000,00. Infine immobile valutato euro 590.000, prossima vendita a euro 135.000,00 e offerta minima a 103.000,00.

E’ evidente che il sistema, così come articolato, non funziona.

 

D ) Le nuove norme hanno rivoluzionato le procedure: da avvocato, ci vede qualcosa di buono? Quali le modifiche che lei proporrebbe? Non si è sbilanciato troppo l’equilibrio tra creditore e debitore?

L’entrata in vigore del decreto banche D.L. 59 del 3.05.2016 ha inciso parzialmente sul codice di rito continuando, a mio avviso, ad ignorare alcuni aspetti essenziali quali il numero massimo di vendite esperibili e l’ordine di liberazione. E’ chiaro che garantire il diritto del creditore al recupero delle proprie somme non vuol dire depauperare quello che spesso è l’unico patrimonio del debitore (la casa).

Allo stato, di fatto, vi è la possibilità di procedere alla vendita all’asta di un immobile ad oltranza senza la previsione di alcun limite minimo e così, il debitore resta non solo senza casa ma ancora in debito!

In realtà vi sono delle norme che, se applicate efficacemente, limiterebbero tale deriva.

L’art. 164-bis disp. att. c.p.c., ad esempio, permette la chiusura anticipata del processo esecutivo laddove la sua prosecuzione appaia antieconomica. Ovviamente la sua applicazione, assai rara, richiede una opportuna analisi fondata sul valore del bene, sugli esiti delle vendite, sulle visite effettuate, sullo stato dell’immobile che spesso, in corso di esecuzione, peggiora diventando inappetibile ai più.

Avrebbe, forse, dovuto venire in soccorso l’art. 591, secondo comma, c.p.c., così come modificato dall’art. 13, comma 1, lett. bb), n. 3), del D.L. 83/2015, permettendo al Giudice dell’Esecuzione  di fissare “un prezzo base inferiore al precedente fino al limite di un quarto e, dopo il quarto tentativo di vendita andato deserto, fino al limite della metà”. Di fatto, tale articolo, però, non impone alcun limite. Il Giudice può, ad un certo punto, incidere sui ribassi ma non sul numero delle vendite.

Infine l’ 11.10.2017 sono state deliberate dal CSM le  “Linee guida in materia di buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari” che, richiamando un’applicazione delle norme alla luce del buon senso, evidenziano in particolare la necessità sì di soddisfare l’interesse creditorio, ma altresì di garantire il patrimonio del debitore senza svilire il prezzo del suo immobile, il tutto nel rispetto di un tempo congruo che non alimenti, oltretutto, il prodursi di spese di procedura spesso assai consistenti.

E poi abbiamo la spada di Damocle dell’”ordine di liberazione” che impone al debitore di lasciare la propria casa quando ancora non vi è stata neppure l’aggiudicazione!

E’ evidente che, stante la fumosità delle disposizioni, ogni Giudice gode di una buona dose di discrezionalità come emerge dalle disomogenee pronunce dei vari Tribunali. Fissare un numero massimo di vendite, nel rispetto del principio di proporzionalità del valore dell’immobile unitamente a quello dell’esposizione debitoria, sarebbe un buon inizio affinché gli interessi di entrambe le parti- creditrice e debitrice- possano, in qualche modo, trovare soddisfacimento. L’ordine di liberazione, poi, a mio avviso dovrebbe essere disposto tutt’al più al momento dell’aggiudicazione e non prima.

Infine, renderei più snello ed accessibile il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento (L. 3/2012, così come modificata dal D.L. 179/2012), il cui scopo è quello di aiutare il debitore ad individuare ed attuare il giusto strumento per la sua esdebitazione (accordo con i creditore o attuazione del “piano del consumatore” o liquidazione del patrimonio).

D) Esiste il problema del recepimento da parte dei nostri magistrati delle norme europee in materia di diritto al domicilio e di lotta alla presenza di clausole abusive nei contratti che cozzano con la tutela del consumatore. Un mondo sconosciuto per i nostri tribunali?

Certamente. La Corte di Giustizia Europea, sent. del 10.09.2014 III Sez. Causa C-34/13 ha sottolineato l’esigenza e l’opportunità per i giudici di emettere dei provvedimenti a tutela del diritto alla conservazione della propria casa ricordando l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea “Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”. Diritto all’abitazione che non può trovare un limite nell’interesse economico del creditore. La predetta sentenza ha messo, altresì, un freno alle Banche laddove vi sia stata la sottoscrizione di c.d. clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori vietate dall’UE ai sensi della Direttiva n. 93/13/CEE. In tal caso essendo nulla l’ipoteca posta alla base del pignoramento immobiliare, il Giudice può bloccare la procedura esecutiva.

Insomma, questi principi dovrebbero essere alla base di ogni determinazione del Giudice, in particolar modo nel momento in cui decide, ad esempio, di ordinare la liberazione di un immobile, quasi sempre per una sua generica maggiore appetibilità.

D) Sappiamo di casi drammatici che lei ha affrontato seguendo clienti i quali, buttati fuori di casa già prima della vendita, hanno poi incontrato ulteriori difficoltà per salvare i loro beni, ottenere un contratto d’affitto, allacciare le utenze…

Esatto. La liberazione dell’immobile è ormai attuata ancor prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione, addirittura unitamente all’ordinanza di vendita in violazione dei principi di cui parlavo poc’anzi e in spregio ad ogni iniziativa di composizione bonaria in pendenza di procedura.

Ebbene, tale scelta ha un effetto deflagrante all’interno della vita del debitore il quale si ritrova improvvisamente a dover fare i conti con ulteriori problematiche.

Il debitore, infatti, e la sua famiglia (magari composta da bambini o ragazzi in età scolare, anziani o disabili) deve immediatamente, e spesso senza mezzi, trovare una nuova collocazione ed effettuare un trasloco.

E allora immaginiamo solo per un attimo i costi di tutto ciò (deposito della caparra, costi di agenzia, spese di trasloco e, spesso, di deposito) in un momento di evidente difficoltà economica il più delle volte acuita da stato di disoccupazione o di lavoro precario.

Ebbene, la prima difficoltà la ritroviamo già nell’individuazione di un immobile da locare. Le agenzie immobiliari, infatti, è ormai noto che effettuano controlli e verifiche sulla solvibilità del conduttore e suoi eventuali gravami rifiutando la richiesta. E allora, ecco che il primo ostacolo si può rivelare, addirittura, insormontabile (ad esempio un immobile gravato e cointestato ad entrambi i coniugi). Cosa fare? Impossibilitati ad ottenere un immobile in locazione il debitore e la famiglia sono costretti a trovare “rifugio” da parenti ed amici, il più delle volte separandosi. Cosa accade se non vi è alcuna rete sociale/parentale è di facile intuizione.

Si aggiunga poi che laddove si riesca a locare un immobile il problema si ripresenta con le utenze domestiche (energia elettrica, acqua, telefono). Ormai, infatti, la pendenza di una procedura esecutiva immobiliare può essere addirittura limitativa dell’intestazione di nuove utenze; va da sé che anche qui si richiede la presenza di altri soggetti disponibili all’intestazione (si legga, tendenzialmente, figli maggiorenni conviventi).

E’ evidente che vi è un corto circuito tra la norma, la sua discrezionale ma ormai, pressoché, univoca applicazione e la realtà cui il debitore deve far fronte.