Europa: cosa c’è in gioco – di Maurizio Cotta

Europa: cosa c’è in gioco – di Maurizio Cotta

Nella complessa configurazione istituzionale dell’Unione Europea le elezioni che si svolgono
tra pochi giorni non sono certo l’unico elemento che deciderà la capacità dell’Unione di
rispondere adeguatamente alle grandi sfide del momento. Gli orientamenti dei governi dei
paesi membri, che sono decisi dalle elezioni nazionali e che si riflettono sulla composizione
politica del Consiglio Europeo (dove siedono appunto i capi di governo), sono tuttora di
importanza primaria. Non si deve però sottovalutare il peso che avranno il Parlamento
Europeo e la sua maggioranza nella investitura del Presidente della Commissione e dei
commissari e poi nei prossimi cinque anni nell’attività legislativa della UE. Chi vuole
un’Europa più forte sa che il PE potrà dare un contributo importante.

Quali siano le sfide più importanti che abbiamo davanti come Unione e come stati membri
credo sia piuttosto chiaro:

1. La ricostruzione di un assetto di pace giusto e solido in Europa
dopo l’aggressione russa all’Ucraina e una più efficace capacità di presenza in altre aree
critiche del mondo (dal Medio Oriente all’Africa, all’Asia);

2. Una gestione risoluta ma insieme saggia delle politiche di contrasto al cambiamento climatico;

3. La promozione di uno sviluppo economico più rapido ma socialmente equilibrato in un continente come il
nostro che per tanti motivi cresce troppo lentamente.

Questo non vuol dire che non ci siano altri problemi rilevanti ma è prima di tutto sulla
capacità di rispondere a quelle tre sfide che si misurerà il successo dell’Unione. Ed è ben
chiaro che se anche qualche irresponsabile può scherzare con slogan come “più Italia, meno
Europa”, su quei tre fronti nessun paese europeo da solo potrà fare molto.

Se queste sono le sfide non di un domani lontano ma di un oggi che non aspetta, che cosa si
deve chiedere, anzi si deve fare per l’Europa? La prima cosa che ci si aspetta dalla classe
politica, ma anche dall’opinione pubblica è evidentemente quella di tenere ben ferma la
barra sulle priorità. E poi di focalizzare l’attenzione sugli strumenti necessari per avanzare sulla rotta con uno sguardo lungo ma anche con realismo e senza immaginare salti utopistici.

Per esempio questo può voler dire di fare tutto quello che è possibile anche con i trattati
vigenti o con correzioni parziali di questi senza aspettare la palingenesi di una nuova
costituzione europea. Le precedenti crisi ci hanno mostrato che l’Unione può fare molto
quando è presente una leadership dotata di visione e con la pazienza di costruire un ampio
consenso (ne sono buoni esempi la forte azione anticiclica e di contrasto alla crisi dei debiti
sovrani svolta dalla Banca Centrale Europea durante la crisi finanziaria e il Next Generation
EU nella crisi del COVID).

In vario modo tutte e tre le sfide citate richiedono, se non si vogliono accrescere le
divaricazioni interne tra gli stati membri sulla base della loro diversa disponibilità di spesa e
si vogliono ottenere dei risultati significativi, che l’Unione sia dotata di una capacità di
bilancio nettamente superiore a quella attuale. Una politica estera senza congrui
finanziamenti per la difesa, politiche climatiche senza massicci investimenti nelle nuove
tecnologie, e un rilancio dello sviluppo senza una politica industriale dotata di cospicue
risorse sarebbero sogni lontani dalla realtà. Se invece si vuole fare sul serio due passi sono
indispensabili: accettare su basi stabili (e non solo provvisorie come è stato con il Next
Generation EU) un debito europeo comune e accrescere le risorse proprie della UE con
nuove entrate fiscali comunitarie. Se non si persegue gradualmente ma decisamente questa
strada tutto resta a livello di chiacchiere.

Naturalmente questa strada richiede la costruzione di un largo consenso (e anche una buona
dose di scambi politici). Su alcuni aspetti una strada, anche se non ideale ma realistica, può
essere inizialmente quella di una “coalizione dei volenterosi” come avvenne in forme
istituzionali con la creazione del MES per aiutare i paesi con crisi del debito sovrano e come
sta già accadendo in maniera meno formalizzata per gli aiuti militari all’Ucraina. Purchè ci sia
la prospettiva di una progressiva incorporazione di queste soluzioni nell’assetto istituzionale
dell’Unione. Dai partiti e dai leader europei ci aspetteremmo qualche chiaro
pronunciamento su questi tremi almeno negli ultimi giorni di campagna elettorale.

2. Elezioni europee: quale Europa vogliono i partiti italiani al governo?

Le elezioni europee sono anche l’occasione per capire meglio come le forze di governo del nostro paese si pongono di fronte alle tre grandi sfide che l’Unione Europea si trova ad affrontare in questo momento (la guerra e la pace, le politiche del cambiamento climatico, lo sviluppo economico) e quale messaggio trasmettono al proprio elettorato.  Qualcuno naturalmente dirà che quello che si dice in campagna elettorale non viene poi necessariamente applicato una volta che le urne sono state rimesse negli armadi e vien il momento delle azioni concrete.

C’è sicuramente della verità in questo, ma non dobbiamo dimenticare che i politici con il loro discorso pubblico contribuiscono a educare/diseducare l’opinione pubblica e poi per retroazione ne vengono influenzati. Se per esempio si continua dire che l’Unione europea è causa dei nostri mali come si fa poi a convincere gli elettori che
si debbono accettare le decisioni prese a Bruxelles? Per il buon funzionamento della democrazia quello che vien detto nelle campagne elettorali non è dunque da sottovalutare.

Vediamo dunque che cosa dicono i partiti della attuale coalizione di governo che poi, attraverso la presenza della premier nel Consiglio Europeo, istituzione cruciale della UE, avranno un peso rilevante nelle scelte europee. Esaminando i programmi dei tre partiti – Lega, Fratelli d’Itala e Forza Italia – si resta innanzitutto colpiti dalla divergenza dei titoli di testa: “Più Italia meno Europa” della Lega, “l’Italia cambia l’Europa” di Fratelli d’Italia e “Con
noi al centro dell’Europa” di Forza Italia.

Da un’Europa che viene considerata un danno da ridurre per il paese, a un’Europa che stenta ad avere la sufficienza (ed avrebbe bisogno dell’Italia per superare la soglia) a un’Europa che invece ha un’immagine più positiva. I contenuti dei programmi confermano poi la sintesi dei titoli. Nel programma della Lega viene contestata la deriva accentratrice dell’Unione, si difende il voto all’unanimità e l’accento è messo prevalentemente su un roll back delle principali politiche europee degli ultimi anni nei settori della sostenibilità ambientale, delle regolazioni del mercato, delle politiche finanziarie, viste essenzialmente come ostacoli alla crescita e alle politiche nazionali (italiane). La Lega si oppone anche allo sviluppo di un esercito europeo.  Poiché però il programma chiede più aiuti per tecnologie innovative, agricoltura, pesca, difesa dei confini ed altri settori ci si chiede come questo sia possibile con meno Europa e senza dire nulla sul bilancio europeo.

Se passiamo a Fratelli d’Italia, cioè il partito più importante della coalizione, dopo l’affermazione di volere un’Europa “gigante politico con un ruolo da protagonista sullo scenario internazionale” si indica il “modello confederale” come quello da seguire. Un interessante ossimoro perché nessun modello confederale ha mai prodotto un gigante politico.

Cosa comporti veramente questa affermazione apre più di una perplessità, ulteriormente accresciuta nel momento in cui subito dopo si parla di “alleanza tra nazioni sovrane”. Poiché l’Unione Europea è ormai andata ben oltre questi modelli ci si chiede quale marcia indietro si intenda compiere. Per esempio, quando si parla delle competenze che
dovrebbero essere proprie di questa “alleanza” si inseriscono la difesa dei confini e la politica migratoria ma si dimenticano per strada la politica monetaria, la politica industriale (che tutti oggi auspicano), la politica della transizione ambientale, dell’innovazione tecnologica e digitale.

Se poi però si va avanti nel programma si trova che in tanti settori (industria, agricoltura, sanità, famiglia e natalità, crescita economica, indipendenza industriale, intelligenza artificiale, protezione dei confini, capacità di difesa, priorità all’Africa, fonti energetiche) si richiedono risorse europee. Anche qui nulla viene detto su come reperire
questi fondi: il tema del rafforzamento del bilancio europeo rimane del tutto assente.

Sbadatezza, incoerenza? O forse il piede in due staffe: la bandiera della confederazione e della lotta al super-stato per non perdere la patente di partito critico dell’Europa attuale, e poi il realismo (da non sbandierare troppo per non scoprirsi a destra) di chi sa che per affrontare i problemi maggiori del proprio paese la sovranità nazionale ha le gambe corte e si deve ricorrere alla solidarietà europea.

Forza Italia è l’unico dei tre partiti che rivendica con un certo orgoglio quello che è stato fatto finora dall’Unione, in quanto guidata dal Partito Popolare Europeo. E il programma punta al rafforzamento delle politiche europee in molti
settori, dalla politica estera e di sicurezza, alle politiche industriali, energetiche, della ricerca, familiari, sanitarie, agricole, di cooperazione con l’Africa.

Si ripete però ancora una volta il silenzio completo su come le risorse per queste attività possano essere sostenute: nuove risorse fiscali europee, debito comune? Nulla su questo. Si propone però l’introduzione del voto a maggioranza qualificata (siccome questo esiste già da tempo per molti ambiti dipolitiche – ma forse FI non lo sa – si dovrebbe parlare di estensione!) e poi il “premierato europeo”, cioè l’elezione popolare diretta di un Presidente dell’Unione che sostituisca il Presidente della Commissione e il Presidente del Consiglio Europeo.

I tre cavalli della troika governativa italiana tirano dunque in diverse direzioni sulle questioni europee fondamentali anche se magari vanno d’accordo nella difesa dei concessionari balneari dalle ingerenze europee. Nel Parlamento Europeo si divideranno, meno chiaro è quale sarà la posizione che l’Italia terrà nelle scelte importanti che si faranno nel Consiglio Europeo, dove Meloni dovrà fare una sintesi tra le posizioni dei partiti che la sostengono e
confrontarsi con gli altri capi di governo.

Maurizio Cotta