Diffamazione: la Nemesi
C’è una sorte di nemesi storica nel caso del giornalista campano Pasquale Napolitano, cronista politico e di giudiziaria per Il Giornale e del programma tv “Quarta repubblica“ condotto da Nicola Porro. E’ stato appena condannato a otto mesi di reclusione per diffamazione. E questo proprio nel pieno dell’impegno della maggioranza di governo, che trovano nei due giornali per cui egli collabora un quotidiano sostegno, nell’inasprire le condanne al carcere per il reato di diffamazione.
In realtà, la questione è molto più complessa di come la stanno facendo quelli di Fratelli d’Italia che un po’ su tutto rispondono a critiche e commenti con querele di ogni genere. E questo perché la Corte Costituzionale ha già dichiarato illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa proprio perché prevedeva il carcere e questo è, del resto, in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo. Corte, guarda caso, intervenuta proprio nel caso di un altro giornalista, Alessandro Sallusti, non tanto lontano dal centrodestra, condannando l’Italia perché al giornalista venne commutata un a pena detentiva, poi commutata dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La Corte costituzionale aveva dato un anno di tempo al Parlamento per modificare la legge, ma non se n’è fatto nulla. Anzi, c’è addirittura qualcuno che fa orecchie da mercante e pensa addirittura di inasprire le pene. Gente al di fuori dal mondo. Tra le tanti voci critiche si è levata quella dell’Ordine dei giornalisti che, stigmatizzando la condanna di Napolitano, ha definito le condanne dei giornalisti una vergogna nazionale e, attraverso il suo Presidente, Carlo Bartoli, ha ulteriormente precisato: “non si può però abolire il carcere e inasprire le pene pecuniarie colpendo, in particolare, i cronisti più deboli. Serve una riforma che tuteli la libertà di informazione, che non è una prerogativa dei giornalisti ma un diritto di tutti i cittadini e un architrave della democrazia”.
Ma c’è di più. Proprio ieri è stata resa nota la sentenza di assoluzione della professoressa Donatella Di Cesare denunciata dal ministro Lollobrigida perché nel corso di una trasmissione tv lo aveva detto: “La sostituzione etnica è un mito complottistico, è il cuore dell’hitlerismo, credo che le parole del ministro (Lollobrigida, appunto, ndr) non possano essere prese per uno scivolone, perché ha parlato da governatore neo-hitleriano”.
Vanno attese le motivazioni per una sentenza che dà ragione alla Di Cesare “perché il fatto non costituisce reato” e dopo la quale la professoressa ha comunque così chiosato “Mi preoccupa questa tendenza a criminalizzare il dissenso, le voci critiche. L’Italia democratica non merita questo”.