L’alleanza Usa Uk sull’Intelligenza Artficiale – di Giuseppe Sacco

L’alleanza Usa Uk sull’Intelligenza Artficiale – di Giuseppe Sacco

Il paese che per primo ha preso, all’inizio dello scorso mese di novembre, l’iniziativa di una riunione al massimo livello possibile – tanto per la competenza tecnica dei partecipanti quanto per il loro ruolo politico – finalizzata ad accertare i probabili rischi dell’Intelligenza Artificiale, e a valutarli in contrapposizione alle sue straordinarie e prevalentemente positive potenzialità, è stato, come i nostri lettori certamente ricordano, il Regno Unito.  Si trattò del summit di Bletchley Park, cui dette grande successo di immagine e risonanza mondiale il fatto che tale riunione avesse luogo negli stessi spazi fisici in cui durante la Seconda Guerra mondiale, aveva lavorato nientemeno che Alan Turing, il perseguitato – e in definitiva suicida – inventore del moderno computer.

E fu, quella presa allora dal premier Sunak, un’iniziativa alla quale ha subito fatto seguito un assai energico ed altrettanto ostentato impegno delle istituzioni di Bruxelles, cui Londra non ha ovviamente partecipato, per produrre – circa un mese dopo, il 9 Dicembre – il cosiddetto AI Act, la normativa europea che tende a disciplinare, nel Vecchio Continente questo nuovo ed inquietante settore dell’attività umana. E a disciplinarlo sulla base delle differenti categorie di rischio cui apparterrebbero le varie previste e presunte applicazioni di un corpus di conoscenze ancora largamente da acquisire.

Il AI Act non è ancora entrato in vigore, ma una volta che lo sarà costringerà chiunque nella UE sviluppi qualcosa di nuovo che implichi l’Intelligenza Artificiale alla più completa trasparenza relativamente ai possibili rischi. E a condividere con le autorità le informazioni sulla fonte dei dati usati durante le fasi di training. Un vincolo non irrilevante, e che cozza con la evidente tendenza alla riservatezza da parte delle aziende – in larga prevalenza americane, in primo luogo di OpenAI relativamente a Chat GPT – su tale materia.

La parola a un falso Biden

Nei giorni scorsi, infatti, la stessa OpenAI ha dichiarato che non renderà disponibile la sua più recente creazione, che consente di duplicare la voce umana. A dimostrare le ragioni di sicurezza alla base di questa decisione, la società di Sam Altman ha diffuso una riproduzione elettronica che imitava la voce del presidente Biden per trasmette un suo falso messaggio. Nel quale si sottolineava la maggiore importanza delle elezioni del prossimo novembre rispetto alle primarie, di fatto scoraggiando la partecipazione a queste ultime. Inutile dire quanto – in un anno elettorale particolarmente caldo ed anomalo per gli USA, come il 2024 –  questo caso abbia rinfocolato gli allarmi sulle possibili interferenze tra ulteriori sviluppi della AI e sistemi democratici.

La divaricazione tra l’approccio americano, in cui allo stato sono chiaramente le imprese e non le istituzioni politiche a poter dire “sic volo, sic jubeo”, e quello dei burocrati di Bruxelles, che intendono regolare come ciò dovrà avvenire nello spazio comunitario è cosi apparsa in piena evidenza.

In questo contesto, appena tre mesi dopo l’AI Act della UE, ai primissimi di aprile, è di nuovo l’Inghilterra a far parlare del suo attivismo “istituzionale” nel campo dell’Intelligenza Artificiale. Londra ha infatti preso una iniziativa che potrebbe essere ricordata in futuro come una pietra miliare nella storia ancora tutta da scrivere della cosiddetta AI, ed è apparsa puntare alla leadership in questo settore, tra coloro che hanno dei dubbi verso – o degli interessi contrastanti con – una stretta regolamentazione e, in prospettiva, una politica industriale dell’Europa continentale in questo settore.

Nei giorni di Pasqua, in cui l’opinione pubblica mondiale era concentrata sugli orrori delle due guerre in corso, Londra ha così firmato con gli Stati Uniti d’America un accordo di cooperazione che merita attenzione. Soprattutto per il metodo che di lavoro che esso preannuncia, e che prevede un approccio unitario nell’attività di sperimentazione e di risk assessment dei due paesi anglosassoni. Come ha notato il Financial Times – viene dopo anni in cui i governi di tutti, o quasi, i paesi avanzati si sono interrogati su come mettere in atto una più efficace regolamentazione dei rischi addirittura “esistenziali” che sono impliciti in alcune tecnologie militari, o almeno dual use, come i cosiddetti, bloweapons.

La geopolitica della AI

I due storici alleati sembrano però voler affrontare questa complessa e delicata materia con una metodologia meno rigida di quella che ha tenuto a battesimo l’AIAct. Una metodologia probabilmente più adatta all’ambizioso compito di testare e verificare non soltanto i rischi ipotizzati a Bletchley Parkma soprattutto quelli concreti che vengono, e sempre più verranno, via via emergendo con la trasformazione del boom mediatico cui ha dato luogo la comparsa di ChatGTP in vere e proprie attività di ricerca, e di iniziativa economica, o politico-militare. Nel quadro cioè di una “geopolitica della AI”, su cui si incominciano a delineare vari scenari, più o meno alternativi, ma sempre di portata assai significativa. E sui quali la convergenza che si delinea tra Londra e Washington non potrà non avere conseguenze da prendere in attenta considerazione.

L’accordo è stato firmato a Washington da due figure rappresentative del prevalente impegno pubblico del mondo femminile, cui corrisponde anche una presenza fortemente crescente delle donne in campi di studio e di attività (come l’ingegneria elettronica) un tempo prevalentemente considerati “maschili”. Sono state infatti  Michele Doreland, Ministra della scienza del Regno Unito e Gina Raimondo, Segretaria al commercio degli Stati Uniti d’America, a stabilire in primo luogo che i due governi creeranno un pool comune delle competenze di cui oggi essi dispongono in materia di sicurezza della AI.

Quali risorse tecno-scientifiche pubbliche i due partner metteranno in comune resta per il momento misterioso. Dato che, da parte britannica, l’Istituto per la Sicurezza dell’Intelligenza artificiale (AISI) è stato creato solo lo scorso novembre, dopo il Summit di Bletchley Park, mentre il suo equivalente americano è ancora in stato di progetto. Inna prima fase, è evidente che questa nuova istituzione pubblica bi-nazionale si ispirerà e si appoggerà a quelle che, tra una sponda e l’altra dell’Atlantico, già strettamente collaborano nel campo del controllo dell’informazione, della sicurezza e dell’intelligence.

Un’iniziativa ancora assai ipotetica, dunque. Eppure, un’iniziativa comune dei due paesi anglosassoni – che, come esplicitamente annunciato, rimane aperta alla possibile adesione di paesi culturalmente e politicamente affini – dovrà rapidamente assumere la consistenza e l’efficacia indispensabili per svolgere per svolgere un ruolo e per far fronte ad una necessità sempre più evidente, quella di gestire un vero e proprio rivoluzionamento delle tematiche e dei metodi non solo in campo tecnologico, ma anche – anzi soprattutto – nel campo della ricerca economica e sociale. E le relative conseguenze in campo politico. Campi che sono ormai quelli che vengono investiti in pieno, oggi che un cinquantennio e più di ricerca in campo scientifico-tecnico ha portato, con l’Intelligenza Artificiale, di cui abbiamo appena intravisto le prime conseguenze, ad uno straordinario cambiamento di paradigma.

Tra tecnologia e società

Nell’attuale contesto internazionale, caratterizzato dall’agonia della globalizzazione e dall’emergere di nuove linee di frattura – pericolosissime perché più irrazionalmente identitarie, che politico-ideologiche – è chiaramente inevitabile che questa nuova cooperazione tra i governi dei due paesi anglo-sassoni sarà fortemente impegnata dagli sviluppi tecnici e produttivi dell’Intelligenza Artificiale. E che i due governi si trovino a dover intervenire nei campi in cui tanto febbrilmente oggi si sperimenta nel settore privato. Che si riduce poi ad un piccolissimo numero di grandissimi interessi tecnico-mediatici. Tutti, peraltro, indiscutibilmente americani, tanto per origine e controllo, quanto come visione del mondo.

Analizzare questa cooperazione nel suo farsi sarà perciò di grandissimo interesse. E possibilmente anche fonte di ispirazione, specie in una fase in cui, il Regno Unito – portatore di una grande tradizione statuale, assai più forte di quella americana –  vive non solo una stagione di trasformazione degli equilibri tra le sue componenti interne, ma sembra anche alla vigilia di una svolta politica dissonante rispetto agli orientamenti oggi prevalenti nell’Europa continentale. E che potrà probabilmente affrontare con migliori disponibilità di strumenti e strategie di successo la sfida di una svolta storica in campo tecnologico e – ancora di più – in campo sociale.

Giuseppe Sacco