I politici e la lezione di Tommaso Moro, loro protettore

I politici e la lezione di Tommaso Moro, loro protettore

Il 26 luglio 1991, Francesco Cossiga, allora Presidente della Repubblica, in occasione del conferimento della laurea “honoris causa” in filosofia, da parte dell’ Accademia Internazionale di Filosofia del Liechtenstein, tenne un discorso – “Il potere e la coscienza” – che, di questi tempi, merita di essere ripreso e da cui è tratta questa citazione, di cui dovrebbe far tesoro, se mai ne fosse capace, la nostra attuale classe politica: “Anche se non bisogna sottovalutare la funzione educativa della legge, non bisogna neppure dimenticare che il legislatore deve forse stare un passo, ma solo un piccolo passo, davanti alla collettività, se davvero vuole governarla. Se si limita a stare in mezzo alla collettività e a registrare la coscienza che essa già ha, allora non governa, ma piuttosto è governato. Se sta due passi davanti alla collettività, invece di uno, e cerca di forzarla a camminare a un ritmo che la gente comune non comprende e non accetta, egualmente non governa, perché la gente non è in grado di seguire. Il politico dunque media tra l’ideale e le condizioni concrete della vita del suo popolo. Per fare questo, non e’ superfluo dirlo, deve amare il suo popolo; deve sentire la grandezza della dignità e della vocazione umana di ciascuno dei suoi membri nonostante i limiti e i difetti che deve conoscere, e riconoscere, anzitutto in se’ e poi con realismo, ma senza presunzioni, nei suoi concittadini. Il più piccolo frammento di valore incarnato nella vita di uomini reali vale assai più della più bella delle utopie contenute solo nei libri.

In secondo luogo, il politico deve possedere il dono della pazienza, dell’ironia e soprattutto della autoironia. Pazienza perché una vita basta appena – e solo se si ha fortuna ! – ad accompagnare il proprio popolo per un passo del cammino verso il bene; ironia per vedere con chiarezza e compatire le umane debolezze, soprattutto misurando le proprie e misurare serenamente e senza scoraggiarsi la distanza tra l’ideale e la realtà; autoironia, per non sopravvalutare né le proprie intenzioni ( anche i politici, anzi i politici più di ogni altro, sono esposti a tutte le umane tentazioni, anzi a queste in modo specifico!) né il proprio ruolo né i propri meriti: anzi, questi, sempreché li abbia, farà meglio a non considerarli affatto.

Se pur riesce a fare qualcosa di buono, ciò dipende in genere dal concordo di circostanza favorevoli, dall’opera di tanti, amici ed avversari e, in ultima istanza, dall’ opera misteriosa della Grazia di Dio”.

CV