La Croce, l’uomo, la pace – di Pasquale Pellegrini

La Croce, l’uomo, la pace – di Pasquale Pellegrini

La fede del cristiano è una grande scommessa che passa dal perseguire la via del dialogo e della giustizia per ottenere la vera pace di Dio, che altro non è che l’incontro col Signore che trasforma la vita di ciascuno Ai piedi della croce c’è il dolore umano, l’ombra dell’Ora Nona dopo il grido dell’abbandono della vita. L’umanità può fermarsi lì, in quell’ombra che nasconde ogni sprazzo di luce o salirvi per affrontare il nuovo della resurrezione.

Occorre scegliere, ma anche rischiare. Perché la fede non è mai una certezza, ma un atto di fiducia, di affidamento; per il cristiano è una grande scommessa che nel mistero della Pasqua ha il suo compimento più alto. Scommessa difficile perché impegna la vita e la coscienza, ma che reca in sé la prospettiva concreta della speranza costruita nella storia e nell’ordinarietà dei giorni. «Dio nei secoli ha affidato la sua speranza alla discrezione dell’ultimo dei peccatori», ha osservato Charles Peguy ne Il portico del mistero della seconda virtù. Dunque, a ciascuno, a ogni persona. Ma «la speranza – ricorda Giovanni Testori reclama non già facilità, ma fatica; reclama la virtù che sembra più contraria ai nostri tempi apparentemente così rapidi e vivi: cioè a dire la pazienza». Il nocciolo, dunque, è tutto qui: occorre perseverare nonostante il contesto sia gravato dal peso della morte e della paura e il mondo sia avvinto da una grande disperazione che rende gli uomini irrazionali, aggressivi, privi di una visione del futuro. È necessario, in altre parole, perseguire il dialogo e la giustizia, ossia percorrere la strada stretta che sa guardare nel fondo del cuore dell’uomo per riconoscerlo simile e fratello.

Non c’è alternativa, poiché nel cuore della Pasqua, e soprattutto di questa Pasqua, c’è il messaggio di Cristo: «Pace a voi». «La pace nella storia – ricorda, con Jürgen Moltmann, Fiorenzo Facchini su Luoghi dell’Infinito – non è una situazione, bensì un processo, non qualcosa che si possiede, ma una via che insieme si percorre. Pace non è assenza di violenza ma presenza di giustizia». Essa si coniuga indissolubilmente con la pace. Sono tra le beatitudini che meglio caratterizzano l’azione del cristiano. «La giustizia a cui allude Gesù – spiega il cardinal Gianfranco Ravasi sempre su Luoghi dell’Infinito – è la fedeltà operosa, integra e generosa del credente alla volontà divina che viene a noi rivelata da Cristo. È l’impegno dell’anima e della vita per far sì che il Regno di Dio si ramifichi nella storia trasformandola, rigenerandola, rendendola più vicina al progetto di pace e di giustizia voluta da Dio».

Entrando nella storia, Dio rompe l’isolamento dell’uomo, lo emenda dalle sue paure, lo riveste di dignità e di speranza. «Attraverso il suo Figlio – ricorda ancora Ravasi –, entra nelle strade della storia piene di violenza e oppressioni, nelle case dell’uomo segnate dal dolore, nel cuore di ogni persona colpita dalla prova per offrire la sua pace». Dunque essa è un segno dell’incontro di Dio con l’uomo; un segno di luce che trasfigura la storia e impegna ogni uomo.

Ne è convinto don Tonino Bello che ne Le mie notti insonni scrive: «La pace si costruisce sul ruvido tavolo del falegname come sul desco del contadino. Sulla cattedra dell’insegnante come sulla scrivania dell’impiegato. Sullo scanno dello scolaro come sulla mensola della casalinga. Sulla impalcatura del metalmeccanico come su ogni banco impoetico dove si consumano le più oscure fatiche giornaliere. E non è neanche fuori posto concludere che il vento della pace, più che i vertici occupati dai potenti, scuote le fertili bassure abitate dagli anonimi valligiani». Se la guerra tocca la vita delle persone, anche la pace non può che appartenere all’esperienza ordinaria di tutti. «La pace – aggiunge don Tonino – parte dal popolo e non dalle cancellerie. Dalle cancellerie semmai vi passa: ma per trovare le ratifiche, per ricevere il marchio di origine controllata. L’intelligenza diplomatica e la ragione fredda porteranno allora a compimento ciò che la profezia creativa, che fermenta nel popolo, ha già indicato». Tuttavia, per porsi sulla strada della pace e della giustizia, occorre uscire dall’ombra della morte che si proietta ai piedi della croce e guardare in alto  alla resurrezione. Lì si fondono le paure e le ragioni di tutti in un grande atto di amore che, trasfigurando la persona e la storia, dà alla speranza la prospettiva unica della comunione da coltivare. «Gesù – ha scritto Alda Merini in Corpo d’amore – è stato una grande catastrofe, ci ha avvicinati tutti l’uno all’altro». Rendendoci protagonisti di una umanità nuova.

Pasquale Pellegrini

Pubblicato su www.cittànuova.it