C’è qualcosa dopo la resa? – di Domenico Galbiati

C’è qualcosa dopo la resa? – di Domenico Galbiati

Gli sviluppi del confronto militare sul campo non favorevoli a Kiev, le elezioni europee ormai vicine, le presidenziali USA del prossimo novembre, la crescente indifferenza dell’ Occidente nei confronti del sostegno all’ Ucraina stanno portando la guerra, scatenata da Putin nel cuore dell’ Europa, ad un punto critico estremamente delicato, dagli esiti ancora incerti e, nella migliore delle ipotesi, comunque problematici per un’ Europa che non ha saputo tenere il banco in una vicenda che la riguarda talmente da vicino.

A tutto ciò si è aggiunta la recente presa di posizione di Papa Francesco che – peraltro, nel linguaggio discorsivo di una intervista a microfono aperto, non nella consueta, meditata solennità vaticana di un documento ufficiale e sia pure nella varietà delle differenti interpretazioni che ne sono stata date, anche di là’ dal Tevere – sembra suggerire che, purche’ si facciano tacere le armi, l’ Ucraina constati “motu proprio” di essere stata sconfitta sul campo ed acceda, su tale presupposto, ad una trattativa. La quale – necessariamente ne consegue – invocata in virtù di tale “resa”, per forza di cose non potrebbe far altro che accettare o meglio subire un brutale e pericoloso strappo inferto al diritto internazionale.

Si tratta di una tesi, allo stato dell’ arte, largamente opinabile e che, in ogni caso – è necessario esserne consapevoli – nulla ha a che vedere con la “pace”, tanto meno con quella pace “ giusta” che più volte, in quanto tale, lo stesso Presidente Mattarella ha più volte invocato. In altri termini, le parole del Papa evocano questioni, profili, domande già presenti nel discorso pubblico, ovviamente divenute assai più coinvolgenti e problematiche quando vi si riferisca il Pontefice romano, universalmente riconosciuto, anche da parte di molti non-credenti, come la più alta autorità morale al mondo. Le cui parole sono, pertanto, sovraccariche di responsabilità ed ogni volta
comprensibilmente soppesate, una per una, da chi le ascolta e le accoglie come pronunciamento moralmente impegnativo. Anche quando non rientrino, come in questo caso, nella sfera dogmatica dell’ infallibilità che concerne, invece, esclusivamente temi dottrinali attinenti la fede.

Ovviamente, la preoccupazione pastorale, sempre preminente nel pensiero di un Pontefice, non è di facile ed immediata composizione con la valutazione politica del corso degli eventi, cui sono responsabilmente tenuti soggetti politici ed istituzionali, che, pur quando fossero orientati a difendere e promuovere la coesistenza pacifica tra i popoli, purtroppo devono operare in contesti geo-politici che per niente favoriscono, quando pur vi fosse, una tale intenzione. Dobbiamo accettare che, in ultima e definitiva analisi, valgano solo i rapporti di forza, misurati sul campo, armi alla mano ? Oppure è ancora possibile invocare un principio superiore e di ordine morale, un principio di indipendenza e di solidarietà tra i popoli, di giustizia e di libertà, di rispetto dell’ identità, della storia, della dignità culturale di ogni popolo, un principio etico che presieda ai rapporti tra gli Stati ? E di cui pretendere espressamente – soprattutto in questo specifico caso, ove e’ di palmare evidenza chi sia l’ aggressore – il rispetto da parte di quest’ ultimo, in primo luogo?

Ma stanno poi davvero così le cose ? Anzitutto, non si può, in alcun modo, prescindere dall’ asimmetria, mai così palese come in questa occasione, tra aggressore ed aggredito. Né questa responsabilità può essere edulcorata, come avviene da parte di chi, in una sorta di mondo alla rovescia, risalendo il corso della storia fino alla presa della Crimea da parte di Putin ed anche più su, vorrebbe attribuire una qualche responsabilità politica e morale della cosiddetta “operazione speciale” alla stessa Ucraina. E, suo tramite, al mondo occidentale e pur sempre all’ America, l’ eterno bastian contrario, pur non espressamente dichiarato, ma detestato a prescindere, dai non pochi ospiti fissi di diversi “talk-show”. I quali sembrano dover pagare un necessario tributo a tesi francamente cervellotiche e comprensibili solo sulla base di un’ avversione pregiudiziale nei confronti degli Stati Uniti.

La tesi, ad esempio, francamente risibile, che questa sarebbe la guerra di Biden che gli ucraini combattono per procura. Cosicché, il popolo ucraino che difende la propria legittimità ad esistere pagando un immane sacrificio di vite umane, oltre che massacrato da Putin, finisce per essere vilipeso dai “putiniani” del nostro e degli altri Paesi occidentali. Detto altrimenti, e’ come se da un lato si sostenga giustamente come non possa esistere nessuna guerra giusta e dall’ altro si volesse concedere a Putin una qualche riserva di necessità bellica, nella misura in cui la Russia sarebbe minacciata da una NATO che avrebbe “abbaiato” ai suoi confini come, per la verità, ebbe a dire anche Papa Francesco all’ inizio del conflitto russo-ucraino. Bisognerebbe chiedere ai Paesi baltici, mitteleuropei e balcanici.

E’ possibile, è giusto e opportuno negare a Paesi schiacciati per ottant’ anni ed oltre sotto il tallone sovietico, la facoltà di decidere liberamente la loro collocazione nello scacchiere internazionale ? Come mai ad Estonia, Lituania, Lettonia non basta neppure la NATO e si sentono talmente esposte ed insicure da stringere tra loro un patto supplementare di mutua assistenza a tre ? Bisognerebbe chiedere a Svezia e Finlandia, Paesi notoriamente “guerrafondai”, come mai, allo scoppio della guerra mossa dalla Russia contro l’ Ucraina siano corse a cercare protezione sotto l’ ombrello difensivo euro-atlantico.

La guerra è condotta da Putin e dalla sua cricca di potere, secondo una inequivocabile mentalità criminale che, tradotta sul piano tattico e militare, si traduce in un sistematico, insistito, cinico e pervicace, ossessivo attacco – si noti bene – ancor prima che allo Stato, anzitutto al popolo ucraino ed alle strutture della quotidiana vita civile della popolazione. Non va sottovalutato, in sostanza , come la guerra scatenata da Putin sia rivolta, anzitutto, al fronte interno ucraino. Vorrebbe “spezzare le reni” alla tenuta morale, al sentimento di appartenenza di un popolo, in una sorta di genocidio morale di quella sua identità nazionale che va saldandosi con una passione democratica che gli ucraini non hanno mai potuto conoscere prima ed è avvertita come una provocazione ed una minaccia, posta al confine di un regime che, analogamente a quello sovietico, fonda la sua tenuta sul pugno di ferro e su una concezione criminale del potere, come dimostra, per altro verso, la brutta fine cui vanno incontro i dissidenti.

Una guerra feroce, disumana, dove non sono necessari almeno due attori, come sostiene il Papa guardando al conflitto israelo-palestinese. In Ucraina, Putin la guerra la fa da solo. L’ Ucraina, al contrario, è impegnata in una drammatica lotta di resistenza e di liberazione. Ora, per quanto non esistano guerre giuste, le lotte di liberazione – noi italiani ne sappiamo qualcosa – sono sempre “giuste” ed, anzi, doverose, per quanto comportino gravi sacrifici umani. E’ il popolo che la sostiene, non altri, a decidere fin dove spingere la propria lotta. Lotta che la comunità dei paesi liberi, se ha piena consapevolezza dei suoi valori e rispetto di se’, ha il dovere di sostenere, anche militarmente, fino in fondo.

Forse nella società liquida ed incerta in quanto ai valori morali, ammesso che li riconosca ancora, da porre a fondamento della propria identità, un argomento del genere può essere controverso, eppure va delibato con chiarezza in un senso o nell’ altro, poiché finisce per essere dirimente di un linguaggio e di un impegno comune.
Certo, la lotta armata è un’ evenienza terribile, eppure la nostra stessa Costituzione nasce da lì.

La Chiesa ha beatificato Teresio Olivelli che ha impugnato le armi nella resistenza con i suoi “Ribelli per amore”, ragazzi e giovani uomini, nel fiore degli anni, che sapevano come le ragioni, quelle vere, per cui vale la pena vivere siano le stesse per cui valga la pena morire. Ed è così anche per i popoli.

Del resto, ha davvero vinto Putin ? Certo può vincere sul piano del confronto bellico in virtù della soverchiante superiorità militare. Ed è purtroppo solo questo ciò che conta in una logica di potenza. Ma, a costo di essere ingenui, si può sostenere che l’ Ucraina la vince su due fronti. Sul quello civile e morale, grazie alla tenuta solidale di un popolo martirizzato che sta dando una prova esemplare e non potrebbe essere condannato neppure se davvero un giorno, al culmine di una sofferenza ininterrotta, dovesse davvero alzare “bandiera bianca”. Ed anche, qualunque cosa se ne dica, almeno fin qui, ha vinto, in certo qual modo, anche sul piano strategico e tecnico-militare, confinando il conflitto armato nel Donbass, laddove l’ ambizione di Putin era di ben altra natura e riguardava l’ Ucraina intera. Non a caso originariamente ha puntato direttamente sulla capitale, ma da Kiev è stato respinto.

Domenico Galbiati