La cortina di ferro e il negoziato

La cortina di ferro e il negoziato

Il 5 marzo del 1946 Winston Churchill coniò la famosa definizione la “cortina di ferro”. La fotografia di una condizione che avrebbe disegnato le cose del mondo per molti anni a seguire. Eppure, l’attività diplomatica non si fermò. Anzi, in taluni casi servì a superare crisi veramente difficili ed impegnative. E non ci fu solo quella della vicenda dei missili russi a Cuba.

Oggi ci risiamo anche se è di molto cambiato il mondo. E pure adesso non bisogna desistere dall’impegno diplomatico, come ha detto papa Francesco dal “negoziato”. Resi complessi dalla incomunicabilità tra le parti e dalle vicende sanguinose che questa incomunicabilità si porta dietro.

La “cortina di ferro” di allora non è la stessa di oggi.  Visto che la contrapposizione tra capitalismo e comunismo sembra quasi non valere più neppure per la Cina. O, almeno, il capitalismo occidentale per anni e anni, e ancora lo fa, e lo vorrebbe tornare a fare pienamente, ha dato vita ad una “globalizzazione” di cui uno dei principali assunti era costituito dall’utilizzazione dello sterminato impero asiatico, e di molte aree ad esso vicine, come un grande luogo di produzione a basso costo.

Molto è cambiato anche sotto il profilo militare o, come più pudicamente si ama dire, della “difesa”. Si cominciò tre anni dopo il discorso di Churchill a paventare lo spettro atomico, giacché anche la Russia condusse il suo primo esperimento atomico nell’agosto del 1949. La possibile distruzione di tutto il genere umano cominciò ad apparire come una prospettiva possibile. Ai nostri giorni, il suo tasso di certezza è più che consolidato.

Negli 82 anni che ci separano dall’innalzamento della “cortina di ferro”, il discorso sulla Pace si è arricchito di ulteriori contenuti. Ha cominciato a superare la dimensione della sola paura e dei “buoni sentimenti”. Individuando, ad esempio, la correlazione di molti conflitti con la mancanza, o il ritardo,  dello sviluppo e, quindi, con le disuguaglianze che ancora caratterizzano il nostro mondo.

Il concetto dello sviluppo, che, come ci ricorda spesso Stefano Zamagni, è cosa diversa dalla crescita, chiama in causa una intera visione del mondo. E richiede ai paesi più ricchi il superamento di un’idea che li fa ritenere inevitabilmente al centro degli equilibri mondiale. Cosa che, però, li porta ad essere anche il centro dei conflitti.

La scelta è quella dunque tra il volere lasciare solo la voce alle armi o, invece, cominciare a delineare un nuovo equilibrio internazionale in grado di tenere conto di quanto il mondo sia cambiato. A partire ad esempio dall’organizzazione e dalle regole delle Nazioni unite che ancora, guarda caso, dipendono sostanzialmente dalle potenze vincitrici della Seconda guerra  mondiale, e tutte detentrici dell’arma atomica. Ma l’organizzazione Onu quanto rappresenta  il mondo qual è realmente? O costituisce solo il punto di un incerto equilibrio che conserva vecchi rapporti di forza comunque in via di superamento? La multipolarità del mondo è oggi un dato acquisito.

Il futuro ci dirà se la fase che stiamo vivendo, con tanti lutti e distruzioni, non costituisca un punto di snodo tra chi crede nei vecchi statici equilibri e chi, invece, lavora nella prospettiva del pieno riconoscimento della pluralità di voci esistenti in ogni società e a livello internazionale.

Per tanti motivi l’Europa si è “contratta” in occasione del conflitto seguito all’invasione russa. Bloccata, forse, anche per le responsabilità assunte nel corso del tempo in quella vicenda caratterizzata da una mancanza di preveggenza da parte di molte cancellerie europee.

Le prossime elezioni europee possono costituire una grande occasione per rafforzare il ruolo nuovo ed originale che anche il Vecchio continente deve avere la forza e il coraggio di svolgere per partecipare alla definizione di nuovi equilibri internazionali. Quelli che, con realismo ed efficacia, riescano ad assicurare davvero una Pace basata sulla giustizia, sullo sviluppo e il riconoscimento a tutti i popoli del diritto di vivere una vita degna di essere vissuta.