Salvini e il fallimento di un progetto – di Michele Rutigliano

Salvini e il fallimento di un progetto – di Michele Rutigliano

“Il nostro compito nel mondo non è di avere successo, ma di continuare a fallire con spirito allegro”.  Anche con gli aforismi e non solo con i libri, il grande scrittore scozzese  Robert Louis Stevenson  cercava di immedesimarsi nella nostra povera umanità. Uno scrittore, detto per inciso, noto al grande pubblico soprattutto come romanziere; molto poco, invece, come aforista.  E, mentre riflettevo su questa  frase celebre, mi è venuto in mente la parabola politica e umana di Matteo Salvini. “Un politico grossolano” lo ha definito Corrado Augias. Mentre invece è meglio soprassedere su un altro giudizio, molto più duro, che pronunciò su di lui, tanti anni fa, Umberto Bossi.

Qual è stato il più grosso errore di valutazione che ha commesso in questi ultimi anni? Secondo me, ha preso un grosso abbaglio alle elezioni europee del 2019,quando conquistò il 34 per cento dei voti. Non si fermò a riflettere, ma partì subito per la tangente. Non si rese conto, come tanti altri suoi colleghi segretari di partito, che nella Seconda Repubblica, il voto degli italiani si è  trasformato in una “piuma al vento”. Oggi sei sugli altari e domani ti ritrovi nella polvere.

E vediamo, allora, cosa è successo alla Lega, durante la “reggenza” di Matteo Salvini. E perché il suo progetto di partito nazionale è miseramente fallito.  In Sicilia dicono che  “chi nasce quadro non può morire tondo”. Ed è proprio  quello che sta succedendo  alla Lega.  Che nacque, ai tempi di Bossi, come Movimento del Lombardo Veneto, per poi subire una mutazione  genetica. Entrata nei palazzi del potere, nei  consigli di amministrazione, nelle Asl e nelle società partecipate dallo Stato, è diventata come tutti gli altri partiti e si è prontamente immedesimata nei riti e nei privilegi della “Casta”. Quando nacque, però, la Lega aveva un ben altro profilo. Si impose come  federazione di movimenti autonomisti e regionalisti del Nord Italia. Poi, nel 2013, con Matteo Salvini, ha cambiato pelle. E stato lui, Salvini, e non Bossi né tantomeno Maroni a voler trasformare il Movimento in un partito nazionale, sovranista e populista. Un partito, che nelle sue aspirazioni, doveva attrarre voti anche al Centro e al Sud. Con tanti cari saluti alle istanze secessioniste e federaliste del Movimento che aveva fondato Umberto Bossi.

Questo progetto , contaminato durante il suo cammino da una  deriva sempre più di estrema destra,  è fallito anche per le resistenze delle regioni meridionali, che non hanno mai accettato pienamente la giravolta salviniana. Ora che la disfatta è alle porte, vediamo quali sono stati i motivi che l’hanno provocata. In primis, va considerato  che la Lega ha sempre  avuto una forte identità territoriale. Una specificità,  questa, legata alla difesa degli interessi e della cultura delle regioni settentrionali, spesso contrapposte a quelle del Mezzogiorno. La lega ha sempre costruito la sua narrazione politica sull’opposizione tra il Nord produttivo e il Sud assistito, tra la Padania virtuosa e la Roma ladrona, tra i cittadini onesti e gli immigrati clandestini. Questa retorica, giorno dopo giorno, ha contribuito a creare una profonda frattura tra le due parti del Paese, alimentando sentimenti di diffidenza e ostilità reciproca.  E allora non deve meravigliare che il tentativo di Salvini di allargare la base elettorale della Lega al Sud sia stato accolto con scetticismo e resistenza da parte di molti cittadini meridionali.

I quali, nonostante qualche passeggera infatuazione, non si sono sentiti rappresentati da un partito che li aveva storicamente discriminati e insultati. In secondo luogo, va detto che la Lega ha sempre avuto una forte vocazione federalista, basata sul principio di sussidiarietà e sulla richiesta di maggiore autonomia fiscale e amministrativa per le regioni.

Infatti, ha promosso diverse iniziative per rafforzare il ruolo delle autonomie locali, come il referendum per l’indipendenza della Padania nel 1997, la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, e i referendum consultivi sull’autonomia differenziata in Lombardia e Veneto nel 2017.  Questa visione, tuttavia, si è scontrata con la svolta sovranista e centralista di Salvini, che ha privilegiato il tema della difesa della sovranità nazionale rispetto a quello della valorizzazione delle diversità regionali. Dopo aver abbracciato la retorica anti-europea e anti-globalista, ha cercato di contrapporre l’Italia agli altri Paesi, in particolare a quelli dell’Unione Europea, accusati di imporre vincoli e condizioni inaccettabili. Sempre lui ha accentuato il ruolo del leader carismatico e autoritario, capace di interpretare la volontà popolare e di imporre le sue decisioni, a scapito della partecipazione e del confronto democratico. Questa impostazione, però, ha alienato la fiducia di molti elettori e militanti della Lega, soprattutto quelli delle regioni più ricche e dinamiche del Nord, che hanno visto fortemente minacciati i loro interessi e i loro diritti.

Ed ecco spiegato il fallimento di questo  progetto. Sono state le  Regioni del Sud ad affossarlo definitivamente, con i magri risultati delle ultime politiche e soprattutto con le impietose percentuali registrate alle recenti  elezioni regionali in Sardegna. Percentuali che potrebbero avere un effetto domino sia in Abruzzo che in Basilicata. Nonostante il populismo e la demagogia sparse a piene mani dal suo “Capitano”, la Lega, non è riuscita a superare la sua natura di partito macroregionale, legato al Nord e al federalismo, né a cancellare il suo passato di ostilità e disprezzo verso il Sud e il centralismo.

In tutto questo riportiamo anche le forti critiche che gli sono state rivolte in questi ultimi anni: Incoerente e opportunista, perché ha cambiato le carte in tavola in base alla convenienza, passando da una ideologia antimeridionalista e anti-italiana a una retorica nazionalista e sovranista.  Falso e ipocrita, perché ha cercato di conquistare i voti dei meridionali con promesse e slogan populisti, senza mai risolvere alcun problema concreto, se non con il fumo negli occhi  del ponte sullo stretto di Messina.  E, infine, l’atto d’accusa più duro: essere, cioè, pericoloso e divisivo, per aver alimentato l’odio e la paura verso gli immigrati, l’Europa, le istituzioni e le minoranze, minando la coesione sociale e la democrazia del paese. Insomma, per concludere con un’altra frase celebre: se hai seminato tantissimo vento, non illuderti di farla franca: alla fine, raccoglierai solo una grande tempesta.

Michele Rutigliano