Le lezioni da due anni di invasione dell’Ucraina – di Maurizio Cotta

Le lezioni da due anni di invasione dell’Ucraina – di Maurizio Cotta

A due anni dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin abbiamo (o dovremmo aver) imparato alcune importanti lezioni. E usando la prima persona plurale mi riferisco a noi come cittadini, come classe politica italiana, e ancor più come Unione Europea nel suo insieme.

La prima dura lezione è che la pace è fragile, non può essere data per scontata e acquisita per sempre. La pace di cui abbiamo goduto per tanti anni su larga parte del continente europeo (con limitate, seppur gravi, eccezioni nello spazio post-iugoslavo, ai confini tra Ucraina e Russia e nel Caucaso) è andata drammaticamente in pezzi il 24 Febbraio 2022. Il tema della pace deve allora ritornare al centro del discorso politico, accanto e non dopo altri temi che hanno sinora dominato le discussioni (come la transizione ecologica, le migrazioni, le trasformazioni dello stato sociale, ecc.). E deve ritornare con tutta la serietà che l’importanza del tema richiede. Tra il cinico si vis pacem para bellum e erti appelli irenistici alla pace che non si interrogano sulle sue condizioni politiche si deve approfondire la strada più ardua del si vis pacem cura pacem. Quali sono le condizioni perché la pace sia preservata? Cosa si deve e si può fare per ricreare un assetto di pace quando la pace è stata infranta? E’ in questa direzione che la riflessione politica deve esercitare la sua capacità di responsabile ed intelligente “invenzione” e poi di determinata attuazione.

Partendo da qui si delinea la seconda seria lezione che riguarda il ruolo dell’Unione Europea. L’Unione Europea, quale l’abbiamo conosciuta sino ad ora, ha indubbiamente svolto un importante (e sicuramente da non disprezzare) ruolo nel “curare la pace” in una parte importante del nostro continente. Ma la sua configurazione e le sue capacità di azione si sono rivelate chiaramente insufficienti rispetto alle sfide alla pax europea insorte nell’ultimo decennio e in quell’area più ampia e difficile che congiunge occidente ed oriente del continente. L’Unione europea, grazie alle sue innovative istituzioni, aveva certamente mostrato negli anni passati una significativa capacità di risolvere i conflitti e promuovere la cooperazione tra un numero crescente di paesi incorporati nei suoi confini. Tuttavia, senza detrarre ai meriti di questa realizzazione, dobbiamo pur sempre ricordare che questo è potuto avvenire all’interno di un contesto più ampio nel quale le esigenze fondamentali della sicurezza sono state garantite dal ruolo degli Stati Uniti e dalla Nato come strumento di coordinamento militare. L’incorporazione nel sistema dell’Unione europea di dieci paesi dell’area post-sovietica (Bulgaria, Estonia, Germania orientale, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria) e per ora di due paesi dell’area post-iugoslava (Slovenia e Croazia), pur con le non piccole difficoltà che ne sono derivate per i processi decisionali interni, ha sicuramente contribuito alla stabilizzazione di un’ampia area dell’Europa contenendone i potenziali conflitti. Anche qui occorre però ricordare che le serie preoccupazioni di sicurezza dei questi paesi sono state prese in carico dalla Nato più che dall’Unione Europea. La concentrazione dell’Unione Europea sulla dimensione economico-monetaria e progressivamente anche sulla dimensione delle garanzie dei diritti sociali e di libertà ha lasciato largamente scoperto il campo della politica estera e di sicurezza.

La terza lezione è che nel continente europeo le aree grigie risultanti dal collasso dei due sistemi politici comunisti (Unione Sovietica e Iugoslavia) e non inserite stabilmente in un quadro di integrazione e sicurezza, si sono più facilmente prestate a diventare focolai di tensione e poi di guerra. Questo è valso per i paesi del Caucaso, per l’Ucraina e per i Balcani centrali. Queste aree di incertezza avrebbero avuto bisogno di lungimiranti accordi internazionali e di solide soluzioni istituzionali capaci di gestirne le tensioni interne e proteggerli da interventi bellici dall’esterno. Questo non è avvenuto (e qui non se ne possono ricostruire adeguatamente le ragioni) e ne hanno pagato prezzi molto alti soprattutto le popolazioni direttamente interessate, ma anche tutto il quadro europeo che ne è risultato fratturato. Rimettere insieme i cocci richiede e richiederà sforzi e sacrifici molto elevati.

La quarta lezione è che la mancata comprensione da parte delle classi politiche e culturali europee dell’emergere nell’entità statale più cospicua sopravvissuta al collasso dell’Unione Sovietica, cioè la Russia di Putin, di una stretta e sinergica associazione tra autoritarismo interno e pulsioni espansionistiche, ha fatto sì che l’azione di guerra scatenata il 24 febbraio 2024 abbia preso di sorpresa e trovato largamente impreparati i centri decisionali occidentali. Nella Federazione Russa uscita nel 1991 dal crollo del sistema di potere sovietico, ridimensionata nel suo spazio imperiale e con un potere centrale inizialmente incapace di ristabilire la sua autorità sugli oligarchi impossessatisi delle ricchezze del paese e sulle emergenti spinte centrifughe dei particolarismi etnici (Cecenia, ecc.), il nascente tentativo di democratizzazione dei primi anni è stato con progressione inesorabile spento dal disegno, determinato e sempre più scoperto di Putin, di affermare un incontrastato potere centrale (la cosiddetta “verticale del potere”) sui potentati economici, eliminati o cooptati, e sulle esili forze democratiche emarginate, represse (oltre che letteralmente assassinate nei loro leader più autorevoli). La legittimazione popolare di questo disegno interno si è appoggiata in maniera sempre più chiara su un nazionalismo accoppiato a un aggressivo revanscismo da grande potenza. Lo spazio esterno perduto con il crollo dell’Unione Sovietica è stato presentato quindi come uno spazio indispensabile da riconquistare. L’Ucraina è il paese che ne ha pagato per ora le conseguenze più gravi. Fino a che questo disegno non fallisce (cosa che al momento non sembra alle porte), o viene superato, parlare e ancor più trattare con Mosca deve richiedere una chiara comprensione di questa traiettoria e dei suoi potenziali sviluppi.

Se queste sono le lezioni di questi due anni, la classe politica dell’Europa occidentale dovrebbe studiarle con grande serietà per potersi attrezzare adeguatamente al contesto attuale e per costruire piani di pace non illusori per il futuro.

Maurizio Cotta