Le proposte per una nuova Europa – di Vitaliano Gemelli

Le proposte per una nuova Europa – di Vitaliano Gemelli

Rilevo con interesse la proposta dell’Associazione TUTTI Europa 2030 (CLICCA QUI) di sottoporre un decalogo ai candidati alle europee e vorrei contribuire ad approfondire alcuni aspetti, che mi sembra siano stati affrontati con qualche omissione.

Rispetto al primo punto vorrei ribadire che, al momento dell’adesione dei paesi membri, le legislazioni nazionali devono essere coerenti con la normativa europea in materia dei diritti umani e fondamentali; lì dove lo Stato ha modificato la propria legislazione, violando la tutela dei diritti fondamentali, come in Polonia e in Ungheria, immediatamente l’Unione è intervenuta e ha messo in mora lo stato membro richiamandolo al rispetto dalla norma europea.

Il secondo punto riguarda la modifica dei Trattati in vista del prossimo allargamento ai Paesi Balcanici, alla Moldavia e temporaneamente escluderei l’Ucraina e la Georgia.

Tale modifica sarebbe dovuta intervenire dopo l’allargamento effettuato dalla Commissione Prodi, ma la successiva Commissione di José Barroso, che fu riproposto per il secondo mandato, è stata quella che non ha saputo impostare una nuova dimensione europea e ha affrontato le crisi economiche esportate in UE dagli Usa, senza la capacità di richiedere le contromisure necessarie per i danni subiti in termini finanziari e soprattutto economici.

La Commissione presieduta da Jean Claude Junker, nonostante abbia lavorato in abbrivio della Commissione Barroso, ha almeno introdotto un elemento significativo nel programma comunitario, dichiarando la necessità che l’UE abbia una dimensione sociale e un adeguata legislazione allo scopo.

La Commissione di Ursula Von der Leyen è stata quella che ha varato il Programma Next Generation EU e conseguentemente il Pnrr (Piano Nazionale di Riprese e Resilienza), a seguito della pandemia e per affrontare la grave situazione economica verificatasi di conseguenza.

Al momento, l’assoluta necessità di modificare i Trattati deve superare gli ostacoli delle contingenze in atto, costituite dalle guerre in corso e non solo quelle in Ucraina e a Gaza, ma anche altre in molte parti dell’Africa, dove i più importanti Stati del Sahel hanno subito colpi di stato, la crisi dello Stretto di Hormuz, la crisi Pakistano-iraniana e numerose altre ancora.

Ridisegnare la struttura politica europea e considerare l’ampliamento delle competenze rispetto alla moneta e alla fiscalità, che sono i due cardini che sta proponendo Mario Draghi, sarebbe un traguardo significativo, ma non risolverebbe il problema della democratizzazione della Commissione e della sua gestione rispetto alle direttive, né quello del ruolo di iniziativa legislativa del Parlamento e del Consiglio, che funziona come organo intergovernativo e come seconda Camera dell’UE.

Il richiamo al “popolo europeo” per un referendum che ratifichi i Trattati è senz’altro un fatto positivo, ma prima di questo sarebbe necessario dare dimensione europea alle elezioni stesse per il Parlamento Europeo, modificando il sistema elettorale e dando la possibilità ai partiti europei di presentare liste in tutti gli stati membri e a questi di accettare liste di espressioni politiche statali, per concorrere alla formazione del Parlamento con il sistema proporzionale, senza sbarramenti, perché tutti, anche le più piccole espressioni politiche statali che non si riconoscono nei partiti europei, possano essere rappresentati.

Questa nuova regola dimostrerebbe la volontà di “democratizzare l’UE” a partire dalla elezione del Parlamento.

Conseguentemente le maggioranze che si potrebbero comporre in PE, ad iniziare dall’elezione del Presidente del Parlamento, del Presidente della Commissione, e per la composizione della stessa, sarebbero frutto delle scelte del corpo elettorale europeo.

L’attuale composizione a tridente della rappresentanza europea – Presidente del Consiglio, Presidente del Parlamento, Presidente della Commissione – ha un valore estetico, mentre la valenza politica delle tre istituzioni è differenziata dai compiti che esse assolvono.

Non essendo ancora uno “Stato federale”, forse un presidente unico sarebbe ingiustificato a meno che il nuovo Trattato non preveda un salto di qualità e proponga l’attuazione di una Federazione a composizione variabile di stati, secondo l’accettazione di condizioni stabilite, anche senza preclusioni di nessuno Stato a condizioni maturate (in altri momenti si parlava di velocità diverse).

Se si dovesse arrivare a realizzare quanto finora auspicato, l’immagine e il potere reale dell’Unione Europea nel mondo si rafforzerebbe senz’altro, anche a vantaggio dei singoli stati membri, e la Francia, come detentore del diritto di veto, sicuramente troverebbe beneficio se appoggiasse l’UE per un posto nel Consiglio di Sicurezza ONU.

Resta il nodo della debolezza della politica estera dell’UE, perché i singoli Stati, avendo le leve anche economiche per la politica estera, nonostante l’obbligo della concertazione e del coordinamento, condizionano l’andamento e indeboliscono il ruolo dell’Alto Rappresentante per l’UE, che viene scelto al di fuori della logica della scelta degli altri Commissari, proprio per dare maggiore peso politico, che nei fatti non ha.

Un primo passo potrebbe essere quello di definire che gli interventi dei singoli stati membri preventivamente debbano essere coordinati e concordati con l’UE, anche se tutto questo non attiene solo alla “politica estera”, ma in senso lato a tutta la “politica economica” dell’UE, dei singoli stati membri all’interno dell’UE e nel resto del mondo.

Il problema del “Green Deal” finora ha seguito un percorso ideologico unidirezionale in l’Europa, mentre le potenzialità inquinanti più rilevanti risiedono in altri paesi e altri continenti.

La Cina, l’India, gli USA, sono i principali responsabili del carico inquinante, attraverso strutture industriali che usano prevalentemente combustibili fossili a basso costo.

Come per altri ambiti, mentre Cina e India hanno una qualche motivazione e giustificazione costituita dall’enorme popolazione – circa tre miliardi di persone – gli Usa hanno strumentalizzato il Green Deal, nonostante che abbiano la più grande produzione di OGM in agricoltura e tentano di espanderne il mercato a scapito dei prodotti agricoli europei.

La vicenda della somministrazione del gas russo si è risolta a vantaggio degli Usa che hanno commercializzato enormi quantità di gas e di petrolio, prodotto con il sistema fracking, altamente inquinante, rispetto al gas dei paesi del mediterraneo africano.

L’alternativa non è tra morire di inquinamento o morire di inedia e il movimento europeo dei trattori dev’essere vigile, perché vi è un tentativo di azzerare la PAC a favore di produzioni alternative di proteine, che proverranno dall’industria americana; un primo tentativo di modificare radicalmente la PAC avvenne negli anni 2000 quando si propose che l’unità agricola standard dovesse avere la dimensione di 100 ha. Un gruppo di parlamentari di noi  si oppose e propose una dimensione di 20 ha, per evitare di tagliare fuori tutti i piccoli proprietari terrieri italiani, francesi, spagnoli, greci, tedeschi.

Qualsiasi politica economica deve avere al centro il benessere delle popolazioni e non della finanza e dell’economia e il benessere della popolazione si potrà avere se si azzereranno tutte le speculazione che gli algoritmi finanziari attivano in ogni ambito pur di far raggiungere il massimo guadagno (TTF di Amsterdam per il calcolo del prezzo dell’energia è un esempio palese e ancora nessuno ha ritenuto di dover intervenire per evitare che le speculazioni finanziarie, fatte dai finanzieri, ricadano sulle popolazioni).

Alcune impostazioni di politica generale:

bisogna ristabilire che i Governi, a qualsiasi livello governano popoli e non bilanci;

le industrie sono al servizio dei bisogni dei popoli e non dei proprietari, a cui nessuno dovrà negare il massimo utile possibile (ma possibile, senza algoritmi di sfruttamento);

l’agricoltura dev’essere fatta secondo gli standard di qualità dell’UE, che garantiscono il massimo livello di trasparenza in ogni fase produttiva;

i servizi devono essere erogati al costo degli stessi, garantendo il possibile utile industriale alle gestioni, stralciando la parte gestionale delle finanziarizzazioni, che non può ricadere anche indirettamente nei costi di produzione;

bisogna arrivare a separare la gestione dell’economia dalla gestione finanziaria, valorizzando tutti gli aspetti presenti e futuri della gestione finanziaria, perché questa dovrà diventare la struttura più consistente di gettito erariale per le finanze pubbliche;

bisogna garantire che l’AI possa svilupparsi secondo il principio della libertà della ricerca e la sua applicazione avvenga seguendo dei protocolli, che dovranno avere revisione periodica, seguendo il processo evolutivo della ricerca e della proposta applicativa.

Vitaliano Gemelli