Due anni di guerra in Ucraina
Dopo centinaia di migliaia tra morti e feriti tra i militari e oltre 10mila civili uccisi, la situazione resta sostanzialmente la stessa in Ucraina. Fallito il tentativo iniziale russo di fare un sol boccone del paese vicino, una volta “fratello”, abbiamo dovuto constatare come anche la controffensiva ucraina, quella destinata alla “vittoria finale”, non abbia portato a grandi risultati. Migliaia e migliaia di vite perdute per la conquista e, poi, per la perdita di posizioni di piccole città e di villaggi fino ad oggi completamente sconosciuti al resto del mondo. Nell’era della guerra moderna, e nonostante l’utilizzo di armi sempre più sofisticate, siamo tornati ai feroci scontri di trincea del Primo conflitto mondiale.
Di pace non si parla. Nessuno è in grado di dire in che modo si possa riuscire a superare una situazione di stallo sul fronte diplomatico. In crescita solo il dispiegamento delle armi, mentre si tace sulle conseguenze che lo scontro seguito all’invasione russa ha effettivamente sull’economia reale delle popolazioni coinvolte nella regione. Ma anche all’interno dei due paesi che certo subiscono comunque il peso di un’economia di guerra.
Vicende come queste confermano ancora una volta che, con l’avvio di una guerra, le prime vittime sono la “verità” e la valutazione razionale delle cause, dell’andamento e dei possibili sviluppi dello scontro.
Restiamo allo scontro muro contro muro. Anche perché pare che l’economia appaia in grado di contenere gli effetti negativi di una guerra che, agli inizi, aveva sconvolto non poco il mercato delle materie energetiche e delle granaglie. Ci stiamo abituando, insomma? Alla determinazione di Putin di giungere alla vittoria si è aggiunto un analogo sentimento da parte di una buona fetta dell’Occidente convinto della possibilità di portare gli ucraini a rovesciare le sorti del conflitto. Qualcuno pensa persino di ritornare alle posizioni antecedenti il 2014 quando la Russia si prese la Crimea. Un sentimento coltivato da alcune cancellerie dell’Ovest che, certo, fa il pari con quelli degli ambienti più estremisti di Mosca.
Il tutto fa ricordare come, già molto prima del 24 febbraio dei due anni fa, Papa Francesco aveva più volte parlato di una Terza guerra mondiale a pezzi. Aveva parlato del riarmo e delle spese esponenziali che stava crescendo in quel settore che per pudore viene chiamato “difesa”. Inascoltato. Anche da parte di chi avrebbe potuto e dovuto intervenire in modo che non si creassero le attuali condizioni. L’Europa è uno di questi soggetti. Ancora oggi divisa al proprio interno da sentimenti oggettivamente contrastanti tra di loro e tra i quali si è finito per non scegliere quando sarebbe stato opportuno.
La necessaria azione di sostegno all’Ucraina aggredita richiede oggi che l’Unione Europea si assuma con chiarezza e fermezza la responsabilità di lavorare alla ricostruzione di un assetto pacifico in Europa, come ha sostenuto qualche giorno fa INSIEME (CLICCA QUI). E’ il nostro continente, infatti, quello più chiamato, e più interessato, alla elaborazione di un coraggioso piano di pace necessario per tornare al rispetto del diritto internazionale e del riconoscimento che tutti i popoli, tutte le etnie, devono poter concretizzare una propria autodeterminazione e veder rispettate le loro identità di minoranze regionali, etniche e linguistiche.
L’Italia può portare una propria voce consapevole della propria esperienza in un ambito tanto delicato che, forse, alla fine si rivelerà, quello dell’autodeterminazione, l’unico in grado di far giungere ad una ragionevole fine di uno scontro tanto sanguinoso.