Le responsabilità della politica – di Domenico Galbiati

Le responsabilità della politica – di Domenico Galbiati

Viviamo un nuovo “rinascimento” oppure una stagione di decadenza? E’ difficile dirlo per noi che questo tempo enigmatico, in cui si associano segni contrastanti, lo viviamo e lo vediamo sgranarsi nella cronaca degli eventi quotidiani e, ovviamente, ancora non possiamo distillarne alcun senso compiuto come avverrà solo a suo tempo, in sede storica.

Da un lato, disponiamo di tecnologie che, in fondo, hanno un tratto in comune, come se una mano misteriosa le orientasse a quel fine: rendono più fitti e più intensi, più diretti, ravvicinati ed immediati, più partecipati, più coinvolgenti ed a largo raggio – potenzialmente sconfinati, quasi annullassimo lo spazio, ma anche il tempo, cavalcando a ritroso secoli di storia e di pensiero – i rapporti ed i raffronti tra uomini e culture, soprattutto le relazioni interpersonali.

Come fossimo invitati ad “intensificare” la nostra umanità, come volessimo metterla alla prova, quasi ci sia bisogno di arricchire la coscienza che abbiamo del nostro essere “umani”, per poter reggere la provocazione delle trasformazioni che intravediamo all’orizzonte e di cui pure già sperimentiamo i primi passi. Dall’altro, abbiamo smarrito quella fiducia, illuministica eppure ingenua, nella ragione e nel progresso, che alludeva ad una qualche concezione teleologica della storia, intesa come orientata ad un fine, quindi dotata di un senso, destinato via via a svelarsi e, dunque, rassicurante.

Oggi, al contrario, ci sentiamo smarriti, come fossimo sospesi in un limbo, dentro una vicenda umana incamminata verso approdi impredicibili, spalancata su una contraddizione tanto più problematica, quanto più si amplia la forbice tra potenzialità che fin qui non avevamo mai conosciuto ed incapacità a definire un orizzonte di valori e di traguardi entro cui dirigerle. In un certo senso, si potrebbe dire – ammesso che l’ analogia regga – vale, anche sul piano macroscopico dell’ accadere storico, quel “principio di indeterminazione” che vale nella fisica delle particelle. In altri termini, è la modalità con cui misuriamo il fenomeno osservato a definirne l’ effettiva natura.

Trasferita sul piano sociale, una tale considerazione vorrebbe dire che è in nostro potere – dipende da noi, dallo sguardo con cui accostiamo la realtà, dalla responsabilità che ne assumiamo – decidere, oggi, tra rinascimento e decadenza. Camminiamo su un crinale sottile, verso cui convergono due versanti ed il nostro sguardo, ciò che decide tra l’uno e l’altro, tra regressione e sviluppo, è, in definitiva, la politica. Politica – arte assai più che scienza – che, intesa come capacità di “moderare” la particolarità degli interessi in conflitto per comporli e commisurarli all’interesse generale della comunità, oggi segna il passo. E, in fondo, non c’è da sorprendersi che sia così.

Il “bene comune”, concepito come quell’ opportunità positiva concessa a ciascuno senza detrimento per l’altro, non è facile da costruire, in un mondo competitivo, scosso da troppe tensioni, alla ricerca di nuovi equilibri, intanto che si disfano quelli che, ormai irrimediabilmente, appartengono ad un altro mondo. Senonché, rigenerare la politica, ridarle forma, misura e capacità di sintesi non è questione di poco conto, ma piuttosto un’ opera collettiva di passione civile e di largo coinvolgimento democratico.

Altro che l’”uomo solo al comando”. Le prossime elezioni amministrative, accanto al voto proporzionale delle europee, sono un’occasione preziosa in questa direzione.

Domenico Galbiati