La destra e la pratica del baratto

La destra e la pratica del baratto

Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono ai ferri corti e scaricano sulla pelle del Paese e sulle sue istituzioni democratiche – in definitiva sui cittadini inermi – un conflitto che sono incapaci di mediare a livello politico.

Sono destinati, con ogni probabilità, ad allargare la controversia, via via ci si avvicini alla scadenza elettorale di giugno, come succede inevitabilmente in un’alleanza tenuta insieme da reciproche convenienze di potere. Le quali suppliscono a visioni differenti, anzi antitetiche, addirittura in ordine a questioni fondamentali quale la forma di Stato.

L’ “autonomia differenziata”, che ha avviato il suo iter in aula al Senato, è esattamente agli antipodi rispetto alla cultura “nazionale”, intesa nelle forme che stanno a cuore alla Meloni. E’ come se quest’ultima consegnasse a Salvini lo scalpo dell’ Italia per ottenerne, in cambio, il salvacondotto per la riforma costituzionale nel nome del “premierato”. Concepito come strumento necessario per l’ egemonia che la destra sogna di conquistare, ben oltre i fasti della presente legislatura.

Un baratto indecente e pericoloso, nella misura in cui inocula nelle vene del Paese non uno, ma due veleni che rispondono a principi contrapposti che, sovrapponendosi, anziché annullarsi vicendevolmente, incrementano, l’un l’altro, l’effetto patogeno di ciascuno dei due. Peraltro, il gioco si ripete anche sul piano delle candidature in vista delle elezioni regionali in programma.

I governatori uscenti o rientranti e gli aspiranti successori vengono incessantemente “quotati” e scambiati al botteghino della destra come fossero le classiche “figurine Panini”, secondo le regole tacite di un mercato più o meno coperto. Idem per quanto concerne il decreto diretto a consentire un terzo mandato anche ai presidenti delle giunte regionali. Che il provvedimento, che Giorgia Meloni osteggia, almeno fin qui, intenda essere “ad personam” è fin troppo chiaro a tutti.

Senonché, il beneficiario, in questo gioco della torre al contrario, non è tanto o almeno non solo Luca Zaia, ma per interposta persona, lo stesso Salvini che ha bisogno di ibernare il Doge, in vista della possibile scoppola di giugno che potrebbe costargli la pelliccia. Esito, probabilmente, agognato dalla Meloni che, forse, Zaia, nella prospettiva del prossimo anno, lo vedrebbe volentieri libero di menar le mani. Insomma: “Dai nemici mi guardi Iddio che dagli amici mi guardo io…”.