Le vittime di reato e una riforma incompiuta – di Mario Pavone
In un momento storico importante per assicurare una tutela più efficace per le Vittime di reato occorre mettere mano alla Riforma dell’art 111 della Costituzione, come da più parti invocato, dopo una stagione di incertezze ingiustificate..
Come ha scritto di recente Giovanni Cominelli “per fare delle riforme costituzionali serve uno spirito costituente…che non c’è…”
In che cosa consiste lo “spirito costituente”? Esso consta di quattro passaggi concatenati:
a) la consapevolezza che il sistema politico-istituzionale fin qui vigente non è più adeguato rispetto alle nuove sfide, che la storia ci mette dinnanzi ogni giorno;
b) la volontà di tutti i soggetti sociali, civili, culturali e politici di costruire un nuovo assetto;
c) il confronto tra nuovi modelli;
d) l’adozione finale di un nuovo modello.
Se il primo passaggio non si compie, se la coscienza civile e politica del Paese dell’inadeguatezza istituzionale non è così acuta e ultimativa, il passaggio agli stadi successivi si blocca in danno di quanti ritengono che un cambiamento delle regole sia non solo necessario ma anche opportuno dinanzi alle nuove sfide sociali da affrontare.
Da decenni si assiste ad una generale lamentela sul malfunzionamento del sistema politico, sull’instabilità, la breve durata e debolezza dei governi, sulla giustizia ingiusta, sul sistema amministrativo, ma non c’è stato mai alcun cambiamento rilevante e le Forze politiche non hanno mostrato negli ultimi decenni nessuna volontà e nessuno spirito costituente poiché ogni Riforma è stata resa alternativamente impossibile dalle opposi zioni della parte avversa.
Il Bene comune, inteso come tutela egli interessi dei cittadini, è stato travolto da interessi di parte, su cui non è il caso di soffermarsi in questa sede.
Impossibile non vedere una relazione di causa ed effetto tra un tale situazione di stallo e lo sviluppo del Paese, alle prese con una giustizia civile e penale ingiusta e la ingiustificata espansione di leggi, circolari, regolamenti, burocrazie che hanno appesantito il quadro normativo e la certezza del diritto.
I nobili appelli ai valori della Costituzione, senza mettere mano alle norme che costituiscono il bagaglio essenziale delle Istituzioni democratiche, non servono a nulla poiché i valori si incarnano nelle Istituzioni dello Stato ove non si provveda a riformare le regole del confronto democratico.
E’ quanto accaduto, tra l’altro, dopo la Riforma del cosiddetto “Giusto Processo”, che risale al 1999, che sembrava la soluzione del problema di una Giustizia lenta e per pochi che ne conoscevano i farraginosi meccanismi tra cui districarsi.
Tanto meno si è ritenuto di affrontare e risolvere il problema delle Vittime di Reato che, nelle more delle discussioni, hanno raggiunto livelli impensabili.
La frammentarietà e la lacunosità della normativa vigente in materia ha reso obiettivamente approssimativo il sistema di tutela di quanti, nel nostro Paese, subiscono gli effetti – spesso devastanti sotto il profilo personale, economico, psicologico, familiare, relazionale – di un’azione criminosa.
Con questa consapevolezza, già da diversi anni numerose componenti dell’associazionismo ed alcune importanti realtà accademiche hanno avviato un vivace dibattito che ha finito col coinvolgere le varie forze parlamentari e vasti strati della società civile.
Al di là delle divergenze di sensibilità e di opinioni, è unanimemente avvertita l’esigenza di pervenire, in maniera improcrastinabile, all’adozione di una piattaforma normativa omogenea, con lo scopo di fornire alla vittima (diretta ed indiretta) di una fattispecie delittuosa gli strumenti più efficaci per vedersi riconosciuti
a.il diritto al risarcimento del danno materiale, biologico e morale che è stato patito;
b.il diritto all’assistenza istituzionale;
c.il diritto all’inclusione sociale;
d.il diritto all’accesso a forme di mediazione in grado di condurre realmente all’attua zione di un modello diffuso di restorative justice.
Il presupposto di un siffatto progetto di riforma, tanto ambizioso quanto necessario, va senz’altro rinvenuto nella necessaria modifica/integrazione dell’art. 111 della Costituzione che, nel delineare i princìpi del cosiddetto Giusto Processo, inspiegabilmente omette ogni riferimento al soggetto passivo del reato.
Agli atti del Parlamento sono state depositate diverse proposte di riforma costituzionale con cui si intende definire la cornice di quella Legge Quadro per l’assistenza, il sostegno, la tutela delle vittime di reati conformemente a quanto disposto dalla decisione europea 2001/220/GAI del 15.3.2001.
Anche se con un notevole ritardo rispetto all’insorgere di tale esigenza, il Legislatore italiano torna oggi ad interrogarsi sulla materia.
Siamo giunti realmente alla vigilia della svolta tanto attesa da quei cittadini che lo Stato non è riuscito a proteggere?
E le istituzioni sapranno davvero rivolgere il proprio sguardo, all’Ordinamento penale ed alla società italiana, anche «con gli occhi della vittima»?
Forse è ancora presto per dare una risposta definitiva a questi interrogativi ma si può in qualche modo sperare che questa rinnovata sensibilità valga ad illuminare le coscienze di chi è chiamato a legiferare, facendosi interprete delle tensioni ideali e morali di una esigenza non più trascurabile.
Tutti i proponenti concordano nel rilevare come i problemi delle vittime dei reati siano stati «a lungo trascurati e questa sensazione di abbandono è stata acuita dalla progressi va concentrazione di attenzione verso la personalità e gli interessi dell’autore del reato e dal talora mortificante raffronto, specie per le vittime traumatizzate in massimo grado, con il dispendio di risorse ed energie provocato dalle varie forme di protezione previste a favore di “coloro che collaborano con la giustizia”, dopo averla offesa, e trascurando proprio gli interessi delle Vittime di quella Giustizia….
Non v’è dubbio, d’altronde, che l’Italia sia terribilmente indietro in questo percorso di armonizzazione legislativa, posto che il nostro Paese «ha adottato finora misure e forme di assistenza, sostegno e informazione solo a favore di alcune categorie di vittime (terrorismo e criminalità organizzata), trascurando del tutto le vittime della criminalità comune verso le quali il Consiglio dell’Unione Europea ha dettato, invece, alcune prescrizioni valide per l’intera Unione.
In ambito comunitario, le varie Direttive emanate negli anni sono orientate in una triplice direzione, per garantire alle Vittime «da un lato, un’informazione il più possibile piena e capillare dei diritti che le spettano sia in sede giudiziaria che in sede amministrativa, predisponendo e allestendo appositi servizi e organismi in tale senso; dall’altro un ampliamento delle sue facoltà all’interno del processo penale, riconoscendole una più attiva possibilità di partecipazione al processo ed, infine, un’assistenza di natura economica in grado di alleviarne il disagio, nei casi in cui l’autore di determinati reati non sia stato identificato ovvero sussistano ragioni che rendano indispensabile, in assenza di altre fonti, un contributo equitativo al ristoro dei danni da parte dello Stato».
Estremo rilievo è, in tal senso, attribuito alla mediazione penale, di recente acquisizione sul pano dottrinale, intesa come un efficace rimedio «all’interno di una più ampia scelta razionalizzatrice dell’organizzazione giudiziaria» e come tale introdotta nell’Ordinamento con la Riforma Cartabia. Ma non basta.
La Legge Quadro per la tutela del soggetto passivo del reato dovrà costituire, nelle ambizioni dei proponenti, «una vera e propria “tavola dei diritti” delle vittime di tutti i reati, sull’esempio del Crime Victim’s Bill of Right degli Stati Uniti del 1990, così da tutelare gli interessi della vittima in modo uniforme e generale, non limitati cioè alla sola fase processuale».
La nuova Riforma Costituzionale in itinere accredita, in effetti, una definizione più estesa della “vittima”, rispetto a quella tradizionalmente invalsa nel nostro Ordinamento.
In questa accezione viene ricompresa ogni persona offesa dal reato e, quando questa sia deceduta in conseguenza del crimine subito, i suoi prossimi congiunti, chi è legato alla stessa dal vincolo di adozione e chi, pur non essendo suo coniuge, «come tale conviveva stabilmente con essa», secondo una forma di tutela di natura pubblicistica, nel rispetto delle sollecitazioni avanzate dalla più autorevole dottrina.
Dall’esame delle varie proposte di legge agli atti del Parlamento in materia di tutela delle vittime di reato, non si fatica a comprendere come ogni ipotesi di riforma avanzata trovi il suo presupposto nella iniziale modifica dell’art. 111 della Costituzione che, nel delineare i princìpi del c.d. Giusto Processo, inspiegabilmente ha omesso ogni esplicito ed autonomo riferimento al soggetto passivo del reato.
Questa esigenza è stata recepita sin dalla XV legislatura, con due iniziative parlamentari di revisione costituzionale.
Nella relazione al disegno di legge costituzionale Casson ed altri di “Modifica dell’articolo 111 della Costituzione, in materia di tutela e di garanzia dei diritti delle vittime di un reato” si evidenzia come la disciplina del Giusto Processo contenga «certamente una lacuna, che si riverbera anche all’interno del processo penale, ove la vittima del reato trova spazio soltanto se si costituisce parte civile.
D’altronde, tutti coloro che hanno un’esperienza diretta del giudizio penale non possono fare a meno di concordare sul fatto che, anche all’interno del processo penale, la Legislazione vigente non garantisca affatto una piena tutela della parte civile, «anche perché – come spiega lo stesso Sen. Casson – essa inevitabilmente finisce per appesantire l’iter processuale, così costituendo un ostacolo alla rapida definizione del processo».
È proprio «per superare questi vuoti e questi ritardi, oltre che per riconoscere il livello istituzionale più elevato possibile alla tutela della vittima e dei più deboli» che si proponeva nel PdL di «riconoscere, nel testo dell’articolo 111 della nostra Costituzione, cittadinanza processuale alla vittima del reato, attraverso la previsione che ad essa vanno applicate tutte le norme dettate a garanzia della persona accusata di un reato».
In conseguenza nel sesto comma dell’art. 111 Cost. veniva sancito che «la legge garantisce i diritti e le facoltà delle vittime del reato».
All’identica conclusione serviva anche la proposta di legge costituzionale che venne contestualmente presentata alla Camera dei Deputati dall’On. Marco Boato, a cui si è aggiunta la proposta avanzata dall’ On. le Edmondo Cirielli, di contenuto identico alle precedenti.
Come è possibile arguire, anche a seguito della triste e dolorosa vicenda della giovane Giulia Cecchettin, vi è stata una importante presa di coscienza del Parlamento della ormai ineludibile necessità di provvedere ad una Legge Costituzionale che apportasse una modifica allo Art,111 per una efficace tutela delle Vittime di Reato.
Si è pervenuti, così, in Senato,alla approvazione di un Testo Unificato delle varie proposte avanzate che riunisce « quattro disegni di legge presentati da quasi tutte le forze politiche» (Iannone di Fd’I, Marton del M5S, Parrini del Pd, De Cristofaro di AvS, ndr) che rappresenta per la relatrice del provvedimento, «sicuramente un elemento degno di nota».
Lo scopo, appunto,è quello di fornire «tutela costituzionale alle persone offese dal reato» che appare «necessaria, anche alla luce di trattati internazionali, la tutela della vittima del reato sul piano costituzionale, collocandola proprio all’interno dell’articolo 111 della Costituzione italiana, già modificato dalla legge costituzionale del 1999, nel quale sono raccolti i princìpi costituzionali che presiedono al Giusto Processo regolato dalla Legge». Analizzando a fondo il dettato dell’articolo in questione, spiega la Relatrice, «si nota che tra i princìpi introdotti manca tuttora un’esplicita previsione a tutela della vittima dei reati, nonostante quella revisione costituzionale abbia voluto accentuare il contenuto accusatorio del processo penale e dunque la sua natura di processo in cui alle parti sono da assegnare condizioni di parità. Mentre all’imputato è stata riconosciuta tutta una serie di garanzie, non si è fatto altrettanto con la persona offesa che con la modifica costituzionale diverrebbe parte necessaria del processo».
Lo scopo perseguito dal disegno di legge è, pertanto, «quello di colmare la lacuna, restituendo, in linea con i princìpi costituzionali di solidarietà e di uguaglianza, diritto di cittadinanza processuale alle vittime del reato».
Su piano pratico sono previsti, ad esempio, un rafforzamento dell’accesso al gratuito patrocinio e l’erogazione di un risarcimento finale garantita in ogni caso da parte dello Stato alla parte offesa qualora, nonostante gli sforzi, non sia stato possibile identificare l’autore del reato e quando l’autore del reato sia stato identificato ma non possieda mezzi sufficienti per risarcire la vittima in modo adeguato, come previsto dalla Direttiva Europea 2012/29 UE.
Ad intervenire nel dibattito anche lo stesso Sen Felice Casson, già proponente nelle precedenti legislature della stessa modifica costituzionale, che ha chiarito che «i DDL sono sostenuti dalle Associazioni Vittime di reato, a partire da quelle del Vajont, ma anche da quelle dell’amianto, del lavoro, dello stalking, del femminicidio, di tutti i tipi di reato» poiché “è giusto che tutte le parti del processo abbiano gli stessi diritti e le stesse facoltà”.
Nell’ambito del dibattito parlamentare è tornata, pertanto, a riecheggiare l’esigenza di partecipazione sociale, giustizia e verità che accomuna tutte le vittime di reati alla luce della sofferenza infinita, del peso della memoria, delle false promesse e le tante amare delusioni che non sono mai riuscite a placare.
Allo stato, non possiamo far altro che confidare che il Parlamento italiano presti la giusta e doverosa attenzione a questo pressante richiamo che proviene da chi ha subito, personalmente o tramite un proprio congiunto, un reato.
Tuttavia, non si può pensare di approdare ad una riforma organica a favore delle vittime senza ascoltare e coinvolgere, nel confronto istituzionale, i soggetti che ne sono direttamente interessati e nel cui orizzonte di vita ogni ipotesi normativa è destinata profondamente ad incidere.
Con spirito costruttivo, l’Associazione Nazionale Vittime di Reato non mancherà di dare il proprio contributo affinché il progetto di legge presentato in Parlamento possa essere opportunamente migliorato al fine di corrispondere al meglio al monito dell’Unione Europea e, ancor più, a quel bisogno primario di umanità e di buon senso che, in quest’epoca tanto tormentata, torna ad imporsi (anche) sui destini del nostro Paese.
Il testo del provvedimento approvato dalle Commissioni Affari Costituzionali del Senato enuncia che «La legge garantisce i diritti e le facoltà delle vittime del reato» ed è questo l’obiettivo da perseguire per la modifica dell’articolo 111 della Costituzione con l’auspicio di una rapida approvazione in linea con le istanze provenienti dalla Società Civile e dalle Associazioni delle vittime, confidando nell’interparlamentarismo che ha portato alla approvazione unanime del PdL in Senato, così come dovrebbe accadere tutte le volte in cui si discute di un problema rilevante per la collettività.
Mario Pavone