L’Europa nel mondo che cambia – di Daniele Ciravegna

L’Europa nel mondo che cambia – di Daniele Ciravegna

La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha intitolato il suo ultimo Discorso sullo Stato dell’Unione (licenziato il 13 settembre 2023) con le seguenti parole: “Un’Europa pronta per l’appuntamento con la storia”. Questo titolo appare esorbitante rispetto alla realtà, eccetto forse per quello che riguarda l’argomento del Green Deal.

Non può infatti definirsi come “appuntamento con la storia”:

– l’impegno per l’affermazione dell’equa concorrenza internazionale, della lotta alle pratiche commerciali sleali,  mantenendo comunque un approccio di tipo cooperativo con le economie che applicano pratiche competitive sleali, al fine di evitare che si abbia un disaccoppiamento con esse;

– l’impegno per l’efficientamento del mercato del lavoro al fine di ridurre la sottoccupazione del lavoro in termini quantitativi e qualitativi (carenze di competenze);

– l’impegno per combattere l’inflazione dei prezzi, attraverso interventi disinflazionistici sui mercati dell’energia, e non puntare (aggiungo io) sulle politiche deflazionistiche di tipo monetario;

– l’impegno per agevolare lo svolgimento delle attività economiche, in particolare, l’accesso alle tecnologie chiave per innovare e produrre: in primis, nel mondo digitale e dell’intelligenza artificiale, sapendo governare la gestione dei rischi presenti in questo mondo;

– l’impegno per il rafforzamento della protezione delle frontiere.

Appuntamenti con la storia si possono invece vedere nelle iniziative tipo il Global Gateway, che riguardano l’attivazione di corridoi economici, quali quello India – Golfo Arabo – Europa, nonché iniziative coinvolgenti paesi dell’America Latina e dell’Africa, delle quali – è detto – che si tratta non solo di investimenti nelle economie dei partner degli altri continenti, ma anche di investimenti nella prosperità e nella sicurezza dell’Europa, quindi non solo per il piacere dei paesi terzi, ma anche per il piacere nostro (notazione che si poteva anche evitare, nel caso di paesi sottosviluppati!).

Lo stesso dicasi dell’ipotesi di un ulteriore allargamento dell’UE, con l’entrata in essa di dieci nuove nazioni (con differenze nel processo di adesione in atto), che si verrebbero ad aggiungere alle 27 attuali. Qui ci si trova di fronte alla già vista contrapposizione fra chi pone davanti la bontà dell’allargamento (allargare la dimensione geografica ed economica e quindi aumentare la rilevanza politica e la dimensione del mercato unico europeo, creando economie di scala produttiva e di scambio) e chi, invece, teme, imbarcando nuovi soggetti politici ed economici, di annacquare il progetto di unione politica piena, introducendo elementi di governance difficilmente digeribili dai paesi già membri dell’UE. Di ciò si è avuto un esempio con l’allargamento del 2004, in cui alcuni paesi entrarono poiché condividevano gli aspetti istituzionali e di disegno politico dell’UE in essere, mentre altri furono attirati principalmente dagli aiuti economici per il loro sviluppo che si attendevano con l’ingresso nell’UE. Per completezza d’informazione, al momento, i paesi che hanno presentato domanda d’ingresso nell’UE, e sui quali l’UE dovrà esprimersi, sono: Albania, Kosovo, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Macedonia del Nord, Moldavia, Ucraina, Turchia e Georgia. Tutti sono in sintonia con i valori, le aspirazioni, il disegno politico dell’UE, chiaramente scritti nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea:?

“I popoli d’Europa, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni, […] sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione, istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, […] nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d’Europa nonché dell’identità nazionale degli stati membri e dell’ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali nonché la libertà di stabilimento”.

A monte rispetto all’allargamento dell’UE v’è però la questione della riforma non marginale della riforma dei trattati europei (Trattato sull’UE e Trattato sul funzionamento dell’UE), la cui versione in vigore è data dal Trattato di Lisbona, siglato nel dicembre 2007 e in vigore dal dicembre 2009. A questo poposito, v’è da tenere presente che il Parlamento Europeo ha sviluppato, nel corso del 2023, un approfondito esame dei punti di debolezza dell’Unione, arrivando ad approvare a maggioranza, il 22 novembre 2023, (quindi a futura memoria per il nuovo Parlamento che uscirà dalle elezioni del 6-9 giugno 2024) una Risoluzione contenente dettagliate proposte di riforma dei trattati europei vigenti. (Parallelamente i governi di Francia e di Germania hanno costituito una commissione di esperti per fare proposte su argomenti simili a quelli esaminati dalla Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo: una duplicazione di cui non si sentiva bisogno).

Ad ogni modo, fra le proposte approvate dal Parlamento Europeo, rilevanti sono le seguenti:

1) un sistema legislativo bicamerale, più sviluppato ed efficace, in modo da migliorare la capacità di azione della governance dell’UE;

2) introduzione di un meccanismo referendario a livello europeo, in modo da rafforzare ancor più, rispetto alla riforma di cui al punto precedente, la voce dei cittadini europei;

3) riduzione drastica dell’uso di procedure legislative speciali, che attualmente sono diffuse nei campi della difesa, della cooperazione giudiziaria e della governance in campo economico e dell’assistenza finanziaria dei paesi dell’Unione;

4) rimozione del voto all’unanimità nel Consiglio Europeo, da sostituirsi con il voto a maggioranza qualificata (se del caso, rafforzata), per lo meno in politica estera, difesa e bilancio;

5) riconoscimento al Parlamento Europeo del potere d’iniziativa legislativa, eliminando il potere esclusivo di decidere da parte del Consiglio Europeo, con un ruolo marginale del Parlamento Europeo, superando il monopolio della Commissione Europea e del Consiglio Europeo nonché riconoscendo capacità di proposta anche ai Parlamenti nazionali;

6) elezione del Presidente della Commissione Europea da parte del Parlamento Europeo con eliminazione del potere del Consiglio Europeo di proporre il nome del candidato; il Consiglio Europeo sarà chiamato a confermare la scelta del Parlamento;

7) rafforzamento della politica di approvvigionamento delle fonti di energia e delle azioni di difesa dalle calamità naturali e nuove competenze della governance dell’UE nei settori della salute, istruzione, ricerca, ambiente naturale, energia, difesa, con la creazione dell’Unione della Difesa, creando unità militari e forze di reazione rapida, sotto il comando operativo dell’UE;

8) competenza esclusiva dell’Unione per l’ambiente naturale e la biodiversità; competenze condivise con gli Stati dell’UE (secondo il principio di sussidiarietà) in materia di sanità pubblica, giustizia, istruzione e formazione professionale, protezione civile, industria, energia, affari esteri, difesa, sicurezza interna ed esterna, politica delle frontiere, infrastrutture transfrontaliere;

9) eliminazione della clausola che un atto comunitario possa essere impugnato solo da persona fisica o giuridica che sia individualmente e direttamente toccata dal provvedimento, ampliando quindi la sfera di rilevanza del contenzioso giuridico;

10) in chiusura, sorprende l’assenza di modificazioni nel campo fiscale proprio dell’Unione, che sarebbero necessarie, invece, per consolidare e allargare la capacità fiscale dell’UE, aumentando quindi la capacità di azione della stessa.

Basterà la riforma dei trattati europei per creare un habitat per il rilancio della capacità dell’UE di essere protagonista sugli scenari mondiali oppure l’UE è destinata a diventare ancor più attrice secondaria, come è successo nella guerra di Ucraina, con grandi strombazzamenti e viaggi a profusione dei leader politici europei, quasi sempre a titolo individuale; nella realtà coperti dall’ombrello statunitense?

Lo stesso sta capitando nella questione palestinese, e qui non c’è nemmeno il vuoto strombazzamento.

D’altra parte, come essere presenti sugli scenari mondiali se l’UE non è capace di produrre una vera politica estera comune? A tal fine, non basta aver creato la figura di Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, se poi ogni Stato – che pensa di essere importante – agisce individualmente (senza grande successo) e non con spirito comunitario!

Daniele Ciravegna