Se Giorgia perde la … brocca – di Domenico Galbiati
Quando Giorgia sbrocca, la Meloni mostra il suo vero volto, com’è successo in questi ultimi giorni, ripetutamente, in Parlamento. Ha fatto sfoggio di un’identità politica che non è relazionale, tanto meno dialogica, ancor meno inclusiva, ma strutturalmente “oppositiva”. Dunque, necessariamente divisiva.
E sembra che ciò non accada a suo dispetto, ad esempio, come portato di un sistema bipolare incapace di dar voce al pluralismo che arricchisce la società civile e tale, per sua natura, da costringere a mutuare atteggiamenti di contrapposizione a prescindere. Ma, piuttosto, pare si collochi esattamente qui il crinale su cui la Presidente del Consiglio sta, via via, costruendo la sua modalità di governo: dividere non unire, fidelizzate fratelli ed affini, contrastare con veemenza i reprobi, causa storica e sentina di tutti i mali che la sua “missione” è chiamata a redimere.
In un momento in cui le sfide d’affrontare richiederebbero, senza rincorrere sincretismi inconcludenti, quindi rispettando le fisiologiche diverse opinioni ed i differenti compiti istituzionali, che, perlomeno, ci si ascolti. In altri termini, Giorgia Meloni non sembra in grado di porsi come leader del Paese, capace, cioè, di sostenere quel ruolo coesivo e tendenzialmente unificante di chi deve governare tutti gli italiani e non solo il proprio elettorato.
Al contrario, la misura che davvero le appartiene ed, infatti, le vien naturale, non va oltre una postura da capo di una fazione.
Dallo scranno più alto del governo, l’abito mentale che sovraintende al suo modo di porsi è pur sempre lo stesso che ha vestito dall’ opposizione, in particolare contro il governo di Mario Draghi. A tale proposito, peraltro, è comprensibile che, nel suo altalenante rapporto con Macron, abbia probabilmente letto la candidatura di Draghi a Presidente della Commissione europea, proposta dal collega transalpino, non come un “assist”, ma piuttosto, in linguaggio tennistico, la ricerca di un “ace”, il tentativo, cioè, del Presidente francese di segnare un punto a suo favore, senza farle toccare palla. Non a caso – solo una coincidenza temporale? – la Presidente del Consiglio ha preso cappello, nei giorni immediatamente successivi all’uscita di Macron – quasi fosse presa dal panico – per quanto si tratti di una prospettiva appena accennata e, peraltro, contraddetta dal diretto interessato.
L’aggressività con cui ha azzannato il povero Conte, capitato lì per caso, attesta un’allerta preoccupante, il bisogno vitale di scaricare una tensione crescente. Forse anche per stendere una cortina fumogena che veli l’ attacco che, a braccio, le è scappato di mano contro Mario Draghi. Insomma, Giorgia non è riuscita, d’ istinto, a trattenere quel che la Meloni non poteva dire. Cosicché è il cerchio magico che le sta attorno che, vivamente allarmato, ha dovuto intervenire a sua difesa e non il contrario come succede di solito. Bisogna comprenderla.
Se davvero approdasse a Bruxelles un personaggio della statura di Mario Draghi, la cui autorevolezza è universalmente riconosciuta al di qua ed al di là dell’Atlantico, molti in lui vedrebbero, in controluce al ruolo europeo, l’ “italiano”, l’ uomo che, di fatto e per quanto informalmente, garantisce per il suo Paese d’ origine. Ed, a quel punto, addio sogni di gloria….anche sul piano delle relazioni internazionali, per la signora di Palazzo Chigi, la cui immagine finirebbe per essere inevitabilmente oscurata, nel cono d’ombra proiettato da Draghi.
Domenico Galbiati