L’infinita tragedia ebrei – palestinesi – di Massimo Molteni
Di fronte alla immane tragedia umanitaria e civile di Gaza di questi giorni e alla ormai storica questione israelo-palestinese che ci accompagna da qualche decennio, nella opinione pubblica credo non ci sia precisa contezza della complessità della questione: bandiere, manifestazioni et similia sono l’espressione di una non precisa conoscenza del problema.
Primo punto: lo stato di Israele
Nasce dopo complesse vicende dopo la seconda guerra mondiale per dare una patria ai milioni di Ebrei sparsi per il mondo: una identità di popolo millenaria, diffusa in tutto il mondo, che travalica anche le etnie che si coagula di nuovo in una forma-Stato nello stesso luogo da dove ha avuto origine come popolo e che non abitava da millenni.
Già, ma chi sono gli Ebrei?
Essere Ebreo non è come esser italiano o francese o cinese: si è Ebrei per discendenza matri-lineare (figli di madre ebrea) secondo la versione ebrea ortodossa o per discendenza anche patri-lineare o mista: e si è ebrei a prescindere dallo Stato dove si vive e abita.
Essere Ebreo è storicamente legato alla religione ebraica: però, a differenza di altre religioni, non è tipico dell’ebraismo il “proselitismo”. Sono più portati ad escludere che ad includere perché è il popolo ebraico ad avere stipulato un patto con Dio: la religione ebraica è la espressione della fedeltà di un popolo al patto.
Un Ebreo, resta tale anche se non professa la religione ebraica: appartenere al “popolo ebraico” determina una sorta di solidarietà verso ciascun membro di questa “comunità” che va oltre l’aspetto religioso: millenni di storia, spesso travagliata, lo testimoniano.
Uno Stato con questa finalità è un “unicum” assoluto: di fatto non può integrare dentro i suoi confini chi non è Ebreo: al massimo li può tollerare come “ospiti”.
Non è una questione di cittadinanza o di cultura: ma di essenza dell’essere Ebreo.
Secondo punto: la Palestina
Come entità geografica è diventata tale con la nascita e lo sviluppo storico del popolo ebraico, migliaia di anni fa: storicamente nei secoli antichi c’era una perfetta sovrapposizione tra popolo Ebraico e Palestina.
Con la diaspora ebraica, è rimasta una entità geografica abitata da non ebrei, ma non ha mai avuto uno status giuridico proprio: è sempre rimasta un area geografica sotto il dominio di altri imperi: i Bizantini, poi l’impero Ottomano.
Dopo la distruzione di Gerusalemme, la Palestina era abitata da popolazioni arabe e beduine: con la loro conversione all’islam, quelle popolazioni si sono identificate anche con la religione mussulmana.
Con il crollo dell’impero ottomano, dopo la prima guerra mondiale, il territorio geografico corrispondente all’odierna Palestina, la Giordania e a gran parte dell’odierno Iraq divenne “protettorato britannico”.
Le terre di quel protettorato erano per la maggior parte possedute da arabi, e la popolazione ebrea cominciò a crescere di numero grazie a immigrazioni prevalentemente dall’Europa: in quegli anni un movimento, definito sionista, cominciò a combattere contro il regno Unito, per conquistare un territorio, la Palestina, da destinare agli Ebrei che volessero ritornare nella terra dove era nato il popolo ebraico.
Dopo la seconda guerra mondiale, con il placet delle potenze che avevano vinto la seconda guerra mondiale e dell’ONU, venne costituito lo Stato d’Israele su una parte dell’ex protettorato britannico: e questo stato venne subito riconosciuto dal mondo occidentale e anche dall’Unione Sovietica di Stalin.
Naturalmente poiché Israele nasce per dare uno stato al popolo ebraico, chi non era Ebreo fu subito espulso dal territorio e i loro terreni confiscati, brutalmente.
E questo vulnus non è mai stato risolto.
Nel 1948 l’Egitto propose di costituire nella striscia di Gaza uno entità autonoma statale per dare una patria agli arabi che abitavano la Palestina e che erano stati espropriati dei loro averi dagli Ebrei ed espulsi dalla Palestina.
L’idea di una entità statuale palestinese autonoma dalle altre nazioni arabe trova la sua consacrazione solo nella seconda metà degli anni ottanta, quando l’OLP e il suo leder Arafat hanno il loro riconoscimento a livello globale.
Fino alla nascita ufficiale dello Stato di Israele, non è mai esistita una “questione palestinese”, né esisteva un “popolo palestinese” e tantomeno si pensava ad uno stato palestinese.
E’ probabile che se non ci fosse stata la contrapposizione tra mondo occidentale, nell’orbita americana, e mondo comunista, nell’orbita sovietica, la questione palestinese non sarebbe mai nata.
Il medio oriente era terra di scontro tra le due superpotenze che si contendevano un territorio considerato “arretrato”, ma ricco di risorse naturali, fondamentali per gli equilibri di potere: e quelle popolazioni erano “usate” nello scontro in essere (molte rivolte arabe degli anni cinquanta e sessanta hanno anche questa ragione).
L’Unione Sovietica di Stalin fu tra le prime nazioni a riconoscere lo Stato d’Israele come “nazione ebraica” nel 1948, nel pieno degli espropri di terra…ma all’epoca la Guerra Fredda non era ancora cominciata.
La questione palestinese nasce quindi come reazione ai brutali espropri di territorio che non potevano trovare compensazione o soluzione all’interno dello Stato di Israele, riservato ai soli Ebrei; si accentua perché le popolazioni arabe si sentirono profondamente violate dal mondo occidentale non mussulmano che pure sosteneva regimi arabi deboli e spesso corrotti; esplode perché diventa una pedina sullo scacchiere della guerra tra le due superpotenze dell’epoca.
E così, da questione di terra, diventa contrapposizione tra “poveri” e “ricchi”, tra occidente e oriente, tra comunismo e mondo occidentale, e infine, con il passare degli anni, anche tra religioni.
Agli stati arabi confinanti con Israele non è mai interessato far sorgere uno stato Palestinese: ma per evitare milioni di profughi sui propri territori, per di più a discapito di un usurpatore come il popolo ebraico, lo stato Palestinese è diventata una opzione percorribile.
Il mondo occidentale, un po’ spaventato dalla necessità di mantenere le “mani” sul petrolio, un po’ infastidito dalla presenza di un popolo, quello ebreo, così radicalmente diverso da tutte le altre popolazioni che per di più richiamava anche indirettamente il fastidio di un Dio che aveva a che fare anche con la religione cristiana, ha balbettato per decenni, stretto tra la necessità di risarcire il popolo ebraico dall’olocausto e il senso di colpa di aver causato un danno alle popolazioni arabe espropriate.
L’idea di uno Stato Palestinese, probabilmente furbescamente supportata dall’Unione Sovietica in funzione anti-occidentale, è diventata così una idea “catartica”: due stati che convivono pacificamente sulla stessa terra e così la “coscienza occidentale” sarebbe stata salva.
Sul piano della logica geografica era ed è una idea assurda e senza reali possibilità di successo: è assai complicato che il cuore del territorio, la Cisgiordania, che contiene l’identità ebraica che si è voluta “risarcire” attraverso la creazione dello Stato di Israele, possa dar vita ad uno stato – la Palestina – diviso in due entità tra loro geograficamente divise: la striscia di Gaza e la ex Cisgiordania, governato da una organizzazione, l’OLP, che ha come “missioni” l’annientamento o l’espulsione degli Ebrei dai territori arabi arbitrariamente occupati, visto che tutto il territorio di quella arte di mondo – non una parte – è sempre stato abitato da arabi, dopo la diaspora ebraica del 70 dopo Cristo.
Il mondo occidentale ha compiuto un errore tragico e dalla drammatiche conseguenza quando con il ritiro unilaterale di Israele dalla striscia di Gaza, invece di concorrere rapidamente a dar vita ad uno Stato Palestinese autonomo, progressivamente prospero, costringendo Israele a rapporti di buon vicinato, almeno economico, si è consentito dapprima un governo corrotto da parte dell’OLP, mantenendo una ambigua posizione sui confini dello Stato di Israele, poi si è insistito con la esportazione della democrazia occidentale nel mondo palestinese: sciocchezza devastante che ha causato milioni di morti anche in Iraq
E così l’OLP è stata “democraticamente” soppiantata da Hamas, nata con lo scopo di distruggere il popolo ebraico: non può esistere Israele senza il popolo ebraico e viceversa.
E infine il mondo occidentale, in primis l’Europa, ha continuato a lasciar crescere l’idea di uno Stato Palestinese che comprendesse la striscia di Gaza e la Cisgiordania, culla della identità del popolo ebraico che si voleva difendere: e per di più la Cisgiordania è una zona fondamentale per il controllo delle vie d’acqua. In una terra desertica.
Israele, secondo questo curioso pensiero progettuale, sarebbe quindi l’unica enclave non arabo mussulmana in medio oriente, nato da un “esproprio” terriero deciso dalle nazioni occidentali, circondata da paesi che non ne avevano riconosciuto il diritto ad esistere, nemmeno formalmente, rinunciando anche al territorio storico della propria identità ebraica che pure gli era stata riconosciuta da quel mondo occidentale che adesso chiede di dare spazio ad uno Stato “nemico” proprio dentro un territorio che è il fondamento della sua esistenza come popolo.
Si fa spesso riferimento al fatto che Israele ha occupato con la guerra la Cisgiordania e che quindi la deve restituire.
La “west bank” era un territorio che i britannici avevano assegnato al regno hascemita con la dissoluzione dell’impero ottomano e che non avevano concesso agli ebrei con la nascita di Israele per complessi calcoli di potere per gestire i difficili equilibri medio-orientali: il regno Hashemita di Giordania (nato all’inizio del secolo scorso da una dinastia derivante dalla Mecca) non ha mai avuto un grande interesse su quella porzione di territorio e ancor meno aveva interesse ad avere al proprio interno una grande minoranza arabo-palestinese che poteva minare i fragili equilibri del proprio regno fondato principalmente sull’appoggio delle popolazioni beduine, minoritarie numericamente, ma prevalenti in tutti gli apparati dello stato.
La questione posta brutalmente da Hamas, è la vera e fondamentale questione: il popolo ebraico ha diritto di esistere e di organizzarsi in uno stato – Israele – che ha la finalità di difenderne interessi e sopravvivenza su un territorio chiamato Palestina, tramite una decisione presa da potenze estranee a quei territori, con una azione di vero esproprio, anche se autorizzata all’epoca dall’ONU, con l’espulsione dei legittimi abitanti dell’epoca?
Hamas e molti nel mondo pensano di no.
Se lo accettassero, accetterebbero il fatto che le nazioni occidentali hanno il potere di prendere decisioni che incidono nella vita e nei territori non occidentali.
Se anche noi occidentali pensassimo che Israele e gli Ebrei sono stati un nostro errore e che non devono esistere, li condanneremmo ad un massacro come quello hitleriano: e se così finisse, poiché sarebbe letta da tutto il mondo anche come una sconfitta occidentale e Europea in particolare, questo aprirebbe la porta a nuove e ulteriori drammatiche conflittualità, anche dentro i confini dell’Europa stessa.
Quindi Israele ha il diritto di massacrare la popolazione inerme della striscia di Gaza? Assolutamente no.
Hamas ha il diritto di continuare ad esistere e fare quello che fa da anni? Assolutamente no.
Bisogna convincere arabi e mussulmani (e dietro le quinte anche russi, cinesi, indiani, africani etc. etc.) che Hamas deve essere debellato, una volta per tutte: e, vista la potenza militare che ha acquisito anche con la complicità occidentale, la sua sconfitta definitiva avrà un costo altissimo.
Bisogna essere determinati affinché uno Stato Palestinese possa sorgere e svilupparsi nella striscia di Gaza con l’aiuto di tutti, a condizione – anche imposta – che riconosca il diritto di Israele ad esistere
E’ di fondamentale importanza riconoscere che Gerusalemme è città ebraica: chi mai l’ha fondata?
Bisogna inventarsi in fretta uno status speciale che garantisca la straordinarietà di questa città così che sia una sorta di città a statuto speciale, rivendicata da molti e proprietà di nessuno.
Il drammatico problema è la Cisgiordania: quante generazioni devono passare per trovare una qualche forma di convivenza pacifica e costruttiva?
E’ necessario inventarsi una soluzione che garantisca una realtà a “macchia di leopardo”, una sorta di “alto Adige” nelle zone palestinesi nelle zone abitate dai Palestinesi, all’interno di un perimetro israeliano.
Senza un autorevole impegno internazionale, appare pensiero utopico.
Epe prima cosa, smettiamo di continuare a perpetrare pensieri impossibili: così ridurremo la violenza esplosiva degli arabi e forse anche la protervia israeliana.
Massimo Molteni