80 anni di guerra in Palestina – di Massimo Brundisini
Quando al liceo arrivava il momento di studiare la guerra dei cent’anni, ricordo che la durata inusitata di quel conflitto appariva a me, e penso a tutti, un’enormità. Ma sono un’enormità anche i quasi ottanta anni (ma forse anche molti di più) di un conflitto che in questi giorni ha visto un’atroce recrudescenza, e che ha accompagnato, avvilito e intristito, a più riprese, tutta la mia esistenza e quella di miliardi di abitanti di questo bel Pianeta, per non parlare delle popolazioni coinvolte, in conclusione una sconfitta per tutta l’Umanità.
La coincidenza geografica della presenza dei siti sacri alle tre grandi religioni monoteistiche sembra poi un tragico scherzo del destino, che sembrerebbe mefistofelicamente programmata per infiammare gli animi ed impedire soluzioni pacifiche, esaltando gli opposti integralismi. Le colpe legate alla superficialità delle potenze coloniali che a suo tempo decidevano con il righello le sorti di intere popolazioni sono evidenti, ma ormai prescritte.
Sono momenti terribili, nei quali rimaniamo tutti attoniti e sconvolti dalla devastazione materiale e morale, dalla barbarie della violenza dell’uomo sull’uomo, e nei quali sembra quasi che ci sia una gara a chi riesce ad essere più disumano. Certo i numeri sono tragici, anche se per ora impallidiscono di fronte ai 430000 morti e 12 milioni tra sfollati interni e all’estero della guerra in Siria, dei 650000 morti della guerra in Iraq e dei 100000 morti della guerra in Yemen, di cui 7500 bambini, solo per rimanere nell’area, non dimenticando la Libia. Auguriamoci che anche in questo caso qualcuno non si adoperi per entrare nel Guinness..
Non entro nel merito degli accadimenti, ma voglio solamente di accennare a due fatti che mi hanno colpito nel loro essere emblematici, e che cito per dovere di cronaca: il primo riguarda la visione delle cose da parte di autorevoli esponenti del mondo ebraico. Comincio da Yuval Noah Harari, storico e politologo israeliano di fama mondiale, di cui mi sono occupato in precedenti articoli (CLICCA QUI). E’ famoso per alcune sue esternazioni estreme, come quando ha definito Gesù una fake news, ma anche per essere tra i sostenitori del piano del WEF denominato Great Reset, tra l’altro esaltatore e propugnatore del transumanesimo e, come Schwab parla apertamente di esseri umani tecnologicamente migliorati che non sono più umani, bensì postumani. Di seguito una frase emblematica del teorico distopico, che imperversa sulle nostre vite con piglio saccente: “Elimineremo la fede in Dio, porremo fine al libero arbitrio e vigileremo in modo che le persone pensino esattamente quello che noi vogliamo fargli pensare”. Le frasi si commentano da sole.
Ho fatto questa premessa per presentare brevemente Harari e cercare d’inquadrare la sua presa di posizione. In due articoli, comparsi venerdì 13 ottobre scorso, uno su La Stampa, ripreso dal The Guardian, dal titolo:” Una grande coalizione per la pace tra USA, Europa e Arabia Saudita”, l’altro sul Corriere della Sera, ripreso dal Washington Post: “Il prezzo del populismo”, ma dal sottotitolo micidiale nella sua durezza:” Il fiasco di un esecutivo guidato da un incompetente. Sconfitta Hamas abbandoniamo complotti e fantasie”, Harari ci racconta che due suoi zii, di 89 e 99 anni, erano nel kibbutz di Be’eri e sono sopravvissuti all’attacco. Nei due articoli riconosce l’arroganza dei governi israeliani che nei decenni hanno impedito soluzioni di pace, ma poi dice senza mezzi termini che il Primo ministro, uomo forte del populismo, è un incompetente e che ha sempre agito per i propri interessi e non per quelli della nazione.
Questa affermazione fa il paio con la grande rabbia che sta montando in Israele verso Netanyahu e le sue politiche: moltissimi ritengono che sia stato un ostacolo alla pace. Qualcuno lo accusa addirittura di aver lasciato volontariamente sguarnito il confine sud di Gaza, dove gli assalitori non hanno praticamente incontrato alcuna resistenza: aveva infatti concentrato il grosso dell’esercito in Cis-Giordania a difesa degli insediamenti (Illegali). Quella di Harari è una posizione condivisa dalla grande maggioranza degli israeliani: quattro israeliani su cinque ritengono che il Governo e il Primo ministro Benjamin Netanyahu siano responsabili dell’attacco dei terroristi di Hamas e del massacro nel sud di Israele, secondo un nuovo sondaggio del Dialog Center (dal Jerusalem Post). La stragrande maggioranza, l’86% degli intervistati, compreso il 79% dei sostenitori della coalizione di governo, ritiene che l’attacco a sorpresa da Gaza sia un fallimento della leadership del Paese, mentre uno sconcertante 92% ritiene che la guerra sia causa di ansia (CLICCA QUI) Queste informazioni sembrano avere poca risonanza nei nostri media, sempre timorosi di dover scontentare qualcuno, la qual cosa non ci aiuta a capire le dinamiche attuali. Ricordo anche un’esortazione di Harari, quella di liberarsi del passato.
Sul timore di tanti sulla possibilità che rimanga ”un uomo solo al comando”, segnalo anche questa intervista dell’ex Ministro della Salute Israeliano Nitzan Horowitz, membro del Gabinetto di sicurezza fino a dicembre dello scorso anno (CLICCA QUI).
L’altro fatto, che in realtà mi ha colpito ancora di più, è un antecedente a dir poco sconcertante. Il 23 settembre scorso, alle Nazioni Unite, il Primo ministro Israeliano ha presentato una mappa del nuovo Medio Oriente dove non esiste più la Palestina (CLICCA QUI). Durante il suo discorso di circa 25 minuti, Netanyahu ha parlato di una nuova regione mediorientale dove la Cisgiordania occupata e la Striscia di Gaza assediata farebbero parte di Israele. Come ha spiegato con entusiasmo Netanyahu, l’ingrediente principale di questa nuova mappa sarebbe “la pace tra Israele e Arabia Saudita”, come aveva poi affermato Harari nei suoi articoli. Riguardo la cosiddetta pace con paesi arabi, il Premier sionista ha chiarito la sua posizione sul ruolo dei palestinesi: “Non dare loro il diritto di veto sui nuovi trattati di pace con gli Stati arabi”, aggiungendo che i palestinesi “dovrebbero far parte di questo processo, ma non avere diritto di veto su di esso”.
La evidente consecutio temporum tra le dichiarazioni all’ONU e i tragici fatti sul campo fa sorgere delle domande, e lascia aperti due diversi scenari: non ne parlerò qui, ma lascio alla fantasia degli eventuali lettori l’elaborazione delle due possibili evoluzioni di questa storia infinita e distruttiva. Questa sconcertante casualità, il fatto che gli imponenti preparativi di Hamas, che sembra andassero avanti da due anni, non siano stati scoperti da quelli che sono universalmente considerati i migliori servizi segreti sul Pianeta e il fatto che il confine con Gaza sia stato lasciato praticamente sguarnito, come affermato da Dov Weissglas, ex braccio destro di Sharon, che nella trasmissione “In mezz’ora” (CLICCA QUI ,dal minuto 40) riferisce anche del ritardo dell’intervento dell’esercito che, per ragioni ignote, non si è fatto vedere per molte ore, rende plausibile, come conseguenza, che si stiano naturalmente sviluppando una gran quantità di teorie complottiste. Weissglas manifesta poi grande meraviglia del fatto che sia stato consentito il riarmo di Hamas. Rimane quindi la discrasia tra le dichiarazioni all’ONU e l’attacco al Premier israeliano ad altissimi livelli: ci potrebbero essere sorprese?
Tralascio, e magari rimando ad altro scritto, le considerazioni sul fatto che questa terra sia punto di scontro tra le tre grandi religioni monoteistiche, mentre le religioni dovrebbero, per loro stessa natura ed essenza, essere motivo di incontro tra i popoli. A riprova dell’interconnessione, è emblematico che l’Ospedale Pediatrico bombardato sia cristiano, come anche la più antica chiesa di Gaza, per non parlare dei martiri della Caritas. Ricordo solo un nome che dovrebbe riportare tutti alla concretezza: Armageddon, luogo che sembrerebbe situato a 15 km da Nazareth, dove il bene riporterà la sua vittoria sui re malvagi, grazie all’intervento divino, per ridare il potere ai buoni e ai giusti e portare l’Umanità verso nuovi cieli e nuove terre. E non dimentichiamo che il Doomsday Clock, l’orologio della fine del mondo, è a soli 90 secondi dalla mezzanotte, ma come sul Titanic continuiamo tutti a ballare allegramente.
Nel frattempo, a globalizzare il quadro ci ha pensato Biden, dichiarando in pratica una guerra santa a difesa delle democrazie e chiedendo 105 miliardi di dollari al Congresso per la bisogna. Questo il cedolino della spesa: 60 milioni all’Ucraina, 30 a Israele , 7 a Taiwan, e…..varie ed eventuali: dobbiamo prepararci ad una guerra perenne senza nemmeno tentare di ipotizzare soluzioni che possano essere in grado di riportare la pace su tutto il Pianeta? La Terra sarebbe sicuramente un posto migliore se le migliaia di miliardi spesi in armamenti fossero dirottati verso il sostegno dei popoli più bisognosi e verso la sconfitta della fame nel mondo.
P.S. Avevo da poco chiuso questo scritto, quando mi sono ritrovato proprio Harari intervistato a lungo in tv dalla giornalista Gruber. Anche in questa occasione, non si è risparmiato dall’attaccare frontalmente Netanyahu, ritenendo il suo populismo causa dei disastri attuali, anzi aggiungendo all’accusa di incompetenza quella di irresponsabilità, oltre ad affermare che negli ultimi 14 anni ha pensato più ai propri interessi, continuando poi con l’accusa di aver diviso il paese e aver suscitato reazioni di ribellione da gran parte della società. Noi, per l’incapacità di tutti gli attori a giungere ad una soluzione, ad esempio, paghiamo da anni la presenza di 1200 soldati italiani al confine con il Libano, per non parlare dell’incommensurabile costo del pluridecennale avvilimento degli animi. Se l’80% degli Israeliani ritiene Netanyahu colpevole dell’accaduto a causa delle sue politiche (e sui giornali locali si possono trovare critiche pesantissime), perché ad esempio noi europei non siamo mai stati capaci neanche di una minima critica costruttiva che, molto probabilmente, avrebbe potuto favorire un processo di pace?
Massimo Brundisini