Siamo diventati un Paese d’intolleranti. I casi Zaki e Ovadia

Siamo diventati un Paese d’intolleranti. I casi Zaki e Ovadia

L’attacco sanguinoso di Hamas a Israele e la risposta dello Stato ebraico contro Gaza continuano a provocare infiammate discussioni e scontri di piazza in tutto il mondo. Come già accaduto molte volte in precedenza, l’ultima occasione è stata per la guerra d’Ucraina, gran parte del dibattito finisce per essere ridotto ad uno scontro tra tifoserie. E molto, almeno in Italia, sempre collegato alle vicende politiche di casa.

E’ evidente che ogni guerra, con il carico di sangue che ci scorre dinanzi tutti i giorni, scatena passioni e porta ad un coinvolgimento emotivo molto acceso. Ma questo giustifica l’impossibilità di sviluppare ragionamenti e riflessioni, ricordare le vicende storiche che a questo o a quel conflitto hanno portato? La Storia c’è e non si cancella. Questo vale per le vicende che da sempre vedono stati, popoli ed etnie l’una contro l’altra.

Si dice spesso che la prima vittima di una guerra è la verità. E, dunque, seguita dal diritto di dire la propria opinione e cercare di andare alle cause più profonde che terminano situazioni che, con le guerre moderne, sono sempre più truculente, soprattutto a danno dei civili. Che spesso sono sempre innocenti. E questo vale anche per la cultura di un popolo, le sue tradizioni, il suo bagaglio letterario e artistico.

Così, come subito all’indomani della terribile invasione russa dell’Ucraina si giunse a “censurare” Dostoevskij, alla Fiera del libro di Francoforte ha annunciato la cancellazione della cerimonia di premiazione di Adania Shibli, autrice palestinese del libro “Un dettaglio minore”. La Shibli, sia ricordato per inciso, non vive a Gaza e si è laureata all’Università Ebraica di Gerusalemme. La conseguenza della decisione è stata che moltissime case editrici arabe si sono ritirate dalla Fiera e si sono levate tantissime proteste da parte di autori musulmani che niente a che fare hanno con Hamas. Scelta intelligente?

In Italia dobbiamo registrare la cancellazione della partecipazione di Patrick Zaki ad una trasmissione televisiva prevista nei giorni immediati l’attacco di Hamas in Israele. Si tratta di quello stesso Zaki che si è sempre espresso contro ogni forma di terrorismo e di violenza politica e per questo è finito incarcerato in Egitto. Da quelle carceri è uscito solo grazie alla mobilitazione dei suoi colleghi dell’Università di Bologna e di tantissimi italiani convinti di sostenere il suo diritto a parlare liberamente nel suo paese. Chi era interessato non ha potuto ascoltare la sua voce e comprendere il significato delle sue parole sulla necessità di comprendere nel profondo ciò che potrebbe spiegare, che è cosa diversa dall’accettare, la nascita del terrorismo. Che poi è quello che più né meno fanno i migliori apparati al mondo delle agenzie di sicurezza.

Se a Zaki è stata negata la televisione c’ha pensato il Direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, notoriamente di fede ebraica, a ridargli la parola in occasione della presentazione del libro del giovane ricercatore egiziano, “Sogni e illusioni di libertà”.

Il massimo, però, l’abbiamo raggiunto con la vicenda di Moni Ovadia. E’ stato costretto a dimettersi dalla direzione del Teatro comunale di Ferrara per le sue dichiarazioni contro Netanyahu, da lui da sempre criticato per la politica d’Israele. Come se Ovadia fosse il primo ebreo a tenere ben distinto Israele dai suoi governanti e dai loro comportamenti verso i palestinesi. Non è bastato il ripetere da parte di Ovadia, noi glielo abbiamo sempre sentito dire, che “la morte anche di una sola persona, sia essa israeliana o palestinese, è sempre una tragedia e va condannata con tutte le forze”. Inoltre, non si capisce proprio cosa c’entri la direzione artistica di un teatro con le opinioni personali di chi la conduce. Non ci sarà al fondo il tentativo d’imporre un “pensiero unico”. Simmetrico a quello che tanti personaggi della destra rimproverano alla sinistra?

Ma si sa ci sono sempre quelli che vogliono fare gli zelanti e, nel caso d’Israele, dimenticare la grande varietà di opinioni che contraddistinguono quella democrazia, l’unica dell’area mediorientale. Così si sorvola sul sondaggio di cui abbiamo dato conto anche noi (CLICCA QUI) secondo il quale la stragrande maggioranza degli israeliani lo considera responsabile di quanto accaduto lo scorso 7 ottobre. Critica che si aggiunge a quella che già ha visto mobilitato Israele contro la sua riforma della giustizia.

E in quella occasione anche il mondo dei militari israeliani non ha esitato a schierarsi contro l’attuale oltranzista Primo ministro ebraico. Come abbiamo ricordato, lo ha fatto persino un ex comandate militare, che fu Vice capo del Servizio segreto del Mossad , Amiram Levin, secondo il quale nella Cisgiordania sarebbe stata creata una vera e propria “apartheid assoluta” (CLICCA QUI). Non è da escludere che qualcuno dalle parti nostre finirà per definire anche Levin un filo Hamas e un antisemita.

Alessandro Di Severo