Il ritorno di Erode – di Domenico Galbiati

Il ritorno di Erode – di Domenico Galbiati

La “strage degli innocenti” ricorre nei titoli a nove colonne o nei commenti dei quotidiani.

Un’ecatombe che non ha fine, destinata a ripercuotersi su altri bambini, anche dall’ altra parte, nei Territori palestinesi, tra miseria e stenti. Centinaia di giovani falcidiati senza pietà, decine di bambini uccisi – alcuni, si dice, addirittura decapitati – danno la misura della ferocia disumana scatenata da Hamas.

La logica sottesa all’attacco di sabato scorso è quella dell’ “olocausto”, l’eradicazione di un popolo, il suo sacrificio supremo. Ancora una volta la colpa è quella di essere “ebrei”. Non la sconfitta, ma la distruzione di Israele, la pretesa – ricorrente – di cancellarne dalla storia perfino la memoria. La storia non insegna nulla. Al decantato progresso scientifico, tecnico, economico non corrisponde altrettanto progresso sul piano etico e morale.

C’è chi ha osservato che perfino Pol Pot, che pure aveva programmato il genocidio sistematico del suo stesso popolo cambogiano, rispettava i bambini. Senonché l’odio scava abissi insondabili nel cuore dell’ uomo.
Profondità sconfinate che possono essere abitate dal demone di un’alienazione disumana, oscura, vertiginosa oppure dall’ eroismo e dalla santità. Cosa c’è al di là dell’odio? Cosa c’è oltre i confini dell’umano? Basta l’odio per concepire che si possa decapitare un bambino? Oppure c’è bisogno di spingersi oltre? Fin dove?

In territori che non ci sono parole per cercare di darne conto, concetti che provino a delinearne un profilo.
Nel linguaggio comune ricorriamo spesso alla dicotomia “amore-odio” perché riconosciamo come ambedue – dunque anche l’odio – siano sentimenti che ci appartengono, cioè rientrano nella sfera di ciò che è umanamente possibile.
Ma cosa c’è al di là dell’odio? Forse l’ “a-patia” del carnefice, il vuoto assoluto, il deserto dei sentimenti, un ottundimento della coscienza morale che evoca il nulla, la negazione dell’ essere.

Pare che Himmler abbia cominciato a pensare alle camere a gas quando si accorse che, nei reparti della Wehrmacht incaricati delle fucilazioni di massa nei Paesi dell’Est, montava una nausea morale che i soldati non erano più in grado di reggere ed avrebbe potuto trasformarsi in rivolta. Le camere a gas non solo consentivano di attuare omicidi di massa, ma anche di separare il gesto criminale dalla vista e dalla coscienza dei suoi effetti. Non più uomini, donne, bambini allineati sul ciglio di una fossa comune che si afflosciavano come pupazzi e vi cadevano dentro. Non più quegli occhi che rischiavi di incrociare nel momento stesso in cui ti apprestavi a premere il grilletto. Ma un’ operazione a suo modo asettica come versare, dal tetto delle camere, flaconi di Zyklon B nei diffusori delle docce.
Toccava ad altri sgombrare i cadaveri. Una organizzazione del crimine, una divisione del lavoro studiata freddamente e diretta ad ottenere quella sofisticata e radicale alienazione che letteralmente trasformava gli uomini in automi, in “oggetti” privati della loro umanità, alla stregua di apparati meccanici da cui era stata divelta la coscienza.

Ci siamo un’altra volta? Quello che auguriamo al popolo d’ Israele è che dal dolore immane che gli è stata inflitto – nel secolo scorso in modo del tutto particolare ed oggi ancora – sappia trarre un respiro di umanità che gli consenta di commisurare alla giustizia che rivendica, quel sentimento di misericordia che la stessa esperienza della sofferenza vissuta in prima persona insegna e suggerisce.

Domenico Galbiati