Hamas Israele: il piano dei due contendenti – di Mattia Molteni

Hamas  Israele: il piano dei due contendenti – di Mattia Molteni

Sera dell’8 ottobre 2023: mi trovo a riflettere su quanto sto vedendo da ieri circa il conflitto israelo-palestinese.

Innanzitutto per la prima volta osserviamo una vittoria palestinese che vede i militanti di Hamas sconfiggere i regolari israeliani occupando caserme e villaggi in pieno territorio ebraico. Molte delle suddette località sono tutt’ora teatro di contesa tra le due fazioni il che implica una capacità militare significativa. A riprova di ciò possiamo affermare che oggi Hamas abbia costretto Israele a riconoscere lo Stato Palestinese (quantomeno di Gaza) visto che per la prima volta dopo la guerra del Kippur del 1973 Israele ha applicato lo stato di guerra. In termini tecnici è evidente che ciò non è un formale riconoscimento politico ma, de facto, entrare in guerra con un’entità significa riconoscerla. Ovviamente da questo atto non deriverà nulla di buono (perlomeno non per chi si augura moderazione) poiché consente alle forze israeliane di operare in autonomia rispetto all’individuazione di bersagli, obiettivi e strategie per conseguirli. In altre parole luce verde all’uso (quasi) illimitato dello strumento militare a disposizione delle Israeli Defence Forces (IDF).

Secondo punto su cui vorrei si riflettesse riguarda la capacità di una formazione paramilitare di fronteggiare e infliggere una sconfitta militare a uno dei più organizzati e temuti eserciti del pianeta. Nella narrazione comune i combattenti africani/mediorientali sono spesso definiti “ciabattari” poiché sovente si presentano sul campo con barracani tradizionali e le immancabili calzature aperte che, lungi dall’esser utili all’esercizio bellico, trasmettono immediatamente l’idea di improvvisazione caciarona e dilettantesca. Ieri le forze Qassam, i membri delle brigate Al-Aqsa tutto erano tranne che ciabattari. Prova nei sia il fatto che non solo da oramai 36 ore tengono in scacco le soverchianti IDF costringendo Israele a mobilitare 150 mila riservisti (numeri da guerra in Ucraina) ma sono così equipaggiati e professionali nei movimenti che stanotte un’unità di forze speciali israeliane è finita vittima di fuoco amico perché scambiata per i famigerati commandos Qassam.

Molti analisti hanno commentato che Hamas ha svolto i compiti a casa osservando le guerre recenti e imparando la lezione. Ha fatto di più. Innanzitutto Hamas ha ingannato uno dei servizi segreti migliori del mondo nascondendo per anni le proprie capacità produttive, militari e di intelligence. Nessuno ne sta parlando apertamente e in modo organico ma Hamas ha prodotto e accumulato oltre 6000 razzi e decine di lanciatori sotto il naso delle forze israeliane e in uno stato di embargo durissimo. L’impiego di detto materiale è stato poi magistrale poiché ha bypassato il più potente scudo antiaereo attualmente operativo: Iron Dome. Qualcuno obietterà che si tratti di una “semplice” saturazione delle difese ma in realtà c’è ben di più: Hamas pare sia riuscita a creare un “buco” in Iron Dome occupando e distruggendo una batteria nei pressi di Sderot prima del lancio della salva di 5000 razzi che hanno arrecato danni materiali ma anche agevolato l’infiltrazione delle prime ore.

Appare dunque evidente che Hamas abbia (ha) un’approfondita conoscenza dell’apparato militare israeliano poiché se anche non avesse neutralizzato la batteria ha sicuramente colpito duro occupando un avamposto e tre caserme cogliendo i difensori nel sonno e/o disarmati nei rifugi antimissile.

Alla luce di questi fatti è doveroso ipotizzare che Hamas sappia BENISSIMO ciò che sta facendo, che la dirigenza di Hamas abbia chiari gli obiettivi politici, chiaro cosa vuole ottenere e, probabilmente, il conflitto in atto non sarà quindi né semplice né breve. Ragionevolmente credo che Hamas si aspetti l’arrivo degli Israeliani nella Striscia e immagino che li voglia accogliere con una riedizione desertica di battaglie urbane come Mariupol e Stalingrado con tutte le implicazioni umanitarie del caso.

Non mi è invece chiara la posizione di Israele: un paese che per mesi è stato preda di controversie e lacerazioni sociali profonde, un paese che negli ultimi anni ha tollerato, per non dire tutelato (come parte della stessa stampa israeliana sostiene), estremisti ultraortodossi, raid antipalestinesi (proprietà vandalizzate, aggressioni e imboscate a civili ad opera di esaltati e canagliume) manifestazioni di intolleranza verso non ebrei (preti, suore e turisti inclusi), espansioni e confische arbitrarie.

Un livello di impreparazione simile nelle IDF era impensabile e i malpensanti parlano di complotto, di “dormita” voluta così da poter chiudere i conti con la Palestina armi in pugno.  Io non credo, fino a prova contraria, a questa versione e preferisco pensare a un problema di eccessiva sicurezza negli apparati uniti a un lassismo di costumi e avversione verso le questioni militari/di sicurezza da parte dei giovani soldati di leva che, anche in Israele, sono figli di questi tempi.

Detto ciò, all’indomani di fatti così tragici, non vorrei che qualcuno si facesse accecare dall’ira e dallo strazio (giustificati) e pensasse di spianare l’intera striscia di Gaza cacciandone i 2 milioni circa di abitanti, magari allontanandoli anticipatamente con la giustificazione della loro salvaguardia per poi impedirne il rientro.

Paranoia? Follia? Fantapolitica? Probabilmente e sperabilmente.

Purtroppo però un precedente storico esiste: Israele dopo il ’48 e, in misura minore, dopo il ‘67 effettivamente favorì la fuga di migliaia di palestinesi arabi dalle zone di controllo ebraiche rendendoli profughi che poi, negli anni, hanno destabilizzato il Libano, la Giordania e, in misura minore la Siria.

Purtroppo la storia rende cinici e quindi auspico che questo sia solo un brutto pensiero motivato da cattivi precedenti. Israele ha assolutamente ragione nel non voler più tollerare la presenza di Hamas ma è altrettanto vero che Gaza non può stare nelle condizioni in cui ha versato fino ad oggi. Meno che mai è possibile immaginare che il trasferimento della questione palestinese in altro luogo possa portare ad alcunché di positivo. Libano docet.

In sostanza credo che si debba attendere il corso degli eventi preparandosi però al peggio poiché, come già detto ieri, un bagno di sangue spropositato o gesti insani verso la moschea di Al-Aqsa non possono che avere effetti nefasti sia nei termini di una possibile espansione del conflitto sia nella destabilizzazione di quegli stati che si legittimano con l’Islam.

Mattia Molteni