L’inflazione e la Meloni: pomo della discordia con la Lagarde e l’Europa

L’inflazione e la Meloni: pomo della discordia con la Lagarde e l’Europa

Grande la preoccupazione per l’annuncio di Christine Lagarde, alla guida della Bce, sull’ulteriore aumento dei tassi d’interesse per contrastare l’aumento dell’inflazione. La nostra Presidente del consiglio, Giorgia Meloni, intervenendo ieri alla Camera dei deputati, ha confermato il disappunto che già altri esponenti del suo governo avevano espresso. Secondo Giorgia Meloni la “semplicistica ricetta dell’aumento dei tassi intrapresa dalla Banca Centrale Europea non appare agli occhi di molti la strada più corretta da perseguire, considerato che nei nostri Paesi l’aumento generalizzato dei prezzi non è figlio di una economia che cresce troppo velocemente ma di fattori endogeni, primo fra tutti la crisi energetica causata dal conflitto in Ucraina”. La Meloni ha poi insistito sul fatto che è “più utile concentrarsi, riteniamo, sulle cause specifiche che scatenano questa inflazione, proseguendo nelle misure di contenimento dei prezzi dell’energia e delle materie prime che l’Europa ha messo in atto, ricordo il tema del Price Cap, grazie soprattutto all’attivismo dell’Italia”.

Una lettura sulle cause dell’inflazione che diverge sensibilmente da quella fatta dalla Presidente della Bce, secondo la quale sono state le imprese a scatenare e ad alimentare l’inflazione. Secondo la Lagarde, le imprese, che in precedenza avevano assorbito, come in occasione di altri eventi shock, l’aumento dei costi di produzione con la riduzione dei profitti, lo scorso anno hanno invece finito per scaricare tutto sui consumatori.

La ricerca di più alti profitti ha contribuito per ben i due terzi all’inflazione, a differenza di quanto accaduto nei vent’anni precedenti quando questa variabile ha pesato per solo un terzo. La conseguenza è stata che l’inflazione ha inciso sulla contrazione media europea della domanda del 2%.

Christine Lagarde ha anche esaminato le conseguenze dell’inflazione sui lavoratori che “hanno perso tantissimo a causa dello shock inflazionistico, assistendo a forti diminuzioni dei salari reali”, anche se ora si sta avviando una sorta di  “recupero” salariale destinato a durare nel tempo, visto che la contrattazione in molti paesi europei è pluriennale. La Lagarde prevede che i salari cresceranno di un ulteriore 14% fino a tutto il 2025, quando potrebbero recuperare completamente il livello salariale in termini reali. Contemporaneamente, la  Presidente della Bce registra una crescita di produttività inferiore a quella prevista in precedenza  e questo, ovviamente, aumenta i costi unitari del lavoro

Le previsioni della  Bce riguardano la resilienza dell’occupazione rispetto alla crescita del Pil: “In genere – ha detto- ci saremmo aspettati che il rallentamento della crescita economica nell’ultimo anno riducesse in qualche modo la crescita dell’occupazione. Ma negli ultimi tre trimestri in particolare, il mercato del lavoro ha funzionato meglio di quanto suggerirebbe una regolarità basata sulla legge di Okun. Questa disconnessione riflette in parte l’aumento dell’accumulo di manodopera da parte delle imprese in un contesto di carenza di manodopera. Ciò sta pesando sulla crescita della produttività e, con la disoccupazione che dovrebbe diminuire ulteriormente, la motivazione delle imprese ad accumulare manodopera potrebbe non scomparire rapidamente”.

La decisione quindi di alzare ulteriormente i tassi d’interesse è finalizzata a riportare l’inflazione all’obiettivo del 2% “in modo tempestivo” e per fare in modo che le imprese assorbano l’aumento del costo del lavoro nei loro margini.

CV