Si fa “stretta” la riforma del Mes – di Daniele Ciravegna

Si fa “stretta” la riforma del Mes – di Daniele Ciravegna

Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità; in lingua franca, European Stability Mechanism – ESM) istituito (senza alcun rilievo nel dibattito politico italiano) nell’ottobre 2012, quale strumento per neutralizzare gli effetti di crisi finanziarie, sorte all’interno o importate, coinvolgenti i paesi dell’Eurozona, è di nuovo alla ribalta, come era stato, nella seconda parte del 2019, con riferimento ai progetti di riforma dell’istituto stesso, e nuovamente a partire dall’aprile 2020, in relazione alla possibilità di utilizzare le linee di credito del MES per il finanziamento dell’assistenza sanitaria e dei costi, diretti e indiretti, relativi alla la cura e alla prevenzione del COVID-19.

Ora si tratta della scadenza dell’approvazione del testo base della riforma del MES, il cui iter è iniziato nella seconda metà del 2019 e che ha raccolto, al momento, l’approvazione di 19 stati sui 20 aderenti all’Unione Economica e Monetaria dell’Unione Europea (UEM, detta anche Eurozona): il mancante è l’Italia e ciò comporta il blocco del processo di approvazione della modificazione in parola. Gli altri paesi aderenti all’UEM, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea premono affinché anche l’Italia approvi la riforma e, per questa questione, la Camera dei Deputati dovrebbe essere convocata il 30 giugno, anche se pare si faccia largo l’ipotesi di un approdo del testo in Aula solo dopo le ferie estive.

Prima di proseguire è bene fare chiarezza, riassumendo brevemente che cos’è questo “meccanismo” alla luce del suo Atto costitutivo. Di diritto, esso è un’istituzione intergovernativa permanente costituita dagli stati membri dell’UEM, esterna al quadro giuridico dell’UE, con piena autonomia decisionale e gestionale, con proprio capitale apportato dagli stati membri (che funge da garanzia sulle operazioni finanziarie di raccolta di fondi) e potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o con la conclusione di intese o accordi finanziari di vario tipo al fine di reperire risorse finanziarie con le quali concedere credito agli stati membri o alle banche in crisi finanziaria. Il MES è guidato dal  Consiglio dei Governatori, composto dai 20 Ministri dell’Economia/Finanze dei paesi dell’Eurozona, che delibera all’unanimità.

La sua funzione fondamentale è concedere, sotto condizione, assistenza finanziaria agli stati membri che, pur avendo un debito pubblico sostenibile, abbiano grosse difficoltà a finanziarsi sui mercati finanziari nonché diventare prestatore di ultima istanza a favore di banche in crisi finanziaria. Delle due, la prima è quella più rilevante e, a ben vedere, costituisce una parziale modificazione dell’approccio iniziale dell’UEM in materia di finanza pubblica – d’impostazione ordoliberistica – fondato sulla prevenzione delle crisi del debito sovrano, affidata al rispetto di regole di bilancio volte a mantenere disavanzi e debiti pubblici entro limiti considerati prudenti, piuttosto che prevedere specifici strumenti di salvataggio.

Di fatto, il MES agisce quale prestatore di ultima istanza nei confronti degli stati dell’Eurozona, venendo a svolgere ciò che normalmente svolgono le banche centrali degli stati non dell’Eurozona. Quest’ultima fu istituita in un contesto tipicamente neoclassico-monetaristico, che vede gli stati come grandi pericoli per la stabilità monetaria: gli stati non devono guastare, con le loro richieste di finanziamento con nuova base monetaria, l’asettico comportamento delle banche centrali (l’offerta di moneta non deve poter essere utilizzata quale strumento di politica economica dello Stato). Fu quindi introdotto, nello statuto della BCE, il divieto assoluto di finanziare direttamente la spesa pubblica dei paesi aderenti. Ma questo divieto è presente solo nell’Eurozona; non c’è negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Svizzera, in Giappone, negli altri paesi dell’Unione Europea e del mondo. L’istituzione del MES è una chiara dimostrazione dell’insensatezza della predetta regola monetaristica.

Ad ogni modo, tutti gli interventi del MES devono rispettare il principio di condizionalità, cioè sono subordinati all’attuazione di politiche di risanamento concordate con la Commissione Europea, che può coinvolgere anche la BCE e il Fondo Monetario Internazionale, il che può di fatto portare a una specie di commissariamento dello Stato che si rivolge al MES.

Il MES opera con riferimento alle crisi d’instabilità finanziaria delle economie dei paesi membri: non solo quelle riguardanti gli stati, ma anche quelle riguardanti i sistemi bancari. In presenza di un rischio per la stabilità dell’Eurozona nel suo complesso o di suoi paesi membri, il MES può intervenire concedendo:

  • linee di credito precauzionali a stati che rispettano il requisito della sostenibilità del debito pubblico e non presentano squilibri macroeconomici eccessivi, presentano condizioni di accesso ai mercati dei capitali a condizioni ragionevoli, ma hanno problemi di stabilità finanziaria, poiché sono colpiti da choc speculativi avversi. Queste linee sono accessibili ai paesi che rispettano i seguenti criteri: a) rispetto delle norme europee sul bilancio dello Stato (anche se uno Stato è soggetto a una procedura per eccessivi disavanzi, purché vengano seguite le decisioni e le raccomandazioni del Consiglio Europeo); b) rispetto dei requisiti della procedura per la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici; c) una posizione esterna economica e finanziaria sostenibile; d) nessun problema di solvibilità bancaria di rilevanza sistemica. Viene richiesto agli stati d’individuare un preciso piano che porti il paese a rispettare i criteri di cui sopra;
  • prestiti a stati che non rispettano pienamente le predette condizioni. Per essi, è inevitabile la definizione di un programma di aggiustamento macroeconomico, che può coinvolgere anche forme di partecipazione del settore privato;
  • acquisti di titoli del debito pubblico sul mercato primario e su quello secondario;
  • prestiti per ricapitalizzazione bancaria indiretta;
  • ricapitalizzazione diretta di istituti bancari.

Il MES opera come intermediario finanziario: eroga agli stati e alle banche risorse finanziarie reperite sul mercato, evitando che il singolo Stato/banca bisognoso/a di finanziamenti debba presentarsi sui mercati finanziari, andando incontro a possibili attacchi della speculazione finanziaria internazionale, pagando sicuramente tassi d’interesse più elevati di quelli che dovrebbe pagare il MES, che ha fortissima e massima credibilità. È lo stesso meccanismo insito nel programma Next Generation EU: il singolo Stato non si presenta sul mercato. Sono rispettivamente il MES e l’Unione Europea (soggetti che hanno fortissima, massima, credibilità e quindi, in teoria, non attaccabili dalla speculazione finanziaria internazionale) a rivolgersi al mercato e sappiamo, invece, che la forte esposizione debitoria di uno Stato (quale è quella dell’Italia) potrebbe essere fonte di destabilizzazione finanziaria per il Paese, per cui ogni via che permetta di avere risorse senza ricorrere al mercato è da considerarsi preziosa.

Il costo del finanziamento del ricorso al MES è pari al costo della raccolta da parte del MES, con l’aggiunta di alcune leggere commissioni. L’assenza di ricorso al credito presso il MES  nel corso 2019 e anni successivi non permette di fornire qui previsioni sui tassi d’interesse che il MES potrebbe ora applicare sui prestiti a stati e banche. In precedenza, si erano aggirati su valori leggermente inferiori all’1 per cento.

Il paese che richiede la linea di credito non deve poi necessariamente prelevare fondi: la linea di credito ha durata decennale, mentre il  programma Next Generation EU prevede che i fondi ottenuti a séguito di PNRR (al più tardi entro il 2023) debbano essere restituiti entro la data massima del 2058. Il MES, poi, è in grado di erogare i suoi prestiti molto più celermente dello strumento Next Generation EU.

Ultima precisazione riguardo al MES: esso non è un meccanismo per la ristrutturazione del debito sovrano, anzi è rivolto a evitarla: la ristrutturazione può essere presa in considerazione solo in casi eccezionali e solo nel caso in cui le condizioni poste assumano forme di aggiustamento macroeconomico.

Il 27 gennaio 2021 il Consiglio Europeo ha approvato la proposta di modificazione dell’Atto costitutivo del MES con riferimento a quattro aree principali:

a) i rapporti e la cooperazione fra il MES e la Commissione Europea e la variazione nella governance del MES, prevedendo che, qualora la Commissione Europea e la BCE richiedano l’assunzione di decisioni urgenti in caso di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’Eurozona, la maggioranza richiesta per le deliberazioni da prendere non sia l’unanimità, ma la maggioranza dell’85 per cento; per cui Francia, Germania e Italia – ognuna delle quali possiede un diritto di voto superiore al 15 per cento del totale – possono singolarmente porre il loro veto sulle decisioni prese in condizioni d’urgenza;

b) le condizioni per la concessione dell’assistenza finanziaria precauzionale da parte del MES. Vengono definiti in modo più preciso i termini della preventiva valutazione di sostenibilità del debito e si affianca il criterio della verifica ex ante della capacità di ripagare il prestito. Nel nuovo Allegato III, vengono – ahimè – recuperati ancora una volta i vecchi due parametri del Patto di Stabilità e Crescita europeo del 1997 (già inclusi fra i requisiti preliminari per l’ammissione all’Eurozona, previsti dal Trattato di Maastricht del 1992) concernenti i rapporti deficit pubblico/PIL e debito pubblico/PIL nonché il vincolo, contenuto nel Fiscal Compact del 2012 (che peraltro il Parlamento Europeo, a fine 2018, ha rifiutato d’introdurre nell’ordìnamento giuridico dell’UE) del rientro da un’eventuale situazione, per lo Stato considerato, di eccesso rispetto al 60 per cento del rapporto fra debito pubblico e PIL, nella misura di un ventesimo all’anno. Con il Fiscal Compact decaduto e il Patto di Crescita e Stabilità sospeso e da rinegoziare, pare inopportuna l’introduzione dei predetti parametri dell’Atto costitutivo del MES. Passano i tempi e le criticità economiche, ma i parametri del Trattato di Maastricht e del Patto di Stabilità e Crescita sono immutabili (e c’è pericolo che siano riproposti nella versione 2024 del Patto di Stabilità e Crescita)!

Eppure è stato ampiamente dimostrato che i predetti parametri non hanno alcuna validità teorica. Si può infatti facilmente dimostrare l’infondatezza scientifica della coppia “rapporto deficit pubblico/prodotto interno lordo (PIL) che non superi il valore del 3 per cento” e il “rapporto debito pubblico/PIL che non superi il 60 per cento”. Infatti, la divisione del primo rapporto per il secondo dà come risultato il tasso di variazione del debito pubblico – qualora il deficit pubblico sia finanziato integralmente con nuovo indebitamento pubblico, che è gioco forza, dato il divieto assoluto che i deficit pubblici siano finanziati con creazione di nuova base monetaria. Se il debito pubblico risulta avere un tasso di crescita uguale a quello previsto per il PIL nominale, il rapporto fra debito pubblico e PIL nominale è ovviamente stabilizzato, e quindi il debito pubblico risulterebbe sostenibile dal PIL: principio di sostenibilità piuttosto debole!

Al momento della stipulazione del Trattato di Maastricht, era considerato realistico, per la media dei paesi europei, un tasso di crescita annuo del PIL nominale pari al 5 per cento, il che richiedeva – per la supposta sostenibilità del debito pubblico del paese rappresentativo della media dei paesi dell’UE – che anche il debito pubblico crescesse non più del 5 per cento e quindi un rapporto deficit/debito pubblici pari al 5 per cento. In effetti, 3/60 = 0,05, ma 5 per cento darebbero anche i rapporti 1/20, 6/120, 9/180; la soluzione ammette infiniti rapporti compatibili con il 5 per cento di crescita del PIL nominale! Perché è stata allora presa la coppia 3 per cento e 60 per cento? Semplicemente perché:

1) i due parametri impongono una presenza contenuta del settore pubblico nel sistema economico, principio caro al modello liberistico che ha dominato il processo di formazione dell’UEM europea e, più in generale, il processo di formazione e di gestione  dell’Unione Europea;

2) senza però esagerare, nel senso di strangolare i settori pubblici di tutti i paesi: fu presa la coppia 3 e 60 per cento che, all’inizio degli Anni Novanta del secolo scorso, andava bene ai paesi leader della costituenda UEM europea: Germania e Francia;

3) la coppia sarebbe andata stretta per i paesi “discoli”, quali Italia e Spagna, così da impedire a questi l’accesso all’Area dell’Euro, e questo non dispiaceva a una parte dei paesi contraenti.

Se questo è rigore scientifico?! In effetti, in primis, la definizione della sostenibilità del debito pubblico richiede analisi ben più approfondite dello stato dei due parametri suddetti. Richiede analisi assai più ampie che tengano conto della situazione complessiva del paese, presente e prevedibile per il futuro di medio periodo; situazione da valutare non solo in termini prettamente contabili ed economici, ma anche, e con la stessa, se non maggiore, intensità d’interesse, delle situazioni sociale, demografica e ambientale del paese. Di fronte a queste considerazioni, è facile intendere perché Romano Prodi definì “stupidi” i  parametri di Maastricht;

c) la costituzione del MES quale “istituto di sostegno” (backstop) al Fondo di risoluzione unico nella gestione delle crisi bancarie, nel caso in cui le risorse del Fondo stesso non siano sufficienti a finanziare gli interventi che deve porre in essere, e questo non si può dire che non sia buona cosa. In effetti, con la riforma che consente al MES di fungere da backstop del fondo di risoluzione unico, il MES contribuirebbe a contenere i rischi di contagio connessi con eventuali crisi bancarie di rilevanza sistemica, creando condizioni più distese nei mercati finanziari, il che dovrebbe creare una situazione più favorevole per il rifinanziamento del debito pubblico dei paesi che ne abbiano già un elevato livello;

d) la semplificazione della disciplina delle clausole di azione collettiva, nel caso in cui uno Stato decida di procedere alla ristrutturazione del debito; clausole che non aumentano la probabilità d’insolvenza, ma riducono l’incertezza relativa al suo esito. Questo punto è stato uno dei più discussi: che la modificazione dell’Atto costitutivo del MES apra le porte ad azioni di ristrutturazione del debito pubblico degli stati in condizione di crisi finanziaria (con pressoché inevitabile perdita di parte del patrimonio dei creditori). In verità, nulla è scritto a questo proposito nella proposta di modificazione del Trattato del MES e il testo del 2012 ne parlava come “caso eccezionale”. “Non c’è scambio tra assistenza finanziaria e ristrutturazione del debito pubblico; comunque – ha scritto la Banca d’Italia – il coinvolgimento del settore privato nella ristrutturazione del debito pubblico rimarrebbe strettamente circoscritto a casi eccezionali”.

Diffuso è il timore che, a séguito della riforma in parola, vengano affidato al MES compiti di sorveglianza macroeconomica. No, anche se i prestiti sono condizionati a un programma di aggiustamento macroeconomico dello Stato prestatario, che si affianca alla preliminare verifica della capacità di ripagare il debito. La riforma conferma la differenza, già esistente nel Trattato in vigore, tra “condizionalità semplice” (Precautionary Conditioned Credit Line – PCCL) e quella  condizionalità rafforzata” (Enhanced Conditions Credit Line – ECCL). La prima è riservata ai paesi che rispettano le prescrizioni del Patto di Stabilità e Crescita, che non presentano squilibri macroeconomici eccessivi e che non hanno problemi di stabilità finanziaria, mentre gli ECCL sono destinati ai paesi che non rispettano pienamente i predetti criteri, per cui vengono loro richieste misure correttive rafforzate.

Infine, la riforma non accresce i poteri del MES, ma prevede un suo ruolo attivo nella gestione delle crisi e nel processo che conduce all’erogazione dell’assistenza finanziaria così come nel successivo monitoraggio. Il MES affianca, non sostituisce la Commissione Europea, alla quale rimane la responsabilità esclusiva sulla valutazione complessiva della situazione economica dei paesi e la loro posizione rispetto alle regole del Patto di Stabilità e Crescita e della procedura per gli squilibri macroeconomici. Le modalità di cooperazione tra le due istituzioni saranno definite in un accordo che verrà sottoscritto quando le modifiche all’Atto costitutivo del MES entreranno in vigore.

Si ricordi inoltre che, fin dalla sua istituzione nel 2012, la presenza di assistenza finanziaria del MES (nella forma di un prestito accompagnato da un programma di aggiustamento macroeconomico) è condizione necessaria per l’intervento della BCE nel mercato secondario dei titoli di Stato di un paese in difficoltà finanziaria.

In conclusione, il MES continua a essere uno strumento che ha potenzialità valide, tanto più valide quanto più porta in sé regole di comportamento che permettano elasticità di decisione e di applicazione. Non si può dire che i parametri del Trattato di Maastricht (di 30 anni fa) e del Patto di Stabilità e Crescita (di 26 anni fa) diano garanzia di soddisfare tali requisiti, anche perché erano insensati fin dall’origine, e quindi non dovrebbero essere in alcun modo presi quali parametri di riferimento delle politiche finanziarie nel 2023 né delle successive.

Con l’eccezione del caso in cui vengano introdotti i parametri di Maastricht, le modifiche che si vorrebbero apportare all’Atto costitutivo del MES, e sopra illustrate, non paiono peggiorare la capacità del MES di esercitare la funzione di sostegno agli stati e alle banche dell’UEM, né l’elasticità di decisione e di applicazione del meccanismo; anzi, sotto diversi aspetti, paiono intervenire in senso migliorativo.

Daniele Ciravegna