La pietra di scarto diventa d’angolo – di Domenico Galbiati

La pietra di scarto diventa d’angolo – di Domenico Galbiati

La scorsa settimana il “Cortile dei Gentili” ha fatto tappa a Lecco. Con il Card. Ravasi e Giuliano Amato, il prof. Silvano Petrosino e l’ ex-ministro Cristina Messa ed il nostro amico Massimo Molteni si è discusso di “età dello scarto”. Come succede – se lo è chiesto Massimo – che la pietra scartata diventi pietra d’ angolo?

La discussione del pomeriggio si è, sostanzialmente, snodata attorno a questa domanda. La valutazione comune, per quanto articolata, la si può ricondurre a questo concetto: quello che comunemente riteniamo “scarto” non è forse, al contrario, una risorsa? Sulla quale investire per cercare di ristabilire quell’orizzonte di valori condivisi che abbiamo, in larga misura smarrito? Orizzonte che, a sua volta, è tributario della consapevolezza, ad un tempo, delle potenzialità e dei limiti dell’ “umano”.

Tra “finitezza e trascendenza”, come ci ricorda un altro amico, Gianclaudio Tagliaferri, nel bellissimo articolo pubblicato, su queste pagine, ieri l’altro (CLICCA QUI). La cosa dipende dallo sguardo con cui accostiamo la realtà.
Ma, al di là, delle dichiarazioni di principio o degli auspici che sia davvero così, dove sono i luoghi – nel concreto, quotidiano vissuto delle persone – in cui lo “scarto” da’ prova della sua inattesa, eppure straordinaria capacità “generativa”, della sua attitudine ad evocare energie morali che, nel fragore del nostro tempo, difficilmente focalizziamo ?

Uno dei luoghi privilegiati è sicuramente rappresentato dai bambini gravemente disabili e, soprattutto, dai loro genitori. Basterebbe conoscere queste mamme e questi padri per dover essere, per forza di cose, fiduciosi, anzi francamente ottimisti sui destini dell’umanità. Custodiscono, nello spazio più intimo e nascosto della loro anima – forse laddove è scritto il nostro essere ad immagine e somiglianza di Dio – una forza interiore immensa, che loro stessi non sanno di possedere, ma che, ad un certo punto, irrompe e si impone alla loro coscienza.

Un figlio, affetto da una malattia congenita oppure colpito da una grave lesione cerebrale, portatore di un limite severo, ferito nelle sue fondamentali attribuzioni funzionali, segnato, fin da subito e per la vita intera, da un limite insuperabile, spesso, ad un tempo sensoriale, motorio e cognitivo, è fonte di una sofferenza sorda e sottile, tormentosa ed incessante. Eppure, questi genitori mostrano una capacità d’ amore e di dedizione e di sacrificio, di rinuncia a sé stessi e di condivisione che raggiunge misure incredibili. I loro bambini, nei casi più gravi, potremmo chiamarli “a gestazione continua”, perché non sopravviverebbero senza il cordone ombelicale di questo straordinario, indecifrabile rapporto empatico con i genitori che si prolunga nel tempo. E questi ultimi da dove traggono un’ energia morale talmente forte e persistente, che si mantiene incrollabile, ferma per anni, talvolta per decenni? Bisogna guardarli negli occhi.

Dopo una fase tormentata, in cui – i padri, soprattutto – vorrebbero urlare contro il destino e rifiutano di credere ad una diagnosi di gravità, non accettano una prognosi che non lasci speranze, maturano una consapevolezza amara e sofferta che non è rassegnazione, bensì muta radicalmente il senso della loro vita e li accompagna, passo dopo passo, in un’altalena di frustrazioni e di spiragli di sereno, ad una compostezza, ad una serenità che si direbbero inspiegabili. Non è rassegnazione e non può essere speranza. Piuttosto la consapevolezza profonda e spontanea, originaria che la vita basta a sé stessa e chiede solo di esserci.

Il loro bambino è lì, lo tengono in braccio, è vivo. Della vita – nuda, deprivata delle più semplici ed elementari autonomie funzionali – è come se tenessero in mano l’essenza e tanto basta. Molti di loro, se si osserva attentamente, è come se anche fisicamente cambiassero. Hanno un chiarore, una luce negli occhi che non si trova facilmente altrove. Eppure, si tratta di persone “normali”. Se non fossero state ferite da un dolore talmente profondo, avrebbero condotto , come tutti, una vita ordinaria, se non mediamente banale. La loro dedizione incessante e sofferta via via assume il carattere di un quotidiano esercizio di ascesi. Ha il potere – come fosse una lunga, sottilissima sonda – di raggiungere un luogo interiore così profondo da essere normalmente irraggiungibile, come fosse protetto da uno scudo che non si lascia penetrare se non dalla capacità di sostenere questa sofferenza, quotidianamente patita.

C’è, evidentemente – questi genitori ne danno una testimonianza incontrovertibile, direi addirittura di evidenza scientifica – un angolo profondo dell’ anima in cui sono custodite queste risorse morali straordinarie ed incredibili, riservate alle condizioni estreme della vita, quelle in cui tutta la sua ricchezza non può fare a meno di rivelarsi.
Si tratta, necessariamente, di una risorsa, di una riserva di forza morale donata a tutti ed a ciascuno, per quanto venga attivata solo allorquando le ragioni dell’amore incondizionato si impongono al di sopra ed al di là di tutto, come succede di fronte ad un figlio meno fortunato degli altri bambini come lui.

Il presunto “scarto”, come sosterrebbe la mentalità corrente, si rivela sorgente di una energia incontenibile che neppure sappiamo di ospitare in fondo al cuore.

Domenico Galbiati