Una volta il Parlamento funzionava

Una volta il Parlamento funzionava

Ricorrevano la scorsa settimana quarantacinque anni dall’ approvazione della Legge 180, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, il 13 maggio 1978. La “legge Basaglia” – scritta dal genovese Bruno Orsini, psichiatra e parlamentare democratico-cristiano – era stata, come già ricordato (CLICCA QUI), approvata addirittura il giorno dopo l’uccisione del Presidente Moro, il 10 maggio 1978, dalla Commissione Sanità ed Igiene del Senato, allora presieduta dal senatore Ossicini. Solo dieci giorni dopo, il 21 maggio venne adottata anche la Legge 194 quella passata alla storia come legge sull’aborto anche se avrebbe dovuto occuparsi pure della tutela della procreazione. Fu poi la volta della 833 che dette vita al Servizio sanitario nazionale, approvata il successivo 21 dicembre e pubblicata in Gazzetta il giorno successivo. Il Parlamento funzionava, eccome.

La 180 è una legge storica e rivoluzionaria, una scelta straordinaria di civiltà, che, studiata ovunque nel mondo, ha aperto la strada al riconoscimento della dignità umana dei malati psichici . Per quanto, nel nostro Paese, la sua applicazione non abbia poi goduto di tutte le attenzioni che meritava. Una legge di cui l’ Italia può essere orgogliosa ed andare fiera di fronte all’ intera comunità internazionale. Espressione di quella “cura” del valore umano, che, se non si cede a pose ideologiche, può essere assunta come impegno condiviso e comune da forze che, pur, culturalmente, sono di differente matrice. Una cura, un’ attenzione scrupolosa a tutto ciò che è più autenticamente “umano” che abbiamo, in larga misura smarrito, eppure dovrebbe rappresentare la linea retta anche delle politiche dei giorni nostri. Dignità della persona, uguaglianza sul piano dei diritti, valore incontrovertibile della vita in ogni suo momento, che rappresenta l’anima della legge, anch’essa rivoluzionaria, che ha introdotto il servizio sanitario pubblico nel nostro ordinamento.

La 194 – contrastata dalla Democrazia Cristiana, il che vuol dire dal partito di maggioranza e cardine del Governo – è stata, ad ogni modo, l’approdo di un duro, prolungato confronto parlamentare, cui la stessa DC mai si sottrasse. In una fase di precarietà dei rapporti politici, addirittura resa drammatica dall’ attacco terroristico allo Stato, culminato nel rapimento di Aldo Moro, nei giorni stessi del suo sacrificio, nell’ora più buia che l’Italia democratica, l’Italia del dopoguerra e della Costituzione repubblicana abbia mai conosciuto, il Parlamento ha saputo mantenere la propria centralità. Asse portante della responsabilità dei partiti, della loro attitudine a rappresentare il Paese, così da dar voce alle sue domande, ma anche ai suoi sentimenti, ai turbamenti chi lo attraversano.

Tre leggi che hanno segnato profondamente la vita del Paese sono giunte in porto nel giro di pochi mesi e neppure un evento di immensa portata come la scomparsa di Moro, lo stordimento che ne è seguito, ne ha inceppato il cammino.
Si trattava di leggi frutto di un confronto politico che, condotto senza esclusione di colpi, ma nel reciproco rispetto tra forze diverse, aveva coinvolto ampi strati della stessa società civile. Nessuna traccia di demagogia e di populismo, bensì un percorso che passava attraverso una dialettica documentata e serrata.

C’ era del buono nella “prima repubblica”. C’ era la politica e la passione che l’ accompagna nei suoi momenti migliori. A riprova del fatto che, a dispetto di tutte le possibili e tuttora ventilate ingegnerie istituzionali – è pur sempre la volontà politica, il rispetto della rappresentanza popolare che legittima i partiti ed i loro gruppi parlamentari, ad essere motore della vita democratica e, nel contempo, garanzia del pieno rispetto dei vincoli che è tenuta a rispettare.