La retorica del liceo “Made in Italy” – di Giovanni Cominelli

La retorica del liceo “Made in Italy” – di Giovanni Cominelli

La proposta di un “Liceo del Made in Italy”, rilanciata da Giorgia Meloni al Vinitaly di Verona, riprende i contenuti del DdL n. 497 depositato al Senato nel Luglio dell’anno scorso e incardinato dal 23 gennaio 2023 nella Commissione Cultura e Istruzione. Sarebbe l’ennesimo Liceo, dopo quello classico, scientifico, scientifico con opzione scienze applicate, scientifico-sportivo, linguistico, musicale e coreutico, delle scienze umane, delle scienze umane con opzione economico-sociale, turistico, dello sport…

Il Curriculum previsto per il primo biennio: lingua e letteratura italiana, cultura straniera (?), storia dell’arte, matematica, informatica, scienze naturali, fisica, scienze motorie e sportive, storia e geografia, diritto ed economia politica, religione cattolica o attività alternative… Nel secondo biennio: economia e gestione delle imprese del Made in Italy, modelli di business nelle industrie dei settori della moda, dell’arte e dell’alimentare, Made in Italy e mercati internazionali e Filosofia…

Dal punto di vista della prosecuzione degli studi, lo sbocco superiore potrà essere quello degli Istituti Tecnici Superiori o degli indirizzi universitari più coerenti. Nel corso del Liceo sono previsti i percorsi di alternanza scuola lavoro.

La proposta è stata accolta da molte sopracciglia alzate. In primo luogo, di quelli che: … la scuola non deve avere a che fare con il mercato e con il lavoro, pena la subordinazione del ragazzo allo sfruttamento capitalistico; …tutti gli indirizzi scolastici, non solo il Liceo “Made in Italy”,  hanno a che fare con l’identità nazionale; … è solo una riproposizione di ciò che già esiste nell’offerta dei Licei esistenti, né migliore né peggiore; … la denominazione Liceo fa una promessa esagerata, che non è in grado di mantenere ecc…

Non ha certo giovato all’accoglienza della proposta la furbesca retorica identitaria in cui è stata avvolta da Giorgia Meloni e dal Ministro Lollobrigida: il “Made in Italy“ come Liceo dell’autentica identità italiana. Come se gli altri Licei non lo fossero. Come se l’intera scuola, dai tre anni in su, non lo fosse.

Converrà, pertanto, per valutare la proposta, considerare la “cosa”, prima del “nome”.

Una parte del curriculum previsto è quella “di cittadinanza”. Come tale, dovrebbe far parte del curriculum di ogni ragazzo, quale che sia l’indirizzo di studi scelto: Licei, Istituto tecnici, Istituti professionali.

Si tratta delle quattro famose competenze-chiave rielaborate in Italia nel 2008, sulla base delle otto suggerite in sede europea a Lisbona nel 2000: Lingua e linguaggi, Storia, Matematica, Scienze.

L’identità nazionale si decide, in assoluto, sul terreno della conoscenza e della pratica della Lingua italiana. La quale nel Paese è in caduta libera nelle scuole, e non per colpa dei social.

Essa richiede l’apprendimento e dunque l’insegnamento del lessico – dunque: dettati, riassunti, letture, memorizzazione sistematica – e dell’analisi grammaticale, dell’analisi logica e dell’analisi del periodo. Il rischio di “estinzione della lingua italiana” non deriva, come mostra di ritenere il progetto di legge Rampelli ed altri, dall’uso eccessivo dei termini inglesi – a proposito: perché “Made in Italy”? – ma dal fatto che non viene insegnata.

E non viene insegnata, perché nelle Università, che preparano i futuri docenti, la Lingua italiana non è più considerata la pre-condizione essenziale per ottenere una laurea. E nei concorsi statali neppure.

Lo sanno bene i professori che ancora leggono le tesi di laurea dei loro dottorandi. È in caduta negli articoli di giornale e nei telegiornali, nelle interviste e nei talk-show. I modi dei verbi si restringono all’indicativo, si fa scempio delle preposizioni.

Stiamo tornando alla Lingua come questione nazionale come ai tempi del dantesco “De vulgari eloquentia” – correvano gli anni 1304-1307 – o del Manzoni? E, sempre a proposito di cittadinanza, non ci soffermeremo qui a denunciare la caduta dell’insegnamento/apprendimento della Storia/geografia – degli eventi, delle culture, delle filosofie, delle religioni, del Cristianesimo – che pure è la modalità fondamentale per capire a quale punto della storia della specie uno si trova a vivere e in quel parte del mondo.  Sunt lacrimae rerum! Né lamenteremo qui la condizione delle discipline STEM.

L’intero sistema di educazione/istruzione soffre di queste lacune essenziali. Aggiungere un altro Liceo, senza riaggiustare per intero il sistema, significa aggirare la questione della formazione alla cittadinanza con la retorica di un comizio.

Ma, quand’anche fossero “garantite” le competenze-chiave della cittadinanza, questa non si realizza effettivamente come tale se il ragazzo non viene avviato verso il mondo concreto, nel quale ciascuno sviluppa i propri talenti nel lavoro, attraverso il quale ciascuno fiorisce per sé e per gli altri. Le professioni stanno mutando velocemente. La pretesa del sistema scolastico di accompagnare questo cambiamento dall’interno delle aule scolastiche, in un mondo separato fisicamente dall’esperienza di lavoro sul campo, è sempre più insostenibile.

Se una parte dell’esperienza professionale futura poggia su uno zoccolo di discipline specialistiche offerte dall’ambiente scolastico, l’altra parte, decisiva per orientarsi nell’universo di professioni che muoiono o che nascono, è quella che si misura da subito con la pratica sul campo. Vale per l’ingegnere, per l’insegnante, per l’artigiano, per l’operaio metalmeccanico, per l’operatore ecologico…

Ora, tanto la quota teorico-specialistica quanto quella “esperienziale” prevista dal “Liceo del made in Italy” sono già realizzabili/realizzati attraverso almeno quattro indirizzi degli undici Istituti tecnici esistenti e almeno sette indirizzi degli undici Istituti professionali esistenti, nonché dai Corsi di formazione professionale regionale. La “cosa” esiste già, non serve un nuovo “nome”.

Battezzarla come “Liceo del Made in Italy” assomiglia molto all’operazione di quei frati che, mancando del pesce obbligatorio al Venerdì, battezzavano pesce il pollo.

Giovanni Cominelli