L’utero in affitto e alcune domande senza risposte – di Domenico Galbiati

L’utero in affitto e alcune domande senza risposte – di Domenico Galbiati

L’ Italia si sta letteralmente lacerando su temi delicatissimi che hanno a che vedere addirittura con le ragioni ultime e fondative della vita. Niente meno che ad un tale livello di sostanziale incomunicabilità ci spinge il frutto avvelenato di quella contrapposizione cieca e pregiudiziale che nasce dal bipolarismo maggioritario. La quale costringe nella pericolosa camicia di forza di una lettura identitaria, argomenti che esigerebbero – invece che una reciproca delegittimazioni delle parti che non si riconoscono rispettivamente il ruolo di interlocutori – tutt’altra attitudine al reciproco ascolto ed al confronto. In caso contrario, come sta purtroppo avvenendo, tali argomenti vengono assorbiti nel pozzo senza fondo di una diatriba ideologica, destinata a smarrire il merito della questione in gioco per attestarsi sullo schema abusato di una mera controversia di potere.

Sarebbe necessario, anzitutto, che le forze politiche convenissero circa una irrinunciabile questione di metodo: i temi a forte valenza etica vanno considerati appannaggio esclusivo del Parlamento, piuttosto che del Governo o della maggioranza che lo sostiene. Solo un libero confronto parlamentare, che non sia condizionato dall’ immediata contingenza degli equilibri politici in atto, può consentire di affrontare tematiche che si pongono oggi, vanno definite nel quadro concettuale dell’ attuale momento storico, ma sono destinate a mettere in campo, da subito, linee di indirizzo e categorie interpretative di lungo periodo, addirittura capaci di porre in discussione ed orientare l’ auto-comprensione dell’uomo, la cognizione e la coscienza che l’ umanità ha di sé stessa.

Non è possibile piegare argomenti che hanno in sé una intrinseca ed obbligata valenza epocale, nella tenaglia di valutazioni, criteri ed orientamenti del tutto funzionali al contesto politico-istituzionale del momento. Le forze politiche, di qualunque orientamento, dovrebbero farsi consapevoli del fatto che stanno entrando in una fase storica della loro funzione, del tutto inedita ed inesplorata. Nella quale le loro tradizionali radici storiche e culturali vanno, per lo meno, sottoposte al vaglio di uno spassionato esame critico e, ad un tempo, la loro azione non può più prescindere dalla consapevolezza, fin qui per lo più sottintesa e scontata, del loro fondamento antropologico.

Si tratta, infatti, di questioni che non possono essere considerate “a latere”, pur rispetto a temi impellenti di carattere
sociale, né sono indifferenti, come comunemente si crede, in ordine a quei valori di libertà, di giustizia e di democrazia su cui si fondano le nostre istituzioni. Quando si argomenta attorno al nucleo profondo, diciamo pure al momento ontologico che da’ conto della vita, qualunque posizione si assuma, da questa necessariamente prendono le mosse coordinate valoriali che si riverberano ed innervando l’ intero spettro delle politiche che si assumono, anche per quegli ambiti che possono sembrare i più lontani da questo focus originario.

Si potrebbe seriamente dire che le forze politiche hanno bisogno di attraversare un processo di “rifondazione antropologica”, tali e tante sono le provocazioni che derivano, in modo particolare, dal progresso incalzante della ricerca scientifica. Quest’ ultima, soprattutto in campo biomedico, si spinge talmente avanti da consentirci di padroneggiare, in una certa ed abbondante misura, la nostra stessa più intima costituzione biologica.
Ne discende che, per la prima volta nella sua storia. l’ uomo si trova ad essere, ad un tempo, soggetto ed oggetto della propria azione. Al punto di andare oltre l’ “autopoiesi”, intesa come capacità di mantenere il proprio equilibrio omeostatico, perfino immaginando e sognando di potersi fare da sé.

Questa reciprocità, questo rispecchiarsi in sé stesso, l’essere ad un tempo l’osservato e l’osservatore, il soggetto attivo e nel contempo il terminale passivo della propria azione, introduce un elemento di aleatorietà cha fa problema e ci costringe, ad esempio, al di là di facili entusiasmi riduzionisti, ad interrogarci severamente sui limiti che siamo tenuti o meno ad osservare nei confronti di noi stessi. E’ un po’ come se l’ uomo fosse rispedito nel giardino dell’ Eden, in quella condizione originaria, ad un tempo innocente ed ultimativa, in cui gli tocca decidere di sé, se cogliere o meno il frutto dell’ albero della conoscenza.

Le domande che sono imposte dai temi che si discutono in questi giorni, a cominciare dalla cosiddetta “maternità surrogata”, possono essere aggirate con vere o presunte risposte pragmatiche, ma, in effetti, restano eluse non hanno soluzione, se non nel quadro che si é cercato di indicare, se non addossandoci la fatica di un pensiero lungo e profondo. Domande sulle quali alcuni di noi si sono già intrattenuti nei giorni scorsi, eppure è necessario tornare. (Segue)

Domenico Galbiati