Putin, l’Occidente e l’Impero del male

Putin, l’Occidente e l’Impero del male

Non più l’Unione Sovietica e il cemento ideologico del comunismo rappresenterebbero – come affermò, a suo tempo, Ronald Reagan – l’“Impero del Male”, ma, rovesciando le parti, secondo Putin, oggi, l’“Impero del Male” è rappresentato dagli USA e dal codazzo di paesi occidentali liberi, supini, a suo dire, al potere americano.

Con buona pace di chi sinceramente invoca, come tutti del resto, la pace, ma non sa indicare una via percorribile, il discorso che ieri l’altro il leader del Cremlino ha tenuto, nella giornata celebrativa delle Forze Armate russe, chiarisce anche ai sordi ed ai ciechi, soprattutto a chi volutamente si acceca, quale sia la vera natura del conflitto e la conseguente difficoltà di porvi rimedio. Cosa che, del tutto evidentemente, Putin non vuole, essendo il Donbass e la stessa Ucraina, nient’altro che la vittima designata al cruento sacrificio umano che Putin offre al “dio” delle sua smodata, ossessiva, patologica ambizione imperiale. Insomma, il tragico pretesto per tutt’altro disegno. A meno che, per “pace” – spiace doverlo ricordare ancora una volta – non si intenda il cedimento dell’Ucraina alle voglie di Putin. Dal momento che non c’è una guerra giusta – altra cosa è una lotta di resistenza – specularmente non ci può essere una “pace ingiusta”.

Da una parte, dunque, la Santa Russia che Putin condivide con Kirill, dall’altra un mondo moralmente decadente di perversi, gay e pedofili. E’ solo una guerra o piuttosto qualcosa di diverso e forse perfino di più, se fosse possibile? Pare che Putin voglia tracciare una linea di demarcazione addirittura “antropologica”. Due umanità.

Come se il conflitto militare non solo sia funzionale al confronto tra democrazie ed autocrazie e diretto a scomporre il quadro complessivo delle relazioni internazionali, ma, in qualche modo, alluda, appunto, a due umanità distinte, quasi ontologicamente separate. Una china paurosa che ha segnato i momenti più bui della storia del mondo.

C’è qualcosa di malato, si potrebbe dire, un tratto “autistico”, nella ricerca dell’ isolamento autoreferenziale cui è chiamato un popolo intero, una sorta di autarchia morale che diventa strategia politica, cosicché la guerra assurge a crociata, una deriva ideologica che, come tale, sfugge – ed è gravissimo – perfino alle arti della diplomazia.

Domenico Galbiati