Un Mes rinnovato o rafforzato? (3) – di Umberto Baldocchi

Un Mes rinnovato o rafforzato? (3) – di Umberto Baldocchi

Questa parte conclude l’intervento sul Mes di Umberto pubblicato già di due parti CLICCA QUI  e QUI

Un Mes  “rinnovato” o “rinforzato”  ?

Il MES non era l’unica strada possibile per neutralizzare i rischi delle crisi di liquidità. Ad esempio gli eurobond, secondo le due studiose del think tank Notre Europe, sopra citate, sarebbero andati bene. Essi “non avrebbero funzionato come un meccanismo di “solidarietà senza reciprocità”- comportante il trasferimento del rischio dai paesi deboli dell’ Eurozona a quelli forti, ma piuttosto avrebbero operato come uno strumento assicurativo capace di coprire tutti i paesi dell’Eurozona da un rischio comune”. (S. Fernandes E. Rubio, Solidarity ecc. p. 44), evitando la pena delle “condizionalità” che comporta il meccanismo emergenziale o di ultima istanza. Certo, secondo le studiose, sarebbero state necessarie premesse rigorose in termini di disciplina del debito ( come il tetto del rapporto debito/PIL al 60%), e di  responsabilità fiscale,  ma, poi, come esse stesse riconoscevano, pur senza polemizzare apertamente con la riforma in atto, anche se “ si è spesso sostenuto che un sistema di emissione comune di bond avrebbe eliminato l’effetto disciplinante dei mercati finanziari […]  questa situazione può esser compensata in un  sistema di eurobond in cui ciascun Stato dell’ Eurozona paghi un diritto diverso a seconda della rispettiva affidabilità creditizia” oppure “debba pagare una penalizzazione per rifinanziare il proprio debito coi bond comuni” ( S. Fernandes E. Rubio, Solidarity, ecc.  p. 45)

Ma, come noto, di eurobond non si sarebbe più parlato sino al disastro del Covid-19 e alla richiesta di un Recovery fund, poi NGEU.  Non è perciò affatto strano che, appena varato il meccanismo, si sia affacciata  ben presto l’idea di una riforma del MES da parte delle istituzioni europee e degli Stati membri, anche se nel dibattito pubblico le forti perplessità espresse con chiarezza tra gli esperti europei non emergevano.    La strada seguita fu quella del tentativo di ricondurre il MES nei recinti del diritto euro-unitario: il primo progetto di riforma del MES   è stata una proposta della Commissione Juncker  del 2017  di trasformazione del MES in FME o Fondo Monetario Europeo, riprendendo una vecchia proposta di Wolfgang Schauble.  Si trattava di procedere ad una normalizzazione giuridica dell’istituzione,  inserendola a pieno titolo entro il diritto euro-unitario, attraverso un Regolamento europeo, in modo da assicurare una piena tutela giudiziaria , il rispetto dei diritti fondamentali  e la responsabilità democratica, riconducendo completamente l’operato del MES sotto l’imperio del diritto TFUE e della Carta di Nizza.

Ma ancora una volta su questa strada non si è trovato l’accordo. Cambiare il MES sì, andava bene, ma non cambiarlo poi molto. E’  la strada  indicata  da Francia e Germania  e esplicitata nella Dichiarazione di Meseberg  del 19 gugno 2018 che proponeva invece di  “conservare, aggiornandola, la natura originaria dl MES” rinunciando alla conversione dello strumento nel diritto UE.  Mettendo da parte la proposta della Commissione, l’ Eurogruppo del 13 giugno 2019 e il successivo Vertice Euro del 21 giugno 2019, e quindi il Consiglio dell’ Unione,  avrebbero fatta propria la scelta franco-tedesca di Meseberg,  arrivando così all’  Agreement Amending the ESM Treaty,  posticipato poi al 2020, soprattutto in ragione della forte opposizione italiana,  e poi rimandato, causa Covid,  al 27 gennaio 2021, data della firma dell’accordo da parte degli ambasciatori degli Stati membri dell’ Eurozona  salvo Italia e Germania che avrebbero deciso la ratifica in date successive ( con l’ Italia rimasta poi l’ultima a ratificare ).   Una vittoria se vogliamo della logica confederativa, intergovernativa, emergenziale e  nazio-centrica,  su quella federativa, o euro-unitaria.

Diversamente da quanto previsto dalla trasformazione del MES in FME la nuova “riforma” non introduce mutamenti né nelle regole di voto, né in quelle delle maggioranze, né nei quorum di presenza per la validità della votazione, cioè nei maggiori punti critici del meccanismo.  Peraltro essa, come si è osservato, “svilisce il ruolo della Commissione europea attribuendo di fatto al MES tutti i poteri che ha oggi la Commissione riguardo alla prevenzione ed alla gestione della crisi”(  Alessio Scaffidi, La riforma del MES e le persistenti criticità in materia di decision-making, in . Federalismi.it/ 11 agosto 2021,   p. 12). Nonostante il testo sembri ribadire l’importanza del ruolo della Commissione e  l’importanza delle valutazioni congiunte di BCE, MES e Commissione, “va tuttavia evidenziato come, in caso di assenza di una “visione comune”, la decisione finale sulla capacità di rimborso – e dunque, di fatto, sulla concessione stessa del prestito – spetterà agli organi del MES” ( A. Scaffidi, La riforma del MES ecc. p. 13).

La “riforma” tuttavia si presenta con una novità importante, forse la novità più importante, un elemento aggiuntivo che essa introduce assegnando una finalità nuova al meccanismo, quella di intervenire nel sistema bancario. Il nuovo MES introduce  infatti il ruolo di garanzia comune (c.d. backstop) al Fondo di risoluzione unico nella gestione delle crisi bancarie , “nel caso in cui le risorse del Fondo stesso non siano sufficienti a finanziare gli interventi che deve porre in essere e questo non si può dire che non sia buona cosa” ( Daniele Ciravegna, Il MES ritorna alla ribalta, 1 dicembre 2022,  Politica Insieme) .  Una novità rilevante che pare espressione di quella “solidarietà assicurativa” dotata di naturale  reciprocità ( potendo comportare l’asimmetria dei cicli che causano crisi bancarie una asimmetria nei vantaggi) e quindi priva dei vincoli di “condizionalità”, di cui si è detto.  Resta il fatto,però, che questa novità rilevante non possa funzionare in automatico, restando esposto l’intervento alle decisioni ( ed ai veti) dei parlamenti nazionali, almeno fin quando “ non emergerà un quadro appropriato di risoluzione sostenuto da una disciplina genuinamente europea del fallimento”. ( G. Antonelli, A.  Morrone,  La riforma del MES: una critica economica e giuridica, in Federalismi.it,  16 dicembre 2020, .p. 4).

In conclusione però, se si lascia da parte questo intervento sul sistema bancario, l’ istituzione MES che mantiene intatti i suoi fondamentali: la rigida condizionalità cui è subordinata l’assistenza finanziaria (del resto discendente dalla Grundnorm codificata nell’art. 136.3 TFUE), l’immunità di persone e beni dell’istituzione finanziaria, il dualismo della governance (tra organi del MES e istituzioni dell’UE). E’ poi evidente un  rafforzamento degli elementi di condizionalità in caso di richiesta di assistenza finanziaria  che va in controtendenza rispetto alle pratiche degli eurobond e del NGEU, nonché all’idea, ormai però messa da parte, di una revisione del Fiscal Compact  che al MES è collegato.

In effetti l’ assistenza finanziaria precauzionale  è ovviamente ancora subordinata ai vincoli del Fiscal Compact ed è attivabile, solo per Stati sottoposti agli effetti negativi di uno shock con “fondamentali economici solidi”  cioè, per Stati che  non presentino procedure per disavanzo o per squilibri macro-economici eccessivi, rispettando i vincoli del Fiscal Compact, il disavanzo pubblico non  superiore al 3% del PIL, il parametro di riferimento del debito pari a un rapporto debito pubblico/PIL inferiore al 60% o a una riduzione del differenziale rispetto al 60% di un ventesimo l’anno ( entro questi parametri ovviamente non  rientrerebbe l’ Italia ed anche parecchi altri Stati). Gli Stati chiedenti assistenza sono tenuti a presentare una  lettera di intenti, ma in aggiunta alla disciplina pregressa – e questa è la novità-  essi devono disporre anche di una capacità di rimborso del prestito MES, certificata da una valutazione congiunta di BCE, Commissione ( che valuta la congruenza col diritto euro-unitario e col quadro delle politiche economiche) , MES ( che valuta le prospettive del prestatore) e FMI ( quest’ultimo su richiesta dello Stato in difficoltà  ove “opportuno”). In caso di valutazioni divergenti tra Commissione e MES, alla prima spetterebbe la valutazione della sostenibilità del debito, al secondo la valutazione della  capacità di rimborso ( G. Antonelli, A Morrone, La riforma del MES ecc. p. 18).

L’assistenza finanziaria a condizioni rinforzate riguarda invece  i paesi che pur avendo fondamenti economici  “sani” non rispettino i criteri del Fiscal Compact. Qui il rafforzamento delle condizioni è ancor più evidente. Gli stati  devono sottoscrivere un Memorandum di Intesa dove si descrivono in modo dettagliato le condizionalità cui è subordinata l’assistenza. E qui compare anche la prospettiva, questa sì nuova,  di una preliminare ristrutturazione del debito. In effetti l’accesso al credito tramite preliminare  ristrutturazione del debito sovrano, resta escluso,  ma non per le situazioni eccezionali– non ulteriormente precisate-   come specifica il 12° considerando dell’art.9  che così recita:

“In casi eccezionali, una forma adeguata e proporzionata di partecipazione del settore privato, in linea con la prassi del FMI, è presa in considerazione nei casi in cui il sostegno alla stabilità sia fornito in base a condizioni che assumono la forma di un programma di aggiustamento macroeconomico. ”

 

La “riforma” lascia infine impregiudicata una certa tradizionale opacità della governance del MES, in cui direttore generale, governatori e amministratori hanno guarentigie tali da renderli legibus soluti titolari della possibilità di emanare provvedimenti che sono veri e propri atti politici insindacabili,  realizzando un sistema in cui chi richiede questo tipo di assistenza si sottopone ad un vero e proprio “patto faustiano”( G. Antonelli, A. Morrone, La riforma del MES, cit.,  p. 14), un “patto” cioè in cui si cede l’anima, ovvero la vita, in cambio di un obiettivo ritenuto importante, anche se mai quanto la vita stessa.

 

GLI “ORDINAMENTI PARALLELI”, IL  “MAELSTROM” DELLE EMERGENZE E LA SOLIDARIETA’ IMPOSSIBILE

 

Dopo la novità indiscutibile del NGEU sembra dunque di assistere, con questa “riforma” del MES, ad un ritorno al passato. Sembra che  la strada  oggi imboccata sia più che quella di un miglioramento dell’ istituzione, quella del consolidamento del  “doppio Stato europeo”, presentandosi ancora  il MES come un a sorta di “corpo estraneo” rispetto  al diritto euro unitario, ma, al tempo stesso come una sua appendice rilevante. Con un paragone non proprio di buon gusto, si è detto  che il MES si presenta come una  neoplasia ( G, Antonelli, A. Morrone, La riforma del MES p. 15) , cioè come  una formazione anomala inserita entro un tessuto normo-funzionante, una formazione   anomala con cui però bisognerebbe convivere, rispetto a cui non è possibile (  o è troppo rischioso) tentare una separazione per via chirurgica.

O, se vogliamo dirlo in positivo,  il MES si presenta come una ulteriore  appendice secondo il modello teorico delle costituzioni complementari che vanno a costituire il cosiddetto costituzionalismo multilivello che caratterizzerebbe l’ UE ( secondo la teorizzazione di Ingolf Pernice). Vale a dire che il MES, anche nella versione novellata, si  presenta come un elemento essenziale parte di un ordinamento policentrico, che è capace di rispondere,  proprio grazie al  suo exceptionalism,  alla realtà complessa, mutante e dinamica di una  Unione Europea, che può progredire solo attraverso una continua dinamica,  che si sovrappone alle regole dei trattati e che si sviluppa attraverso una contrattazione continua  tra i diversi livelli dei poteri.

In realtà  è proprio questo perdurante “dualismo” ciò che  impedisce di costruire una solidarietà politica vera, che rimpiazzi l’integrazione differenziata ed asimmetrica, difesa nei fatti soprattutto dagli Stati più forti finanziariamente ( Germania, Francia e i sedicenti “Frugali”) e da quelli più pesanti politicamente, per le alleanze che riescono a costruire attorno a sé ( i paesi di Visegrad).

E’ questo dualismo della governance europea che fa oggi convivere tra loro le  deroghe più discrezionali e le regole più rigide ( talvolta addirittura matematiche), entro un sistema che ha una capacità sempre più ridotta di conformare in modo omogeneo la  realtà sociale. E’ un “dualismo” che proprio per questi motivi deve confrontarsi continuamente con la dimensione della imprevedibilità, della emergenza e della eccezione, senza mai affrontare a livello sistemico le singole crisi- sempre riportate alle inadempienze di uno stato o di un altro.

Potremmo affermare che nell’ Europa del secondo ventennio del nuovo millennio, al posto dello sviluppo e del completamento/approfondimento dell’ integrazione, cui eravamo abituati, si è sostituita una evoluzione direttoriale che ha finito per consolidare i rapporti di forza esistenti tra gli Stati membri, e che potrebbe oggi ancor di più consolidarli attraverso un nuovo “emergenziale” allentamento  delle regole. Il “via libera” della Commissione, per fronteggiare la normativa industriale  degli USA,  agli “aiuti di Stato” proibiti dai trattati, configura un “ allentamento delle regole UE- che amplia i settori e le soglie massime per gli aiuti alle imprese- esteso fino al 2025 (Marco Bresolin, La UE libera gli aiuti di Stato fino al 2025- Von der Leyen: il Sure non serve più, in La Stampa,  2/02/2023, p. 24)  rischia infatti  di ampliare le differenze di sviluppo tra gli Stati, mettendo in difficoltà gli Stati con minori margini di  bilancio per fare nuovo deficit.

Rischia cioè di incentivare non la concorrenza  delle imprese sul mercato, ma la dissimmetria  dei sistemi normativi e statali  e quindi delle economie. Alla concorrenza delle imprese si sovrappone infatti, in questo sistema multilivello o “dualistico”, una distruttiva   “concorrenza regolamentare” tra gli Stati. Se la possibilità dell’intervento pubblico in economia è proibita, o, peggio ancora,è di fatto interdetta ad alcuni Stati e consentita ad altri, dai vertici UE – ancora una volta  sulla base di quei parametri di bilancio che si diceva di voler “superare”-  gli Stati più deboli saranno spinti a mettere in opera una disperata “politica dell’offerta”, soprattutto attraverso misure miranti ad “ammorbidire” il diritto del lavoro e a diminuire la pressione fiscale sulle imprese, nonché ad au­mentare in misura corrispondente la fiscalità sul consumo,  ad adoperarsi per attrarre capitali e magari anche a sacrificare sull’altare del debito pubblico, incoscientemente o cinicamente, previdenza, insegnamento welfare e sanità. Gli Stati più forti, al contrario, potranno permettersi una politica della “domanda” che attraverso massicci investimenti possano tutelare welfare e qualità dell’occupazione.  Squilibri e differenze economiche e sociali sono destinati ad aumentare- altro che lotta contro le disuguaglianze!- e la concorrenza tra Stati– prevalente rispetto a quella di mercato tra le imprese-  renderà ancora più difficile ogni possibile solidarietà tra cittadini europei e quindi  anche tra governi e tra Stati.

E’ la logica nazio-centrica  di “governo” oggi  “bran­dita” opportunisticamente dagli Stati più forti verso i più deboli, una logica che è la vera  potentissima “miscela” che incendia i nazionalismi autoritari (e parafascisti) su scala eu­ropea, i cosiddetti “sovranismi” che fondamentalmente convergono con gli obiettivi degli Stati a democrazia liberale nel conservare lo statu quo e a impedire ogni riforma dei trattati, minacciando continuamente la rottura del sistema. Una logica che difficilmente potrà continuare a far funzio­nare armonicamente Stati ed economie, tanto meno a ripristinare le premesse di una pace europea.

Vengono così al pettine i nodi della grande questione costituzionale che investe l’ Europa e che spiega anche il suo deficit democratico.  La dinamica istituzionale  ha ricondotto l’ UE ad una visione hobbesiana della sovranità, attenta a tutelare la legge universale della competitività e  la libertà contrattuale e astratta degli individui, e prima di tutto di individui certo “liberi”, ma anche impauriti, isolati, intimiditi dai “cavalieri dell’ Apocalisse” del nuovo secolo,  dalla minaccia della finanza globalizzata, delle nuove pestilenze, delle nuove carestie, della guerra  assoluta.  Un abisso da cui nessuna risposta emergenziale- volta a confermare l’esistente- ci farà mai uscire, ma al contrario, entro cui tale risposta ci può far affondare sempre di più, come in un maelstrom  norvegese.

E’ questo il rischio del rovesciamento e della perversione possibile della costruzione europea, o, se vogliamo, del “suicidio culturale” dell’ Europa. Infatti mentre  “  l’unità descritta da Hobbes , all’origine della sovranità rappresentanza, muove dalla insicurezza e dalla paura degli individui assolutamente incapaci di relazionalità positiva, abitatori di una città incivile, ed è volta a garantire agli stessi la condizione di reciproca immunizzazione  e indipendenza assicurata dai nuovi mediatori, lo Stato-Leviatano ed il mercato, l’unità plurale europea è una fondazione che suppone una dimensione teleologica e cooperativa, e cioè uno scopo comune , a cui le parti si impegnano a concorrere. Essa è cioè istituzione e non mero contratto” (G. Comazzetto La solidarietà nello spazio costituzionale europeo, in Rivista AIC n. 3/2021, p. 15).

La dimensione teleologica e cooperativa- come la dimensione istituzionale –  è oggi sopraffatta dall’individualismo e dall’ emergenza. Per questo oggi ci troviamo più di fronte ad una Europa contratto che ad una Europa istituzione.    Il metodo negoziale-funzionale, la contrattazione tra i poteri,  i trattati paralleli, la solidarietà emergenziale non sono in grado di realizzare  alcuna vera comunità politica.  La solidarietà interstatale non può realizzare alcuna identità progettuale. I trattati paralleli possono dar vita ad una società hobbesiana, che però, va ribadito, si è strutturata, a partire dalla guerra assoluta del diciassettesimo secolo( la guerra civile), e da società ripiegate su se stesse, a difendere una identità-resistenza ( il “sovranismo” di oggi), società   “guidate” dalla insicurezza e dalla paura, dal bellum omnium contra omnes.  Quale mai pensiamo debba tornare  ad essere la società europea.

L’Europa  come entità culturale e politica non potrà mai costruirsi a partire da alcuno stato di eccezione. La “logica” della necessità, che ha spesso caratterizzato la modernità,  è infatti, sempre e dovunque, la ferrea “scriminante del tiranno” per dirla con John Milton ( Paradise Lost, IV, 393-394), , ed è la “ ( pseudo)logica” che distrugge la ragione.

E’ una logica che potrebbe produrre  la peggiore “anti-Europa”, l’opposto di una Europa capace di recuperare speranza, cioè di  una Europa in cui i decisori politici  sappiano guardare lontano e guardare avanti, scrutare l’orizzonte, respingere tutti i consigli e i vincoli dettati dall’efficacia e dall’utilità immediata, dalla paura , dalla disperazione e riprendere il testimone del nostro passato migliore . Un’ Europa che non rinunci al suo “combattimento” più nobile, alla “lotta” necessaria per affermare la pace che si costruisce soltanto con la ragione, col  dialogo e con la progettazione comune del futuro, sempre e soltanto fuori dalle logiche della necessità, che, distruggono il tempo, la politica, l’ambiente,  la socialità, la con-vivenza ed anche la sana “finanza” degli Stati.  Un’Europa che la smetta di edificare una invivibile e impossibile società dell’astrazione, per dar vita a quella società della cura, che sola realizza la concreta convivenza umana.

Umberto Baldocchi