Giorgia Meloni: com’è, com’era, come sarà? – di Giancarlo Infante

Giorgia Meloni: com’è, com’era, come sarà? – di Giancarlo Infante

Dell’intervento alle Camere della nuova Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è interessante cogliere, in particolare, una serie di aspetti  di un punto che sta alla base di molti mali della nostra democrazia. Cioè quello della rappresentanza.

Il termine si può declinare in almeno due modi. Cosa tu rappresenti e chi rappresenti. Che Giorgia Meloni rappresenti qualcosa di ben preciso non c’è dubbio: la destra. Una destra per lungo tempo minoritaria ed isolata. Adesso, per l’acuirsi di problemi interni ed internazionali, e per la latitanza di un centrodestra più europeista e ragionevole, ha finito per divenire lo sbocco del malcontento popolare.

Sui riferimenti storici e di tradizione di pensiero di Giorgia Meloni ci sono poco dubbi. Anche se è evidente il tentativo di prendere in qualche modo le distanze da un passato ingombrante, quello in opposizione al quale è nata la nostra democrazia costituzionale e parlamentare, e presentarsi immersa in un processo catartico.

Ma attenzione a non limitarsi ad un qualcosa che rischia di rivelarsi persino fuorviante perché un Governo si giudica dagli atti che promana e dai comportamenti concreti cui dà corso. E questo nonostante la provenienza neofascista, o postfascista, di Giorgia Meloni non sia rinnegata come sarebbe necessaria. I suoi tentativi di “storicizzare” Mussolini e il fascismo (che cosa significa “storicizzare” i fatti della Storia?) e, soprattutto, la riproposizione di antiche parole d’ordine e progetti che il Movimento sociale, di Michelini, Almirante e Rauti padre, ha sempre agitato dalla sua nascita in avanti (presidenzialismo ed altro) lo confermano.

Vi è, poi, la rappresentanza di più moderne posizioni quali quelle sull’Europa che costituiscono, in assoluto, il punto principale di verifica per il suo Governo. Anche in questo caso, è in atto il tentativo di far dimenticare l’acceso sovranismo nazionalistico, l’essere stata a lungo una degli alfieri dell’anti euro e, cosa recentissima, l’opposizione dura a Mario Draghi.

Poi, esiste il problema di chi rappresenti sul piano dei numeri. E questo richiama la consapevolezza dell’effettiva rappresentatività del suo partito e della coalizione della destra vincitrice, sì, ma senza stravincere. Su questo, la riflessione di Giorgia Meloni appare del tutto inesistente, forse complice l’inebriarsi a seguito di un successo personale e di partito. Ella non è certo una degasperiana o una morotea. Le manca la consapevolezza che i voti non si contano e basta e che, da soli, non completano un quadro socio politico sempre più complesso ed articolato di come lo semplificano i politici e gli organi di comunicazione.

La volontà popolare cui Giorgia Meloni ha fatto riferimento dinanzi al Parlamento ha confermato che il partito più grande, e ulteriormente in crescita, è quello dell’astensione. Neppure la marcia trionfale che l’ha accompagnata negli ultimi mesi pre elettorali ha suscitato entusiasmi. Di certo, non è riuscita ad assicurarsi quella maggioranza assoluta che avrebbe potuto, sì, farla parlare dell’espressione di una netta volontà popolare. Indispensabile anche per disegnare interventi di natura costituzionale senza lo spettro del passaggio attraverso un referendum.

Guardando freddamente i numeri, e per certi versi pure le condizioni della coalizione che ella capeggia, anche il suo è un governo “minoritario”. Oltre ad essere governo di coalizione di cui non sfugge il forte spirito di competizione interna che, evidentemente, l’agitano.

E allora. E’ bene che venga da Giorgia Meloni un contributo alla chiarezza. Siamo d’accordo con lei: gli ultimi 11 anni hanno offerto uno spettacolo indecoroso della politica e del comportamento dei partiti. A differenza sua, noi parliamo di trent’anni condizionati da una legge elettorale iniqua e madre di ogni cambio di casacca, della decomposizione dei partiti, oltre che della nascita di governi “ameba” la cui giustificazione è stata solamente quella dello “stato di necessità”.  Di quei vent’anni, che lei rimuove, anche lei è stata corresponsabile. Certo, tenendo conto della sua scarsa possibilità d’incidere, in un sistema poi ulteriormente, e definitivamente, degenerato nell’ultimo decennio.

La destra ha vinto ed è bene che governi. Il peggio che Giorgia Meloni potrebbe fare è quello di venire meno alle proprie idee e alle proprie posizioni e finire vittima di tutto quel mondo che la circonda, e che crescerà per un certo tempo, e che la premerà per puntare alla sola mera sopravvivenza e gestione del potere. Ma questo deve farlo, e più lo farà con chiarezza e più gliene saremo grati, analizzando bene quello che ha definito “il mandato che ci è stato conferito”. Consapevole, cioè, che quel mandato viene da meno della metà di chi è andato al voto e con una notevole percentuale di astenuti che quasi dimezzano la portata del successo.

L’opposizione, a sua volta, è bene che provi fino in fondo la delusione di una sconfitta annunciata, e meritata, da anni ed anni. Se la Presidente del Consiglio non avrà più alibi, lo stesso varrà per tutti gli altri.

Con molti dubbi e disincanto, gli italiani, comunque, confidano in una doppia catarsi rigeneratrice.

Giancarlo Infante