I partiti dopo le elezioni: come prima e … come se niente fosse – di Giancarlo Infante

I partiti dopo le elezioni: come prima e … come se niente fosse – di Giancarlo Infante

Registriamo che a destra si vuole rappresentare una novità. La sinistra, un po’ malconcia, si agita per rifarsi. Mentre la Meloni parla di “governo d’alto profilo”, per ora vediamo solamente “vecchi” profili. Quelle delle facce e del metodo. Le televisioni ogni sera ci dicono che si sta lavorando alla “squadra di governo”. Verrà fuori uno squadrone…

Potremmo andare avanti per ore su questa falsa riga fino a farci dire, dall’uno e dall’altro, che facciamo i qualunquisti. Termine abbastanza desueto. Anche perché tra promesse dell’oggi, quelle fatte in campagna elettorale, e quelle che invitano alla scommessa sul domani, nessuno può ergersi con il dito puntato a dire che cosa sia una politica “seria”.

In realtà, il dito da un pezzo l’hanno alzato agli italiani. Con ancora più decisione, in occasione del voto del 25 settembre. Eppure, che si andasse ad aggravare la frattura tra Paese reale e quello legale lo si intuiva da anni ed anni.

C’è da riconoscere che Giorgia Meloni sta facendo di tutto per elaborare un racconto secondo il quale sarebbe già pronta a governare. Cosa su cui, ci scuserà, ma saremo costretti a chiedere la verifica d’inventario. E questo perché note sono le condizioni in cui il Paese è costretto da atavici problemi irrisolti, poi aggravati da pandemia e dagli sconvolgimenti dell’economia mondiale.

Fervono, così, le solite frenetiche attività proprie di tutte le vigilie della nascita di ogni governo. Niente di nuovo. E giornali che riprendono la loro attività di segnalazione di nomi di chi gode della grande considerazione dei loro proprietari. Ferve pure la discussione sui “tecnici”. Come se la scelta di un cosiddetto “tecnico” avesse mai fatto dimenticare tutto il resto. Un vecchio tema che, a suo tempo, quando già si capì quanto si arrivava vicini alla mistificazione della politica, portò alla creazione della figura del “tecnico d’area”.

Insomma, non sappiamo ancora, e restiamo in balia solo di voci. Del resto, non si può scordare quel che la nostra Costituzione recita all’art. 92: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”. L’impressione è che Giorgia Meloni lo abbia ben presente e questo è sicuramente un bene. Non ha bisogno che si senta ricordare quel che accadde con Salvini e Di Maio all’indomani del voto del 4 marzo di quattro anni fa.

Intanto, però, questa sensibilità della Meloni, cui sono nel frattempo giunte congratulazioni dall’estero, anche da cancellerie autorevoli, come se già avesse ricevuto l’incarico di formare il Governo, finirà a dover fare i conti con “gli altri” della sua coalizione molto impegnati attorno alla “sostanza”. Lasciano trapelare senza freni  le loro indicazioni, nomi, idee sullo spacchettamento dei ministeri. Vedremo, allora, quale il prezzo pagato da quell’alto profilo promesso.

Nel non fare torto a nessuno e, quindi, occupandoci del versante di quelli della sinistra, tocca chiedersi se ci sia la consapevolezza della crisi con cui sono costretti a fare i conti. Già abbiamo detto della strana meraviglia con cui si è incassata una delle peggiori sconfitte mai registrate nel corso della Seconda repubblica. Forse peggiore persino di quelle risalenti al “primo” e poi al “secondo” Berlusconi. Oggi, infatti, la crisi appare più “esistenziale” che mai, come del resto dicono in tanti di loro stessi.

E forse, la crisi è più profonda proprio perché non si cominciò ad approfondire a suo tempo cosa volesse dire il fare a “freddo” la fusione tra due culture politiche, tra l’altro rimaste in combattimento tra di loro per poco meno di 50 anni. A quali conseguenze avrebbe portato un impegno che contava sulla robusta presenza di “apparati”, soprattutto quello dei post Pci, i quali consentono sì di conservare gli “zoccoli duri”, ma non sempre riescono a salvarti quando si tratta di affrontare il succedersi di crisi economiche finanziarie e del lavoro ti allontanano sempre più da quella sensibilità sociale che, alla fine, dovrebbe costituire l’essenza del centrosinistra. Il non aver capito che i sistemi elettorali contano, e come!, e che, allora, se non sai cambiarli, non vuoi, o non puoi, devi individuare, ma per tempo, la strategia giusta e modificare il tuo atteggiamento autoreferenziale; magari, abbandonando l’idea “maggioritaria” di te stesso, oltre che cercare di capire chi è finito nell’astensionismo, perché, e in quale misura è lì, proprio a causa tua.

Una domanda c’è da porsi in queste ore. Sembra banale,  forse è sì semplicistica, ma ha un suo fondamento più di sostanza: ma Enrico Letta, e gli altri capibastone del Pd, hanno mandato degli osservatori indipendenti a cercare di capire perché hanno perso la Stalingrado d’Italia, quella Sesto San Giovanni in cui pure hanno presentato una persona stimata da tutti come Emanuele Fiano; perché hanno subito il trionfo del partito di Giorgia Meloni a Stazzema, uno dei luoghi simbolo della crudeltà nazifascista?

E’ certamente utile approfondire i massimi sistemi, ma in talune situazioni è forse il caso di andare all’essenza dei fatti e delle cose, soprattutto di ciò che finisce per cambiare il corso della politica.

Giancarlo Infante