La cultura di governo – di Michele Marino
Secondo i sondaggi ormai consolidatisi negli ultimi mesi la coalizione di destra-centro (“centrino”, a dir il vero, con una percentuale che non supera il 10% per Forza Italia) sarà (ebbe) accreditata di una netta maggioranza parlamentare. Rebus sic stantibus, o ciò premesso, in molti ci si domanda in particolare:
a) quale sarà l’atteggiamento del nascituro governo rispetto al conflitto in atto e cioè in riferimento al Patto atlantico;
b) quale sarà rispetto all’U. E. e alla “zona Euro”;
c) il programma governativo di rilancio economico e di resilienza/sostenibilità sarà in linea con quello perseguito dal Governo Draghi?
d) la compagine governativa sarà all’altezza dei gravosi compiti che l’attendono?
In questa sede non spetta al sottoscritto la capacità profetica di dare o prospettare una serie, più o meno attendibile, di risposte esaurienti o rasserenanti; bensì, l’abilità di approfondire, analizzare e delineare taluni profili di debolezza o inadeguatezza per la bisogna. In primo luogo, ritorno a quanto già affermato, criticamente su Politica Insieme lo scorso 10 aprile u.s. (CLICCA QUI) quando sottolineavo in buona compagnia – con il prof. M. Cacciari – l’anomala adesione dell’Italia al conflitto bellico tra Russia e Ucraina per effetto di “atti amministrativi” del Consiglio dei Ministri, contrariamente a quanto enunciato in Costituzione, ex art. 11, ove si stabilisce che tale, specifica competenza viene attribuita al Parlamento che non può esser limitato a ratificare una delibera dell’esecutivo, come già scritto in precedenza (CLICCA QUI).
All’atto dell’assunzione di siffatta, alta responsabilità il futuro Governo Meloni potrà – grazie al cielo – avvalersi della competenza e dell’esperienza dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’ Agata e ciò non può che rincuorarci. Nel frattempo – c’è almeno un mese di tempo – dobbiamo auspicare un maggior impegno e migliori risultati “operativi” da parte degli addetti alla diplomazia del mondo occidentale e più specificamente di quello europeo.
In merito ai rapporti con le istituzioni europee, tecnocratiche e/o bancarie, mi pare che le recenti dichiarazioni, rese pubblicamente e ripetutamente, dalla “Giorgia nazionale”, siano inequivocabili e ben differenti da quelle, negative e ostili, espresse dalla medesima qualche anno fa, con maggior forza ancora da Salvini. E del resto, proprio l’attuale contesto economico e finanziario non consente affatto di fare fughe in avanti o ad occhi chiusi, prendendo decisioni che potrebbero dimostrarsi avventate in un Paese che non possiede risorse primarie, sufficienti per darsi una politica isolazionista o anti-europea.
E siamo al punto dolens della crisi economica che evoca, ovviamente, determinate scelte di tipo macroeconomico, quali la nazionalizzazione – verso cui sembra si orientino alcuni Membri europei – o la privatizzazione seguendo la falsariga del Governo Ciampi nel periodo del “traghettamento”. Molti osservatori, nazionali e non, ed operatori dei settori produttivi attendono decisioni rilevanti in tema di: reddito di cittadinanza, extraprofitti, costo del lavoro, pensionistica, sostegni alle imprese e alle famiglie e – perché no? – riforma fiscale e tributaria. Peraltro, risulterebbe che il prof. Tremonti non venga più riconosciuto come il “tecnico” più adatto a simile, oneroso ruolo politico-istituzionale.
Infine, quanto alla struttura della compagine governativa ritengo di poter spendere qualche parola da “esperto” con il sudore della fronte e la fatica di giornate interminabili a Palazzo Chigi (ho assistito 5 governi tra la I e la II Repubblica). Si tratta, evidentemente, dell’aspetto più qualificante, impegnativo ed anche determinante per chi, come l’on. Meloni, si approccia alla guida della nazione per la prima volta, sbandierando il marchio della Destra. E qui diventa inevitabile risalire all’esperienza storica, dura e un po’ nefasta per la breve durata, del I Berlusconi in cui l’opera indefessa e l’intelligenza politica del “ministro dell’armonia”, il compianto mio concittadino, Pinuccio Tatarella, non furono in grado di salvare un’alleanza frastagliata e tormentata dai leghisti della Padania (al seguito del condottiero “senatùr”), restando in fondo vittima di un decisionismo velleitario, volto a riformare la Giustizia a colpi di decretazione d’urgenza, cosa assolutamente improponibile e inammissibile.
Sarà, dunque, opportuno e saggio che i cosiddetti leader politici inizino da subito a riflettere, almeno nei ritagli di tempo, sui principi ispiratori di una sana cultura di governo che è ben diversa dal fare lanci di spot elettorali o presentazione di emendamenti parlamentari, a volte poco avveduti o insostenibili; assumendo perciò la veste di “uomini o donne di Stato”, aperti al dialogo, alla collaborazione istituzionale e ad avvalersi di esperti affidabili sulla base di valutazioni curriculari che siano obiettivamente certificabili, escludendo le solite segnalazioni, documentate o supportate da logge e consorterie di varia natura che hanno avvelenato l’attività di Palazzo (basti pensare al vergognoso emendamento che avrebbe introdotto ulteriori benefici economici per la “casta” dell’alta dirigenza pubblica!).
Michele Marino