Il centro e il … “fritto misto”- di Giancarlo Infante

Il centro e il … “fritto misto”- di Giancarlo Infante

Politica Insieme (CLICCA QUI) ha pubblicato il seguente articolo di Giancarlo Infante

La fine della stagione del bipolarismo rilancia in maniera prepotente la questione del “centro”. Comunque, un’araba fenice. Resa ancora più tale dalla distorsione lessicale in cui si avventurano vari esponenti politici che per tanto, troppo tempo, ci hanno detto di fare parte di quello o l’altro schieramento rivendicando una posizione centrale. Ma  alla prova concreta hanno prodotto tutto fuorché il superamento della contrapposizione portata all’estremo. Contrapposizione cui possiamo addebitare, senza ombra di dubbio, l’ulteriore contributo alla divisione sociale, alla mancanza di una visione strategica da offrire al Paese, non a caso costretto a fare i conti con un’emergenza dietro l’altra per quanto riguarda l’assetto istituzionale e i rapporti tra i Poteri dello stato, la qualità legislativa, la vita civile, per l’educazione, l’economia, la capacità di tenere il passo dell’occupazione, l’innovazione, in materia di tutela ambientale e la reale capacità di dare corso alla tante transizioni da avviare, a partire da quella energetica. E tanto altro ancora che ci fa trovare in una strana posizione tra nazione evoluta e in via di sviluppo.

Siamo di fronte ad una frammentazione culturale, politica sociale, e persino antropologica, su cui richiamiamo l’attenzione da tempo. Finalmente, prendiamo atto che il tema è più che mai all’ordine del giorno.

Continuiamo, però, a sentir parlare di “centro” soprattutto da parte di vecchi e nuovi spezzoni dell’attuale classe politica che sembra più preoccuparsi di dare vita ad un “corpaccione” elettorale piuttosto che porsi il problema dell’agenda politica della prossima legislatura destinata ad essere necessariamente predisposta con un’attitudine trasformativa dell’intero Paese. Un’agenda che deve tenere conto dell’esistenza di circa 11 milioni di “poveri”, categoria in cui sono finite ampie parti del ceto medio, del disastro formativo ed educativo in cui si dibatte una buona parte del nostro sistema scolastico e della formazione professionale, delle divisioni geografiche che riguardano il Mezzogiorno, ma non solo. Perché molte regioni si sono impoverite a vantaggio di altre e, comunque, si sono aggravate le distanze tra le nostre aree  più evolute e gran parte di quelle più avanzate in Europa; e la divisione è anche interna al Centro – Nord, come confermano le condizioni di Umbria e Marche, ad esempio. Esiste, insomma, la necessità di puntare ad una rigenerazione complessiva che la si ottiene solamente se nasce un “baricentro” politico, economico e sociale, in grado di avere la forza sufficiente per rispondere agli interessi parziali e a tutti quelli che non sono animati da una autentica visione nazionale e, al tempo stesso, europea.

Carlo Calenda, all’indomani dell’incontro di alcuni di questi “centristi” ha risposto a Berlusconi  il quale, rinverdendo una celebre frase di Re Sole, Luigi XIV, ha detto: “Il centro sono io!”.  Lo ha fatto dicendo una cosa su cui concordo pienamente: ” Questa discussione sul centro non appassiona nessuno e non serve all’Italia. Peraltro un centro che è un fritto misto non ha senso. Il vero problema del nostro Paese è che non si riesce a fare nulla, dal termovalorizzatore alla manutenzione della rete idrica all’implementazione dei provvedimenti. Quindi quello che serve è una cultura intrisa di capacità amministrativa con un’ispirazione liberal-democratica che chiuda questa stagione del bi-populismo”.

Il punto, però è stabilire se ciò di cui ha bisogno il Paese possa limitarsi ad ingredienti di “efficientismo”, pur sempre necessari e da perseguire come finora non si è fatto, e non ingegnarsi in una grade azione di riscoperta della Solidarietà. La tecnocrazia dà solo una risposta parziale e gli italiani sono in una condizione tale dall’aver bisogno di essere ripercorsi da un sincero afflato di ricostruzione che è anche morale, non solo pratico.

In questo senso, si ripropone il problema del ruolo dei cattolici interessati alla cosa pubblica. Un tema che ritorna al centro dell’attenzione a seguito di alcuni recenti interventi che hanno visto partecipi Marco Damilano ed altri, tra cui Nino Labate (CLICCA QUI). Mi permetto, così, di dire che la questione della ricomposizione politica dell’area dei cattolici è questione da trattare sapendo che i piani sono distinti, quello religioso e quello politico.

Il richiamo alla Dottrina sociale, che qualcuno preferiva autorevolmente chiamare Insegnamento sociale della Chiesa, dev’essere intanto completo ed integrale, e in questo si supera la distinzione tra quelli della morale e quelli del sociale. Sicuramente non può essere diretto ad una ricomposizione fine a se stessa per sentirci di più, più organizzati e più determinanti, mentre qualcuno vorrebbe essere più decisivo anche per occupare posti e posizioni. Ma perché è il Paese ad avere necessità di qualcuno che riparli di Solidarietà, Sussidiarietà, difesa della Dignità umana, di tutti gli esseri umani, e di Giustizia sociale. E’ questo un punto dirimente quando si parla di “sinodalità” e si deve contemporaneamente riconoscere che il pluralismo politico è oramai patrimonio anche dei cattolici. Quello della sinodalità è tema affascinante e importante allorquando riguarda la comunità dei credenti, ma necessita di un’attenzione tutta particolare quando la declinazione politica di un comune riferimento di pensiero richiede pure dei chiarimenti e, se necessario, delle distinzioni. E’ questo il grande valore del pensiero sturziano che rese possibile la creazione di una via del tutto specifica qual è quella del popolarismo.

In ogni caso, l’impegno politico concreto, soprattutto se riesce ad andare al di là di un “sapore” confessionale, ed è in grado di coinvolgere anche chi credente non è, esige la capacità e l’intelligenza di andare oltre le dichiarazioni e i centri di “autoanalisi”, più o meno organizzati consapevolmente,  e riuscire invece a costruire invece agenda e progettualità politica.

Giancarlo Infante