Serve un “centro” che sa di vecchio?

Serve un “centro” che sa di vecchio?

La nostra iniziativa politica approdata ad INSIEME è nata – nel solco di quell’ispirazione cristiana di cui rivendichiamo la fecondità sul piano storico – nel segno dell’autonomia, della competenza e della capacità di mettere in campo una nuova classe dirigente. Confermiamo il tutto.

Ribadiamo la nostra diffidenza contro un uso confusivo ed improprio, fino ad apparire strumentale, di quei fondamentali concetti di “centro” e di “moderazione”, che sono stati preziosi in altro contesto storico. Confermiamo, insomma, una linea di pensiero non certo occasionale, ma sviluppata, su queste pagine, da più amici, in svariati frangenti, fin dai primi articoli pubblicati a partire dall’aprile 2019.

Il punto che noi poniamo è, anzitutto, di metodo e concerne la piena salvaguardia del nostro ordinamento democratico e, dunque, della corretta, efficace e libera articolazione dialettica tra le forze politiche e, soprattutto tra la specificità ideale e programmatica di ciascuna di esse ed il pluralismo sociale, culturale, etico e civile che arricchisce il nostro Paese.

Vorremmo fosse chiaro che, per quanto ci riguarda, in gioco è, anzitutto, la democrazia e la tenuta delle istituzioni in cui si incarna, garantendo in tal modo la nostra libertà e quella giustizia sociale che ne rappresenta la condizione di effettività. Non a caso, sosteniamo che – in special modo, con una legge elettorale proporzionale – si debba rompere la tenaglia bipolare, grazie alla quale il “maggioritario” d’ordinanza degli ultimi trent’anni ha soffocato la politica nel nostro Paese ed estraniato gli elettori. Se, invece, ci si limita a ragionare in termini di “centro”, cioè immaginando una coalizione – della cui genesi e dei relativi presumibili caratteri, almeno per quel che appare fin qui, molto sarebbe da dire – che si interponga tra le due ali di un sistema, già ad encefalogramma piatto, non si fa altro che consegnarsi alla stessa ingloriosa fine oppure – ed è forse persino peggio – esercitarsi in un duro esercizio di “rianimazione” di un sistema politico oramai decotto.

La “seconda repubblica” è finita. Con essa, un sistema politico che l’ha sorretta, salvo rivelarsi incapace di dare al Paese un governo secondo le regole della normale dialettica parlamentare. Incapace persino ad eleggere il Presidente della Repubblica. E meno male che Sergio Mattarella ha accettato di riprendere in mano il bandolo della matassa attraversata da gravi contraddizioni su temi capitali quale l’Europa, l’Alleanza Atlantica, le relazioni internazionali e la stessa guerra in Ucraina tali per cui la Meloni si ritrova più vicino a Letta, piuttosto che quest’ultimo a Conte e la prima a Salvini.
Proattivo soltanto nell’alleggerire il lavoro dei seggi elettorali e le urne.
Insomma, quel centro rattoppato in formato “corpaccione”, come lo abbiamo recentemente definito (CLICCA QUI) dopo l’uscita di Luigi Di Maio dai Cinque Stelle, che sembra essere oggi in gestazione è del tutto ancillare alla logica del bipolarismo e ne rappresenta tutt’al più, una modestissima ed interessata variazione sul tema.

Soprattutto patisce lo stesso equivoco dei due poli dominanti. Risulta da una sorta di “copia-incolla” di posizioni talmente dispari, talché non resta loro da condividere nient’altro se non un escamotage elettoralistico. Anziché perimetri – neppure aree, ma linee di demarcazione frammentarie e sfuggenti – il nostro Paese ha bisogno, piuttosto, di un “baricentro” che sostenga un processo alternativo di “trasformazione”, come sosteniamo da tempo, di un sistema politico decotto.