Papa Francesco e l’attesa che Putin apra la porta – di Domenico Galbiati

Papa Francesco e l’attesa che Putin apra la porta – di Domenico Galbiati

“ Ma io sento che non devo andare (a Kiev). Io prima devo andare a Mosca, devo incontrare Putin. Ma anch’io sono un prete, che cosa posso fare ? Faccio quello che posso. Se Putin aprisse la porta…”. Le parole che il Santo Padre ha pronunciato, ieri l’altro, sono tanto più importanti nella misura in cui l’appello alla pace e, dunque, alla responsabilità rivolto ai protagonisti direttamente impegnati nello scontro bellico sul suolo della martoriata Ucraina, ma anche a tutti gli attori della scena politico-diplomatica, sono ispirate al messaggio evangelico e mosse dalla Sua preoccupazione pastorale.

Eppure, se lette attentamente, non si sottraggono, con la prudenza, l’equilibrio e l’equanimità che sono proprie alla più alta autorità morale che il mondo conosca, ad un giudizio sulla guerra e sul corso degli eventi. Del resto, la Chiesa cattolica vive la sua vocazione universale non in astratto, bensì nel vivo della storia. Ne conosce le inevitabili contraddizioni, sa come ciò che attraversa la vita dei popoli abbia la sua ultima radice nel cuore degli uomini, nessuno escluso, ciascuno nella sua personale singolarità, è consapevole che i nodi più complessi della vicenda umana difficilmente si risolvono con un colpo di spada ed un taglio netto.

Tanto meno il conflitto armato, ma neppure le soluzioni diplomatiche, per quanto indispensabili per ottenere almeno una pausa allo sterminio in atto, sono quel sicuro fondamento di una prospettiva di pace che può’ maturare solo da un’ attenta architettura di rapporti internazionali che una politica lungimirante sappia costruire e rispondano ad un impegno morale condiviso da tutti gli attori in gioco.

Colpisce, anzitutto, la abissale diversità, a fronte della guerra, anzi dell’ “operazione militare speciale”, che corre tra la visione “cattolica” di Papa Francesco e quella del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, che rispondendo al sentimento di una Chiesa etnica infligge al Pontefice la lettura di una lunga teoria di argomenti a favore dell’aggressione russa all’Ucraina.

“Ma tanta brutalità come si fa a non fermarla ?” esclama Papa Francesco che accosta quel che sta patendo il popolo ucraino al devastante genocidio sofferto, negli anni ‘90, dal Ruanda. E mostra di sapere esattamente cosa fare, come mettere in campo, a favore della Pace, il suo ascendente morale, attraverso gesti che, fatti per tempo e con la discrezione che un attento lavoro diplomatico richiede, ora vengono resi noti ed, esaminati nella loro cadenza, sembrano mostrare una implicita, ma chiara valutazione del quadro.

“Il primo giorno di guerra ho chiamato il Presidente ucraino Zelenskj al telefono – dice Papa Francesco – Putin invece non l’ho chiamato. L’ avevo sentito a dicembre per il mio compleanno, ma questa volta no, non ho chiamato”. Il Santo Padre non fa sconti e chiama in causa anche le responsabilità della NATO – “l’ abbaiare ai confini della Russia” – che possono aver facilitato l’ “ira”di Putin. Senonché – lamenta Francesco – alla sua richiesta di andare, dopo venti giorni di guerra a Mosca “….era necessario che il leader del Cremlino concedesse qualche finestrina. Non abbiamo ancora avuto risposta e stiamo insistendo…”. La sua visita all’ Ambasciata russa di Roma, appena avviato il conflitto armato, e la richiesta che si fermasse l’aggressione – sostiene il Pontefice – ha voluto essere un chiaro messaggio al mondo.

Altrettanto carico di significato è il costante contatto diplomatico che il Papa ha tenuto con Kiev, attraverso le ripetute visite del suo elemosiniere, Cardinale Krajewski. Del resto, il Santo Padre ha ben chiare le priorità del suo impegno umanitario e di pace. Insiste nel voler incontrare Putin e non vuole andare a Kiev, evidentemente per non compromettere, con un atto che sarebbe strumentalizzato come gesto di parte, le sue possibilità di mediazione. E per quanto il suo pensiero sia fermamente avverso alla produzione ed al commercio di armi, a guerre fatte per saggiare armamenti da impiegare in conflitti ancora più vasti, a proposito del sostegno militare all’ Ucraina, afferma: “Non so rispondere, sono troppo lontano, se sia giusto rifornire gli ucraini…”.

Un aperto attestato di stima al Presidente Mattarella ed a Mario Draghi, un ricordo appassionato del Cardinal Martini chiudono un’ intervista dolente, ma non rassegnata.

Domenico Galbiati