Il 18 aprile che cambiò l’Italia – di Giancarlo Infante

Il 18 aprile che cambiò l’Italia – di Giancarlo Infante

Vi sono ricorrenti nella storia quelle date che, per quanto preparate da tempo, diventano veri e propri punti di svolta. Il corso degli avvenimenti cambia e si apre una fase nuova. Accadde così che il 18 aprile del 1948 modificò tutto il dopo 8 settembre del 1943.  Giunsero, infatti, al confronto due antitetiche visioni politiche, sociali ed economiche, ma anche culturali ed antropologiche, nel frattempo delineatesi con il calo della cosiddetta “cortina di ferro” e la conseguente divisione dell’Europa e, quindi, del mondo.

Un andamento che già datava circa due anni. Da quando era emersa l’assoluta inconciliabilità tra la Russia, e la sua versione del comunismo imposto a gran parte dell’Europa orientale, e l’Occidente di cui sempre più stavano assumendo la guida gli Stati Uniti d’America.

Quel ’48 si portava dietro le ultime fasi della sanguinosa guerra civile di Grecia dove il confronto in armi con i comunisti spalleggiati da Stalin sarebbe stato destinato a durare ancora un anno. A conferma che lo scontro, dopo l’occupazione militare da parte della Russia sovietica di paesi come la Polonia, la Romania, la Bulgaria e, attraverso il già “eretico” Tito, della Jugoslavia non sarebbe potuto rimanere cosa esclusiva della dialettica politica. Si stavano già materializzando tutti quei presupposti che avrebbero portato alla definitiva divisione di Berlino. Al punto che solo due mesi dopo le elezioni italiane ci sarebbe stata la necessità d’organizzare un ponte aereo per rifornire, e la cosa durerà dal giugno ’48 al maggio ’49, la parte di quella che era stata la capitale tedesca assegnata al controllo anglo – americano – francese.

Dunque, era già chiaro dove e come stesse andando il mondo. La scelta cui veniva chiamata anche l’Italia, fortunatamente una scelta elettorale cui partecipò più del 92% degli aventi diritto al voto, era quella per un modello sociale, oltre che politico, basato sulla Libertà e sull’opzione democratica. E le urne parlarono chiaro.

Certamente influirono il Piano statunitense d’aiuti Marshall che prevedeva la consistente  cifra di 14 miliardi di dollari di allora per risollevare le condizioni dei paesi europei usciti completamente distrutti dalla guerra. Influì anche la decisione della Chiesa cattolica di scendere in campo e di mobilitarsi parrocchia per parrocchia. Ma è altrettanto certo che si deve ad Alcide De Gasperi se il Paese poté essere in grado di navigare tra gli angusti scogli che la polarizzazione politica finiva fatalmente per determinare. Quel tipo di scontro, infatti, produsse inevitabilmente la nascita di due fronti contrapposti. Nonostante alcune voci tra i socialisti, ad esempio quella di Sandro Pertini, intravedessero il rischio di un appiattimento sulla posizione di Palmiro Togliatti.

Lo statista trentino, proprio per come aveva preparato l’appuntamento del 18 aprile, non ascoltò mai le sirene della destra, le pulsioni integraliste di una parte della Gerarchia e del mondo cattolico. In seguito non esiterà neppure ad assumere un fermo atteggiamento nei confronti del Papa e dell’ambasciatrice americana Luce, ma anche di don Sturzo. Tutti intenzionati a spingerlo ad un accordo elettorale con i neofascisti per la città di Roma. I fatti dimostreranno quanto avesse ragione lui. E, soprattutto, quanto egli bene facesse a non far coincidere la ferma, netta e inequivocabile dedizione alla Libertà con il conservatorismo economico d’impronta liberista e, dunque, con una scelta di destra e integralista.

Alcide De Gasperi è stato, in qualche modo, un anticipatore del Concilio Vaticano II per ciò che riguarda la piena e autonoma assunzione di responsabilità pubblica da parte di un convinto credente, al punto che egli è oggi annoverato tra i Servi di Dio ed è in corso il suo processo di beatificazione. E, dunque, senza che egli vivesse un’impropria “commistione” tra il piano della fede e quello dell’impegno politico. Con garbo e pazienza, versando anche calde lacrime per non essere più ricevuto “oltre Tevere”, fu persino un “educatore” di quei cardinali e vescovi sempre in procinto di far commettere alla Chiesa taluni errori propri del passato e, così facendo, restò coerente con tutto ciò che aveva portato alla vittoria del 18 aprile. La creazione cioè di un’area democratica più ampia cui sicuramente i cattolici davano l’impronta più significativa, ma accettando una visione pluralistica e coltivando il senso della coalizione.

Il suo essere “moderato” non poté, e non può neppure oggi essere considerato “moderatismo” sociale come quello che provavano ad imporgli dalla Fiat di Vittorio Valletta o dalla Confindustria di Angelo Costa. La vittoria di quell’aprile consentì a De Gasperi di avviare una serie di riforme destinate a cambiare il volto dell’Italia e a smentire ogni tentativo di affibbiargli una patente di conservatore.

Per proseguire con la riforma agraria, e in questo accogliere le indicazioni che venivano dall’ala dossettiana della Dc, profondamente animata da istanze solidaristiche, De Gasperi non esitò a dimettersi nel 1950 per rispondere al dissenso dei ministri liberali. E così, Antonio Segni poté avviare il superamento del latifondo e l’espropriazione di terreni abbandonati per puntare alla creazione di una nuova classe di piccoli proprietari e all’aumento della produzione agricola. Ma il riformismo degasperiano, che fu la premessa di un’autentica trasformazione dell’intero Paese, emerse anche attraverso il suo sostegno ad Enrico Mattei e alla sua politica di autosufficienza energetica, ad Amintore Fanfani per il suo Piano casa, a Ezio Vanoni per la perequazione fiscale. Così come, egli nato nell’arco alpino, per ciò che riguardò la creazione della Cassa del Mezzogiorno e la convinta consapevolezza della necessità di operare affinché si trovassero quei meccanismi che al Sud avrebbero potuto portare sviluppo economico ed equità.

Non tutto ciò che fu possibile avviare a De Gasperi, grazie al risultato del 18 aprile, venne portato pienamente a compimento. Proprio perché il travolgente processo di trasformazione avviato cambiò in pochi anni il tessuto economico e sociale dell’Italia innescando, quindi, nuovi processi cui tanti altri seguirono. Ma fino a quando la Dc interpretò nella maniera più solidale e democratica il risultato di quel giorno d’aprile di tanti anni fa, e cioè continuò a fare propri uno spirito e una sostanza degasperiana, riuscì a restare un punto di riferimento e di baricentro dell’intero sistema politico e della società italiana intera.

Giancarlo Infante