Quirinale: mentre il centrodestra rischia l’autogol con Berlusconi, gli altri che fanno? – di Giancarlo Infante

Quirinale: mentre il centrodestra rischia l’autogol con Berlusconi, gli altri che fanno? – di Giancarlo Infante

Riandando agli inizi di questo confuso avvicinarsi alle elezioni del nuovo Capo dello Stato possiamo, oggi, alla luce di quanto sta accadendo, chiederci se, da subito, il centrodestra non abbia sbagliato e non si sia operato per rendere davvero problematica la salita al Colle di Silvio Berlusconi. Candidatura già di per sé oggettivamente difficile da presentare come unitaria e all’insegna del tentativo di superare le divisioni del Paese. Candidatura, in effetti, accompagnata da alcuni errori che potrebbero portarla persino ad arenarsi visto come ha finito per assumere una cifra ancora più divisiva di quanto non lo fosse già in partenza.

Forse, il primo errore, o cosa scientemente voluta, risale elle enfatiche, iniziali dichiarazioni sulla ricerca di una candidatura esplicitamente marcata come di centrodestra: “finalmente, ci prendiamo il Quirinale”. Ovviamente, auspici che dimostrano una scarsa conoscenza della complessità dei meccanismi che portano alla scelta del Presidente della Repubblica e alla facilità con cui è possibile veder “bruciati” i candidati troppo in anticipo. Soprattutto, se non si è matematicamente certi di avere una maggioranza che non sia solamente relativa. In tanti casi precedenti abbiamo visto come in molti sono arrivati all’appuntamento indicati come papi e ne sono usciti cardinali.

Molto, comunque, è ancora da scrivere. Troppo ancora c’è da capire sulle reali intenzioni di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni e se, in particolare, il loro gioco sia finalizzato solamente al voto per il Quirinale.  Sono da studiare bene, allora, le parti che vediamo recitare in commedia. Soprattutto, attorno alla chiarezza con cui è affrontata la questione delle votazioni che cominceranno il prossimo 24 gennaio . Un grosso punto interrogativo addirittura ingrandito dopo la dichiarazione congiunta del centrodestra servita, sì, ad ufficializzare la candidatura di Silvio Berlusconi, ma, in qualche modo, sospendendola in attesa che il leader di Forza Italia sia in grado di sciogliere la propria riserva. Riserva ampiamente in campo perché devono essere trovati i voti che mancano a consentirgli di superare il quorum richiesto. Egli si rivolge a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni per contare sul pieno sostegno di tutti i loro parlamentari e si sente chiedere se è in grado di trovare un sostegno, oltre il recinto del centrodestra, e così giustificare la candidatura.

La storia delle elezioni presidenziali italiane sono servite a far conoscere a tutti il termine “franchi tiratori”, che oggi può anche essere sostituito da “fuoco amico”. Così come in occasione di alcuni degli appuntamenti precedenti di questo tipo abbiamo assistito alla disinvolta ricerca di singoli voti, o di gruppetti di parlamentari che, in qualche modo, dicevano di muoversi con una certa libertà ed erano pronti ad offrirsi. Cosa che oggi, in barba a tutti i cultori del sistema maggioritario, cui era stata attribuita la capacità miracolosa d’impedire i cambi di casacca, è ancora più pronunciata a seguito dell’abnorme dilatazione dei gruppi misti di Camera e Senato.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni non sono affatto certi che quello che fu a lungo il loro leader riconosciuto, ma oggi forse di lui vogliono liberarsene,  sia in grado di assicurarsi quel consenso necessario a raggiungere i numeri richiesti. Berlusconi è dato impegnato, anche personalmente, a contattare uno per uno più parlamentari possibile, e di ogni schieramento, con l’obiettivo di raggiungere anche un solo voto in più del necessario per salire al Quirinale. Che l’operazione riesca al costo della ulteriore fratturazione del quadro politico e, probabilmente, dell’intero Paese non sembra cosa che richiami grande attenzione.

Atene, dunque, piange. Ma non è che Sparta sia messa tanto meglio. Enrico Letta continua a parlare della necessità di mettersi a cercare un candidato d’unità, ma oltre questo non riesce ad andare. Non si capisce che cosa significhi quel “patto di legislatura”, per di più della sola durata di 14 mesi, offerto al centrodestra in cambio della scelta concordata del nuovo inquilino del Quirinale. Chi dovrebbe accettarlo? Forza Italia? Ma lo stesso Berlusconi si è detto semmai pronto alle elezioni anticipate se fosse Draghi a salire alla Presidenza della Repubblica. Matteo Salvini? Egli sorregge Draghi, ma per dinamiche tutte sue che niente hanno a che vedere con quelle della sinistra. Giorgia Meloni? A queste suggestioni del “tutti insieme appassionatamente” ha già detto di no e continua a dirlo con la quotidiana opposizione a tutto ciò che viene da Palazzo Chigi e dalla maggioranza parlamentare.

Certo i numeri non consentono al Pd grandi voli pindarici. Ma la Politica ha anche bisogno di coraggio e di colpi d’ala. E’ così, eventualmente, che si raccolgono i consensi mancanti. O Letta ha delle carte in mano ed è intenzionato a scoprirle solo all’immediata vigilia del voto, o dopo le prime votazioni da cui nessuno si aspetta molto, oppure annaspa ed è costretto a giocare di rimessa sulla base delle puntate degli altri. Causa ed effetto, questo, del perpetuarsi di una inconsistenza politica cui, è oramai evidente, non riesce a portare ossigeno neppure il raccordo con i 5 Stelle i quali, sulla carta, restano comunque il raggruppamento parlamentare più ampio sul piano dei numeri.

C’è da chiedersi se, tornando alle vecchie abitudini di una politica che tutti dicono di voler superare, non ci si aspetti di veder concretizzato l’autogol del centrodestra per organizzare, magari verso la 15 – 16 esima votazione, un buon “caminetto” per risolvere il problema. Ovviamente, senza che la scelta del Presidente della Repubblica significhi il punto di partenza di un processo di ricostruzione della politica, che invece appare come la cosa sempre più necessaria.

Ma tutto questo sembra considerato assolutamente secondario. All’impegno per cambiare le cose ci si penserà dopo. Così come alla possibilità che la Politica torni per prima cosa ad essere un’offerta di idee e programmi diversi, sottomessi alla democratica valutazione del corpo elettorale e della società civile tutta. Mentre invece l’impressione è che si continui a vederla in un’ottica esclusivamente utilitaristica. E’ quello che potrebbero far pensare pure le dichiarazioni del Capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber. E’ ovvio che egli sostenga Silvio Berlusconi, e che lo faccia riferendosi al suo europeismo. Nessun riferimento, però, al fatto che il grosso del sostegno espresso finora a favore del fondatore di Forza Italia viene dai rappresentanti di quell’estremismo anti europeo come sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Giancarlo Infante