Un giorno d’ordinaria follia … all’Anagrafe di Roma – di Giuseppe Gaglioti

Un giorno d’ordinaria follia … all’Anagrafe di Roma – di Giuseppe Gaglioti

La location è suggestiva e incantevole. Da un lato le acque non proprio limpide di quello che una volta era confidenzialmente chiamato il biondo Tevere e che spesso ricoprono l’isola Tiberina, la Sinagoga che fa da contraltare ad un convento di frati nel complesso dell’Ospedale Fatebenefratelli. Dall’altro la Bocca della Verità, il Tempio di Ercole, gli ultimi ciuffi d’erba del Circo Massimo e, sullo sfondo, l’imponenza dei Fori Imperiali con la maestosità del Colosseo. Chissà perché i parcheggi nei dintorni sono spesso occupati dagli enormi tir delle ditte che noleggiano le apparecchiature cinematografiche!!

Incastonato nel profumo della storia si erge lui, con i suoi muri di travertino resi grigiastri dallo smog, che ne lasciano immaginare la bellezza se fossero riportati al loro colore originario. I marmi interni, con le venature rosacee simili ai corsi dei fiumi delle cartine geografiche, le colonne portanti, le iscrizioni e i reperti in bella vista che ne ricordano le origini.

E’ il palazzo, imponente, che ospita gli uffici dell’Anagrafe Centrale del comune di Roma e dell’annesso 1° Municipio, mèta di interminabili pellegrinaggi dei cittadini romani e non, in cerca di utopistici certificati di residenza ed estratti di nascita, copie conformi, atti notori, atti giudiziari, firme di referendum, trascrizioni di variazioni anagrafiche, rilascio di carte d’identità, richieste di cittadinanza, tessere elettorali e quant’altro lo scibile umano possa comprendere!

Potremmo riempire pagine intere per descrivere quanto accade in un giorno ordinario in Via Petroselli 50, sede dell’ufficio, denominata già Via del Mare e poi Via del Teatro Marcello prima di assumere l’attuale denominazione da uno dei sindaci più amati dai romani. Rimandiamo a dopo questo appuntamento. Ci interessa di più in questa fase scrutare i personaggi, con i loro vizi e virtù, che animano questo caleidoscopico palcoscenico naturale rappresentando un perfetto spaccato della società romana e non.

Ore 6,30 del mattino. In inverno il buio prevale ancora sui bagliori dell’alba e i primi stakanovisti si avvicinano con passo lento all’entrata dei dipendenti in Lungotevere dei Pierleoni con la rassegnazione di chi non si aspetta nulla di sconvolgente dalla giornata che sta per affrontare, rimanendo in attesa che la porta d’ingresso sia aperta, alle sette, da uno degli addetti al servizio di portineria affidato a società esterne. E anche su queste realtà potremmo aprire un lungo discorso. Ci basti solo sottolineare che il decano di questi addetti, ripetendo ossessivamente lo slogan “lo sai come lavoro io”, è un convinto assertore della inutilità, se non addirittura della nocività, dei vaccini. Sapete cosa fa? Controlla i green pass!

Il flusso, col trascorrere dei minuti, si fa più intenso e irregolare, complicato ultimamente dalla necessaria esibizione della certificazione verde Covid 19, ritardando oltre ogni misura l’accesso al palazzo, con relative imprecazioni di chi deve strisciare in tempo il badge per usufruire del buono pasto. Una vera e propria corsa al raggiungimento della pole position. I personaggi si susseguono in un alternarsi di caratteristiche uniche che un occhio minimamente attento non fa fatica ad individuare subito.

C’è la signora, alle soglie della pensione, che ostenta il suo fisico ancora attraente grazie agli enormi sacrifici delle sedute in palestra, consapevole degli sguardi che la accompagnano, esaltando le sue forme con un abbigliamento a dir poco provocante. Fa da contraltare a tanta opulenza fisica l’atteggiamento dimesso della ragazza, vestita in maniera che dire sobria rappresenta una esagerazione, che ricorda le battaglie sessantottine accompagnate da una nuova coscienza ambientalista e suggellate dalla perenne presenza alle mani dei guanti protettivi in versione anti-covid. C’è chi esibisce ad ogni occasione il tesserino dei dipendenti anche se entra ed esce, per ragioni di servizio, numerose volte dal palazzo e chi, invece, polemizza anche sull’esibizione obbligatoria del green pass.

I minuti trascorrono veloci. Si avvicina l’impiegata dai prorompenti seni, appositamente malcelati, che ricorda tanto i personaggi di felliniana memoria. La quarantenne con gli occhi di tigre, vieppiù esaltati dalla presenza della mascherina. C’è il ritardatario seriale e il flemmatico. Il nullafacente e colui che fa di tutto per accattivarsi le simpatie dei suoi superiori per scalare la posizione sociale all’interno dell’ufficio. Eh sì, perché ai piani alti ci sono loro: i dirigenti. Che, come tutti coloro che ricoprono posizioni apicali, godono di privilegi, e di stipendi, che suscitano le invidie del “popolino”. A cominciare dai parcheggi riservati che mandano in bestia tutti coloro che, in una lotta all’ultimo sangue, fanno a gara fin dalle prime luci dell’alba per accaparrarsi l’agognato posto contrassegnato dalla linea bianca!

Discorso separato merita la categoria degli autisti, assegnati alle varie direzioni e agli assessorati e che costituiscono un mondo a parte. Sempre in attesa di disposizioni e pronti a muoversi secondo le esigenze dell’ufficio, perfetti padroni delle spesso tortuose e trafficate strade di Roma, a conoscenza delle scorciatoie più impensabili per consentire al politico di turno, sempre costantemente in affanno temporale, di arrivare in orario all’appuntamento. Soprattutto, a conoscenza, per i personaggi che trasportano, dei segreti più reconditi della politica romana. Alcune volte un po’ sopra le righe nelle loro manifestazioni esteriori ma, essenzialmente, grandi conoscitori del loro mestiere e depositari di una sconfinata fiducia da parte dei loro passeggeri.

Dicevamo prima che, come un Giano bifronte, dall’altra parte del palazzo, in via Petroselli 50, si apre l’entrata per i cittadini, la cosiddetta utenza. Un variopinto coacervo di individui che, fin dalle prime luci dell’alba, anche loro, si ammassano all’entrata per tentare di riuscire nel loro intento: uscire vittoriosi dalla cruenta battaglia intavolata per strappare un certificato, registrare un cambio di residenza o, più semplicemente, vedere riconosciuta la nascita di un bambino. Persone che in attesa di vedere evasa la loro richiesta, trovano il tempo, comodamente seduti nei saloni del palazzo, per laurearsi, incontrano l’anima gemella, si sposano – sempre all’interno del palazzo, ovviamente – si separano, divorziano, si riconciliano, in un cerchio infinito di situazioni che si alternano tra loro in una estenuante rincorsa tra un inizio e una fine pirandelliani!

Cittadini che escono dagli uffici con l’indice e il medio in segno di vittoria come Churchill alla fine della seconda guerra mondiale a testimoniare il sopravvento sulle pastoie della burocrazia. Ma anche, e non sono pochi, coloro che si sperticano in lodi sulla gentilezza, disponibilità e competenza del personale dipendente.

Genitori che pretendono di vedere rilasciata la carta di identità ai loro figli minorenni senza la loro presenza fisica, in fiducia, come se l’impiegato di turno avesse delle doti divinatorie sulla corrispondenza tra la foto presentata e il viso reale.

Migranti alla ricerca di residenze virtuali per ottenere i documenti necessari alla permanenza in Italia che stimolano la fantasia degli addetti alla reception nel tentativo, spesso sovrumano, di comprendere le loro richieste per la quasi inesistente conoscenza della lingua italiana. Stranieri in coda fin dalle prime luci dell’alba per richiedere la nostra cittadinanza nella consapevolezza di inoltrarsi in un ginepraio di decreti, documenti, giuramenti che ricordano le difficoltà di Pozzetto e Montesano in “Noi uomini duri” nel superare il ponte tibetano. Oppure cittadini privi di bancomat o carta di credito, già arrabbiati perché costretti a ritirare alla casa comunale, spesso dopo lunghe file, atti giudiziari che non lasciano presagire alcunché di piacevole, a cui viene imposto – lo dicono le disposizioni che escludono il pagamento in contanti – di uscire nuovamente dal palazzo per pagare con apposito bollettino la tassa di 1,50€ dal tabaccaio e rientrare successivamente per ritirare l’atto.

Per non parlare di quello che accade nel settore elettorale, quando, e in Italia ne conosciamo la frequenza, si avvicina la chiamata alle urne. Si mette in moto un meccanismo infernale che per giorni interi vede il trasporto del materiale necessario, sopralluoghi nei luoghi deputati ad accogliere i seggi, candidati affannati a richiedere certificati elettorali necessari per la presentazione alle urne, cittadini che si accorgono all’ultimo minuto di avere la tessera elettorale completa o smarrita e si presentano agli uffici per il rilascio a pochi minuti dalla chiusura dei seggi. O, ancora, i furbetti che, approfittando della finestra elettorale che ne consente il rilascio, richiedono il rinnovo della carta d’identità, magari scaduta da tempo, per evitare di sottostare alle ormai consuete e lunghe attese per la prenotazione on-line.

Il nostro viaggio termina qui. Avrebbe potuto essere molto più lungo se ci fossimo soffermati a raccontare anche solo una parte degli aneddoti e delle storie che accadono là dentro. Ma evidenti limiti di spazio ci impongono di mettere un punto.

In fondo, come la vita, siamo dentro una interminabile telenovela in cui ogni puntata è diversa e uguale a quella del giorno precedente in cui i protagonisti invecchiano inesorabilmente in attesa che il regista ne decreti la fine.

Giuseppe Gaglioti