Un fiasco danese

Un fiasco danese

A quattro anni dall’inaugurazione dell’inceneritore Amarge Bakke e a due dall’apertura dell’avanguardistico impianto sciistico costruito su di esso, la Danimarca tira le somme e approda a un’amara, ma probabilmente prevedibile conclusione…incenerire scoraggia la prevenzione. Questo concetto è rafforzato dalla direttiva europea 2008/98/CE che sancisce il principio della gerarchia nel trattamento dei rifiuti e in questa scala la termovalorizzazione non compare se non al quarto posto.

La prevenzione è attività primaria e necessaria per raggiungere quegli obiettivi a livello nazionale e mondiale in fatto di impatto ambientale e sostenibilità.

Fin dal 2012 quando venne presentato il progetto, il comune di Copenaghen si mostrò fermo nella volontà di costruire un impianto di dimensioni ridotte e contestualmente portare avanti una forte politica di riciclaggio e riutilizzo.

Vi era la preoccupazione che la costruzione di un grande inceneritore avrebbe potuto inviare un segnale alla popolazione che sfruttare il processo di combustione sempre e comunque, anche per materiali potenzialmente riciclabili, sarebbe stata l’unica via accettabile.

Un grande problema con il quale il paese si scontrò già nel 2016, fu quello di rendere economicamente sostenibile il progetto modificando l’accordo originale che vietava l’importazione di rifiuti dall’estero per far lavorare a pieno regime la struttura. 560.000 tonnellate l’anno la quantità di rifiuti necessari per impedire il fallimento del progetto.

Nel 2018 sono stati inceneriti circa il 40% di rifiuti riciclabili provenienti soprattutto dalle isole britanniche, per non parlare delle enormi emissioni di CO2 dato dalla combustione di carbonio fossile presente nella plastica.

L’investimento, basato su un prestito che obbligherà i cittadini danesi a pagare con i rifiuti importati per ancora 30 o 40 anni sta minando il piano climatico della città.

Secondo i calcoli della Althesys, società specializzata nella ricerca e consulenza in ambito energetico e ambientale, riciclare anziché rimane la strategia e scelta più conveniente nonché investimento economico migliore infatti ogni euro speso per far rinascere le “materie prime seconde” produce 3 euro e mezzo, al netto dei costi.

 Dal 2020 le nuove direttive europee confermano l’importanza del sistema basato sul riuso dei materiali, la valorizzazione degli scarti e la progettazione sostenibile grazie anche alla responsabilità del produttore.

L’esperimento danese presentato con grande entusiasmo e invidiato da molti anche nel nostro paese, attualmente sta mettendo in luce più costi che benefici e per diretta ammissione dell’amministrazione locale è stato forse l’investimento peggiore che si potesse fare.

Cassandra Verticchio