Quando la Politica vuole sostituirsi alla Scienza – di Giancarlo Infante

Quando la Politica vuole sostituirsi alla Scienza – di Giancarlo Infante

Scrive Maurice Cohen nel suo Tolleranza e scienza: ” la scienza non è che una luce fioca e tremolante nel buio che ci circonda, ma è la sola che abbiamo: maledetto colui che vorrebbe spegnerla “.

Dopo lo smarrimento del senso della trascendenza, sembra venuto il momento in cui la fede cieca nella capacità degli scienziati di risolvere tutto finisca per rivoltarsi nel suo contrario. Con il diffondersi di atteggiamenti antiscientifici o ascientifici. Quello che Barrington Moore jr già nel 1966 avvertiva come “regresso nell’irrazionale”, con le conseguenti “distorsioni psicologiche ed ideologiche”.

La Scienza è un divenire in cui, pertanto, essa perde ogni sacralità, ma acquista in credibilità. Proprio per questo resta uno dei punti fermi di riferimento.

La forza della Scienza sta nel fatto che, proprio perché l’Umanità, avventurandosi e penetrando sempre più l’infinitamente grande, come l’infinitamente piccolo, è costretta a mettersi in discussione e a riconoscere che la cosiddetta complessità si fa ancora più complessa; quasi ogni giorno, a mano a mano che nuove conoscenze fanno comprendere quanto ancora ci sia da conoscere.

Allora, il problema non è quello posto dallo Scientismo che ritenne, sulla scia degli entusiasmi per una Scienza moderna ai primi passi, come fu quella del 1800, d’aver trovato la strada per risolvere i problemi delle donne e degli uomini e la possibilità di rispondere agli interi loro bisogni. E’ emerso che la vera questione, e questo vale per tutte le cose umane, è quella della qualità della Scienza e delle sue applicazioni tecnologiche. Sono esse in grado di arricchire la nostra condizione in modo da dare una risposta alla ricerca del senso profondo della Vita e al significato dell’esistenza? A quanto, come ci ricorda il Leopardi, è istintivo persino in un pastore errante dell’Asia implorante verso la Luna:

” Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, (… )

a che vale
al pastor la sua vita,
la vostra vita a voi? dimmi: ove tende
questo vagar mio breve,

il tuo corso immortale?”.

Un quesito proveniente proprio dal poeta che, più di altri del proprio tempo, ma pure dei molti venuti dopo, era pervaso ed affascinato dallo spirito scientifico in grado di sostanziare la sua visione “materialistica”. Paradossalmente ponendosi, in qualche modo però, in diretta continuità con i due grandi scienziati e veri credenti allo stesso tempo, tra di loro sostanzialmente contemporanei, che furono Galileo e Cartesio.

E’ evidente che diventa soverchiante per le nostre forze il provare a traslocare queste riflessioni a cospetto di una Politica, intesa a livello  mondiale, non solo italiano, si badi bene, quale sistema dirigente che arranca tra assunti dati per certi, ma che certi non sono, e brancola nell’assumere decisioni  immediatamente destinate ad essere contraddette, come stiamo assistendo da un pezzo nel corso della pandemia della Covi -19.

La domanda sulla Politica è la stesse di quella della Scienza: qual è la sua qualità? Ha la capacità di governare la cosa pubblica e di seguire la ricerca del Bene comune? O si abbandona alle “distorsioni psicologiche ed ideologiche” di cui sopra? Ha un senso l’affidarsi ad ottimistiche scelte, magari sulla base della valutazione di un “rischio calcolato”, o al fare facili promesse, o al decidere per decreto che una pandemia dalla portata mondiale esista o meno?

Basta andare alle letture scolastiche dei Promessi sposi, o alle davvero pregevoli opere di Carlo Cipolla, che a lungo ha scrutato tra gli archivi del Granducato di Toscana ai tempi della peste, per capire come i gruppi dirigenti, così come le popolazione da loro governate, possano finire per essere travolte; laddove la Scienza non è in grado di fornire elementi consolidati, al punto d’indicare una strada univoca, e la Politica non ha la capacità di gestire con razionalità, equanimità e misura.

Come accade per i grandi temi etici ed esistenziali, la Politica deve accettare il fatto di non essere in grado di offrire alcuna ricetta certa ed esclusiva e, dunque, assumersi il dovere di mettersi ad ascoltare. Se necessario, persino di tacere. In ogni caso, ascoltare prima di parlare e di strumentalizzare tutto e tutti.

E’ necessario che la Politica riconosca i propri limiti e trovi proprio in questo la forza per riguadagnare la centralità nella guida di fenomeni che richiamano le scienze, fisiche, mediche ed umanistiche che siano, l’analisi sociologica delle trasformazioni che intervengono nel corpo pubblico, l’individuazione di quegl’interventi inclusivi diretti al bene per i molti, soprattutto per i più fragili, senza prestarsi ad essere emanazione di interessi strumentali o di fazione.

Quanto questo riguardi i nostri politici italiani, anche singolarmente presi uno per uno, è cosa rimandata al lettore per ogni adeguata valutazione.

Giancarlo Infante