La riforma della giustizia penale funzionera’? – di Anna Maria Pitzolu

La riforma della giustizia penale funzionera’? – di Anna Maria Pitzolu

E’ tristemente noto che i tempi della giustizia italiana sono di gran lunga superiori a quelli della media europea: sette anni per avere una sentenza definitiva contro i tre anni di media degli altri Paesi europei.

L’incertezza ed il costo dei processi costituiscono uno dei fattori di rischio che incidono in misura rilevante sulla propensione agli investimenti, scoraggiandoli. Secondo il rapporto Doing Business ( CLICCA QUI )  della Banca Mondiale, l’Italia è al 122esimo posto per capacità di far rispettare i contratti, mentre gli altri paesi europei sono nelle prime 35 posizioni.

Per superare tale condizione di squilibrio il PNRR prevede che entro il 2021 siano approvate le riforme del processo penale, civile e tributario ed entro il 2022 i relativi decreti attuativi. Lo stesso PNRR destina risorse considerevoli per il raggiungimento dell’obiettivo di una giustizia efficiente, sulla quale pesa in modo considerevole l’arretrato giudiziario.

Ieri mattina sono stati approvati gli emendamenti proposti dal Ministro Cartabia al disegno di legge Bonafede A.C. 2435, inerente la riforma del processo penale.

Alcuni emendamenti di carattere tecnico possono rivelarsi efficaci per ridurre i tempi del processo e rendere più efficiente la giustizia penale, come quelli volti ad implementare l’impiego delle tecnologie informatiche anche in sede penale per il deposito di atti e notifiche, ad estendere l’ambito dei reati punibili a querela di parte, a sopprimere l’udienza preliminare. Altri emendamenti rendono necessario un commento.

Il primo è costituito dalla intenzione dichiarata di ampliare l’ambito di applicazione della legge n. 689/81, prevedendo già in sede di determinazione della sanzione applicabile, le pene sostitutive del lavoro di pubblica utilità e di alcune misure alternative alla detenzione, già attribuite alla competenza del magistrato di sorveglianza in sede di esecuzione della pena. Si tratta di uno strumento che consente al Giudice di adeguare la sanzione al caso concreto, in ossequio al principio sancito dal 3° comma dell’art. 27 Cost. secondo il quale  la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Su questo punto si potrebbe andare oltre e prevedere, come in altri Paesi, la possibilità per i Giudici di applicare sanzioni specifiche che appaiano più idonee al perseguimento della citata finalità rieducativa.

Altri emendamenti introducono strumenti di maggiore garanzia per l’imputato, come la norma sull’accesso agli atti del procedimento decorsi i termini massimi previsti per le indagini, o come l’altra fondamentale norma sui limiti di efficacia della iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato, la quale non potrà spiegare ripercussioni in ambito civile ed amministrativo, in conformità al principio di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva previsto dal secondo comma dell’art. 27 della Costituzione.

Un punto controverso della riforma appare, invece, la previsione della improcedibilità dell’appello decorsi due anni e del ricorso in Cassazione decorso un anno, presumibilmente dalla loro introduzione; termini prorogabili per i reati più gravi, rispettivamente, di un anno per l’appello e di sei mesi in Cassazione. Essa tenta di rispondere alle critiche mosse nei confronti della disposizione con la quale è stato ristretto l’ambito di applicazione dell’istituto della prescrizione, sancendone la inapplicabilità dopo la sentenza di primo grado; norma particolarmente criticata proprio in considerazione della inaccettabile durata dei procedimenti di impugnazione. Tuttavia, la fissazione per legge di limiti di durata così ristretti per i procedimenti di impugnazione non appare idonea ad eliminare le cause che ne impediscono attualmente la definizione in tempi ragionevoli, soprattutto nelle Corti di maggiore dimensione, e rischia di diventare lo strumento per assicurare l’impunità dei colpevoli più della prescrizione, la cui durata, se non altro, era collegata alla gravità del reato.

Discutibile è anche la scelta di prevedere ulteriori sconti di pena per patteggiamenti e giudizi abbreviati come strumento per rispondere all’esigenza di ridurre il carico dei processi. La riduzione dei processi, infatti, è connessa alla efficacia della azione preventiva dei reati e quest’ultima è in buona parte conseguente alla certezza della applicazione della pena, sicché la disposizione appare in contrasto con le finalità preventive dei reati.

Altro elemento di perplessità è costituito dalla possibilità, riconosciuta al Pubblico Ministero, di richiedere il rinvio a giudizio dell’indagato solo qualora gli elementi acquisiti consentano una “ragionevole previsione di condanna”.

La norma è stata introdotta per compensare la soppressione dell’udienza preliminare, che si è rivelata inefficace e defatigatoria. Tuttavia, le sue conseguenze devono essere attentamente valutate, da un lato, con riferimento all’obbligo di esercitare l’azione penale imposto al Pubblico Ministero dall’art. 112 Cost.; d’altro lato, sotto il profilo della opportunità di affidare al medesimo valutazioni personali sulle azioni da perseguire al di fuori di limiti e criteri di politica giudiziaria predeterminati, seppure con il temperamento previsto per i reati di particolare gravità che restano sottoposti al vaglio del Giudice dell’udienza preliminare.

La riforma affronta il problema di garantire l’efficace ed uniforme esercizio dell’azione penale prevedendo la fissazione per legge di criteri generali di individuazione delle priorità e la predeterminazione di progetti organizzativi delle Procure, da sottoporre all’approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura. Si tratta di strumenti nuovi da testare sul campo.

Particolarmente apprezzabile è la previsione della estinzione per adempimento delle prescrizioni amministrative, la quale risponde ad una visione nuova dei rapporti tra il cittadino e l’Autorità amministrativa, intesa a sostituire alla relazione potestativa un rapporto di condivisione, che dovrebbe essere estesa anche ad altri segmenti del processo amministrativo.

Infine, gli emendamenti prevedono la delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2012/29/UE sull’accesso alla giustizia riparativa in ogni fase del procedimento penale, nell’interesse sia della vittima, sia dell’autore del reato, i quali sono posti in condizione di partecipare attivamente, se prestano il loro consenso libero ed informato, alla risoluzione delle questioni sorte dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale. Essa mira ad un recupero della relazione umana reo/vittima, ad uno scambio positivo, ed è essenzialmente uno strumento di tutela della vittima, con riflessi apprezzabili dalla giustizia penale per la sua idoneità a favorire, a seconda dei contesti, la conciliazione processuale tra le parti e la responsabilizzazione dell’autore del reato.

Le nuove misure, seppure apprezzabili, non sembrano, tuttavia, sufficienti a risolvere il nodo cruciale della individuazione ed eliminazione delle cause che hanno determinato la stagnazione dei processi e la loro inaccettabile durata. Nei fatti, la riduzione del carico processuale è affidata ad una sorta di malcelata amnistia, mentre va affrontato il tema centrale della riorganizzazione dell’ordinamento giudiziario e degli uffici. Attendiamo le ulteriori proposte.

Anna Maria Pitzolu