Libia: la guerra vicino a casa nostra

Libia: la guerra vicino a casa nostra

The Guardian di Londra ( CLICCA QUI  ) esamina la situazione della Libia facendo riferimento a quella che definisce la “profezia” di Muammar Gheddafi profferita nell’agosto del 2011, poco prima di trovare la morte nel corso di quelle che furono chiamate con una certa enfasi le “primavere arabe”. Il padrone assoluto della Libia, che avrebbe avuto ancora solo due mesi di vita, disse: “Esiste una cospirazione per controllare il petrolio libico e controllare la terra libica, per colonizzare ancora una volta la Libia”.

Ha ragione il giornale londinese a parlare di una resa dei conti “coloniale” che sta per svolgersi proprio alle porte di quella Sirte che fu il luogo di nascita del colonnello libico? L’oggetto dello scontro, guarda caso, è proprio il controllo dell’unico tesoro che ha la Libia: il petrolio. Gli scontri armati degli ultimi tempi hanno comunque fortemente ridotto i processi estrattivi provocando gravi conseguenze all’economia del paese.

Sirte è diventata la linea del fronte di quella che è una vera e propria guerra, ad appena poche centinaia di chilometri in linea d’aria dalle coste meridionali della Sicilia.  In questa zona, circa a metà strada tra Tripoli e Bengasi, vi è la maggior parte delle riserve naturali del petrolio libico.

Da un lato, vi sono le forze dell’unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale, insediato a Tripoli sotto la guida di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj, appoggiato dalla Turchia e dal Qatar. Cioè da quello che può essere definito il fronte dei Fratelli musulmani. The Guardian ricorda anche il sostegno italiano al governo tripolino.

Dopo un lungo periodo di arretramenti, fin quasi alle porte di Tripoli, soprattutto grazie all’intervento militare turco, le forze di al-Sarrāj sono riuscite a rovesciare le sorti del conflitto e ad avvicinarsi a Sirte provocando, però, la reazione dell’Egitto che adesso minaccia, anch’esso, fuoco e fiamme per difendere l’avversario del governo tripolino, il generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar.

Quest’ultimo, ricorda The Guardian, fu un comandante agli ordini di Gheddafi, in odore di essere uomo della Cia. Dietro di lui sono schierati Emirati Arabi Uniti, Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Russia che da tempo invia ad Haftar armi di vario genere e, soprattutto, mercenari del gruppo Wagner, oltre ad  assicurargli una parte della copertura aerea. Anche la Francia sostiene Haftar.

In questo momento, calcola il giornale londinese, sarebbero schierati su entrambi i fronti circa 10 mila mercenari  impiegati finora in Siria contro il regime di Damasco. Provenienti soprattutto da Ciad, Somalia e Sudan. Quanti di loro abbiamo militato o meno in gruppi jihadisti non è dato di sapere.

Così, oggi, riscontriamo che alti sono i rischi di vedere avviare uno scontro diretto tra Turchia ed Egitto, mentre gli uomini inviati dalla Russia e dagli Emirati arabi hanno preso il controllo del più grande giacimento petrolifero libico di El Sharara, dove sono in compagnia con mercenari siriani,  e della città portuale e importante terminal petrolifero di  Es Sider, dove operano combattenti sudanesi.

Le conseguenze per l’Italia, sotto il profilo che riguarda strettamente l’approvvigionamento di greggio sono relative. Il nostro paese, infatti, dipende dal petrolio della Libia solo per il 12 %. Una parte è sempre venuta dal giacimento di El Sharara transitando dal porto di Ed Sider.

Sullo sfondo, è questo ciò che più deve preoccupare, è la possibilità che si vada incontro ad una “spartizione” della Libia e che la cosa potrebbe rivelarsi una continua fonte d’instabilità in tutta la regione. Proprio di fronte alle nostre coste.