Il contagio al Nord: qualcosa non ha funzionato. L’incombenza della storia – di Giancarlo Infante

Il contagio al Nord: qualcosa non ha funzionato. L’incombenza della storia – di Giancarlo Infante

Bene fa Enrico Seta a collegare le vicende del Coronavirus alla mancanza di un “pensiero forte” ( CLICCA QUI ).

Quello da recuperare soprattutto nel momento in cui è necessario effettuare passaggi importanti, persino definitivi, che riguardano presente e futuro di milioni di esseri umani costretti, più o meno improvvisamente, a misurarsi con la propria gracilità e con quella delle istituzioni su cui fanno conto .

A ben seguire le cronache di questi giorni ritornano alla mente le splendide pagine di Carlo M. Cipolla scritte dopo lo studio meticoloso di tante carte delle autorità fiorentine del Rinascimento e del ‘600 a seguito delle grandi pestilenze di quelle stagioni. Ne esce un agile, concreto e persino drammaticamente ironico spaccato di come si affrontasse il problema delle pandemie e la loro influenza sull’economia e le relazioni umane. Allora non esistevano laboratori di ricerca e la guerra batteriologica non costituiva, come  oggi è, la nuova frontiera della deterrenza internazionale.

Oggettivamente, il “pensiero” era pur sempre debole, così come la qualità dell’intervento a causa di mancanza di conoscenze e degli strumenti adeguati che oggi riteniamo di avere.

Tutti di Cipolla ricordano il sublime libretto, in realtà la seconda metà di un libro che si chiama “Allegro ma non troppo”, sulla stupidità umana. Meno conosciuta la sua originale serie di libri sul sistema sanitario e il controllo igienico pubblico. Se si può usare questo termine, per il tempo in cui, brancolando nel buio scientifico e sanitario, si provava a mettere in atto qualche provvedimento contro le ricorrenti epidemie. Talmente virulente da ridurre drasticamente le popolazioni, mutare l’andamento dei cicli economici e trasformare, persino, le linee dei traffici commerciali e gli equilibri tra popoli e tra nazioni.

“I pidocchi e il Granduca” , “Contro un nemico invisibile. “Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del Rinascimento”, “Miasmi ed umori”, “Il burocrate e il marinaio. La Sanità toscana e le tribolazioni degli Inglesi, nel XVII secolo” andrebbero dati in omaggio a tutte le famiglie italiane per aiutarle a riflettere sulla ciclicità di tanti fenomeni e la necessità di assumere un equilibrio adeguato tra il nostro moderno senso di potenza e le reali vicende umane, non sempre facilmente risolvibili.

Nelle ultime ore, seguendo i provvedimenti presi in Lombardia e in Veneto, ma anche in altre regioni, veniva spontaneo ripensare in particolare a  “Cristofano  e la peste” e a “ Chi ruppe i rastrelli a Monte Lupo”, altri due agili libretti in materia del Cipolla. Perché le autorità sanitarie del ‘600, ignare del fatto che la peste ed altre malattie epidemiche, come il tifo petecchiale, trovavano una linea di sviluppo nella concatenazione ratto, pulce, uomo. Inconsapevoli di questa concatenazione, non potevano che affrontare il diffondesi del morbo attraverso  la draconiana decisione di mettere in quarantena intere popolazioni. Chi sopravviveva ce la faceva, per gli altri … pace.

Così fu sia con le grandi pestilenze del 1347 e del1367- 1368, del 1528, del 1630 (raccontata dal Manzoni ne I Promessi Sposi) del 1657. Occasioni in cui  le popolazioni si riducevano persino di un terzo e gli strascichi di natura demografica, economica, sociale e psicologica erano destinati a durare anche per secoli.

Ecco perché si spiega la fama mondiale di san Rocco che  dispiegò la propria opera in Italia, di assistenza sanitaria e religiosa, in occasione della pestilenza del 1367- 1368 nel corso della quale rimase contagiato. Sopravvisse  e poté così mostrare la cicatrice che la peste bubbonica gli aveva lasciato sulla pelle, così come ci indicano tutte le immagini che lo glorificano in numerose chiese e chiesette di ogni parte d’Europa.

L’umanità, in attesa di trovare l’adeguato antitodo al Coronavirus deve oggi ridursi ad operare come fece il funzionario pubblico fiorentino Cristofano quando ebbe il suo buon daffare nel corso della diffusione della peste nel 1630 che colpì anche Prato, di cui era il Provveditore alla sanità. “Ordinerete subito che le persone della sua famiglia si serrino nella casa dove è morto, che le robbe dove è stato il malato e morto si separino dalle altre. La porta di casa per di fuori si spranghi. La famiglia del medesimo morto si alimenti dandogli i viveri per le finestre e si faccia diligenza che non possino escire di detta casa da nessun luogo”. Cristofano non poteva disporre altro.

Come Giuseppe Conte e le autorità italiane alle prese con il focolaio di Coronavirus esploso a Codogno Monzese e di là, sembra , sparsosi in tutta l’Italia del Nord a causa di un qualcosa che non ha funzionato nel contenimento di un virus portato dalla Cina da un signore che, poi, avrebbe infettato inconsapevolmente altri.

Il futuro, la ricostruzione della diffusione virale dei nostri giorni, ci dirà esattamente se ci sono altre responsabilità. A seguire le cronache dei giornali si capisce come, anche nelle regioni che si fanno giusto vanto di un sistema sanitario efficiente, si siano avvertite deficienze, sottovalutazioni, superficialità.

Dal Piemonte all’Alto Adige, è inutile girarci attorno, le cose non sono andate per il giusto verso e, forse, scopriremo pure altro, andando oltre le responsabilità delle istituzioni sanitarie e politiche.  Forse avremo la conferma che la questione del “pensiero forte” cui si riferisce Enrico Seta non riguarda solo chi ci governa e dirige vitali parti della cosa pubblica.

Al “pensiero forte” dovremmo provare ad attingere tutti noi,  anche singolarmente presi. Perché: non è possibile assistere all’assalto ai supermercati in attesa di chissà quale sciagura collettiva; è inaccettabile che una comunicazione approssimativa continui a parlare dell’uso di mascherine senza spiegare che, quelle di cui si spinge a fare incetta, sono del tutto inutili e che l’oramai introvabile Amuchina, tra l’altro oggetto di una vergognosa speculazione da parte dei rivenditori, può benissimo essere sostituita da alcol e candeggina diluita; è vergognoso che vicende come quelle del Coronavirus siano utilizzate, da una parte e dall’altra, come clava politica per colpire gli avversari.

Il Coronavirus non ha niente a che fare con la politica ed anche le critiche del nostro amico Giuseppe Sacco all’azione del Governo ( CLICCA QUI ) si riferiscono a scelte operative. Le stesse che avrebbe potuto prendere un altro esecutivo, sostenuto da altri partiti. Del resto, chi assume cariche pubbliche sa che la sua azione è oggetto di valutazione e, se necessario, di critica, In particolare, quando c’è di mezzo la salute pubblica, che non ha colore politico. Solo di un altro Giuseppe, Garibaldi, in Italia è vietato parlar male per principio.

Il futuro, dunque, ci dirà se e dove siano stati commessi degli errori. Intanto, il presente ci dice che la politica farebbe bene a leggere i libri di storia, ad ascoltare gli scienziati, a saper gestire meglio la comunicazione perché non si può assieme far preoccupare gli italiani con l’adozione di misure draconiane, in questa fase certamente doverose, ma al tempo stesso non avviare, a tutela dell’ordine pubblico, un’adeguata campagna d’informazione. Sostituendo almeno in Rai, che dovrebbe assicurare il Servizio pubblico,  gli inutili talk show  dove si parla del Coronavirus alla stessa stregua dei problemi di corna tra i cosiddetti Vip.

Queste sono le occasioni in cui scopriamo l’esigenza di un’informazione ragionata e realmente istruttiva, in grado di porre nella giusta prospettiva un problema che non può essere ignorato, ma al tempo stesso neppure esagerato, come si sta facendo in tutte le parti d’Italia.

Ciò mancando, una delle dirette conseguenze è che, dopo gli asiatici, gli italiani sono quelli guardati con maggior sospetto in giro per il mondo. Se siamo i primi noi a non spiegare e a non chiarire, infatti, cosa ci aspettiamo dagli altri che hanno le stesse paure e gli stessi nostri timori?

Questa è un’altra delle occasioni in cui si scopre quanto, a differenza di ciò che pensano molti superficiali, sia necessario ragionare andando oltre i nostri confini e lavorando in maniera multilaterale. Nessun virus può essere fermato dalla sola frontiera di alcun singolo paese.

La lezione più importante che riceviamo, anche in questo caso, checché ne dica il Presidente Trump, è la sollecitazione a rafforzare la cooperazione internazionale, a partire da quella tra i paesi europei. Il Coronavirus se ne infischia del Trattato di Schengen e del sovranismo, così come del quesito se il potere d’intervento in materia sia per un pezzo dello Stato o delle Regioni.

Così, assieme alle critiche che forse il Governo merita per la decisione di sopprimere i voli diretti con la Cina, cosa che ha allentato di molto la possibilità di controllo per tutti coloro che, per disperazione, hanno seguito rotte indirette e meno controllabili, è da apprezzare il lavoro comune immediatamente avviato tra Governo e i dirigenti delle regioni del nord, tutte in mano alla Lega. I loro governatori hanno dimostrato un’attitudine alla collaborazione che merita d’essere apprezzata. Poi il futuro ci dirà se anche loro non dovranno rivedere qualcosa.

Giancarlo Infante

Pubblicato su www.politicainsieme.com