I fascisti che non sanno di esserlo – di Domenico Galbiati

I fascisti che non sanno di esserlo – di Domenico Galbiati
Si può essere fascisti senza saperlo? Pare di sì. Almeno osservando determinati comportamenti che, fuori o dentro il furore di una campagna elettorale, sarebbero penosi, se non fossero prima ridicoli.
La tecnica del “porta a porta” è nota da tempo, per quanto oggi ampiamente trascurata. Eppure la variante “per citofono” ne rappresenta una straordinaria, raffinatissima sublimazione. Del resto, che si sappia, il militante, a maggior ragione il candidato ( almeno quando era presentabile) bussava alla porta dell’elettore e l’ultima cosa che potesse sognarsi di fare, sarebbe stato insultarlo.
Si diceva che i voti si contano e non si pesano. Oggi non basta. C’è da aggiungere un’ operazione, anche qui di una sottilissima eleganza, che non ha confronti: i voti si tirano a lucido.
In quanto a “purezza” non è solo la razza a volere la sua parte. Anche il voto. Non basta che ti votino in tanti; devi essere certo anche che certuni non ti votino proprio. E’ giusto gridarlo in piazza, ad esempio, che non vuoi i voti dei mafiosi. Ed è lì che devi dirlo: “erga omnes”.
Mica glielo puoi dire andando casa per casa: uno non ce l’ha scritto in faccia che è mafioso. Se poi ti capita che vai, a muso duro, a chiederglielo, sull’uscio di casa, ad uno che magari è mafioso davvero, c’è pure il caso che s’ incazza.
Ma con il marocchino o tunisino che sia e’ un altro paio di maniche. Ed è qui – vedi un po’ – che se non proprio la razza, almeno certi tratti somatici secondari, ma pur sempre inequivocabili, fanno la loro parte. Se uno è marocchino lo vedi subito e non è che vai a dirgli, uno per uno, che è brutto e cattivo, ma che è marocchino sì. Non lo può negare.
Glielo puoi dire che è già un bel addebito; se poi il tuo “capo pianerottolo” ti fa una soffiata, già che non ti tocca più difendere i confini del Paese, ti dai da fare per salvaguardare almeno quelli del balcone. Sono convinto – e sinceramente – che sia un errore imputare di fascismo questo o quell’esponente di destra del nostro sistema politico.
Non è così; la cosa è più complessa.
Neppure quelli che vengono dal MSI si può pensare che siano fascisti. Né nel senso “nostalgico” del termine; né in senso dottrinale. In quanto al dato immediatamente politico, per far ridere, appena fuori i confini di casa nostra, non è necessario spingersi fin lì: basta essere sovranisti.
In Europa non ci sono da temere rigurgiti da regime. Senonché, il fascismo, per quanto non possa più manifestarsi come un’escrescenza purulenta, non è neppure un malattia esantematica. E’ piuttosto – cosìlo possiamo intendere oggi – una malattia dello spirito e, in tale firma, intanto non è affatto debellato.
In secondo luogo, non è per niente detto che debba ritenersi, se mai, confinato a destra. Insomma, è fascismo – soprattutto sulle labbra di chi autorevolmente ricopre un ruolo istituzionale – un linguaggio sprezzante, irridente, arrogante che volutamente umilia, chiunque essa, la persona cui si rivolge.
E’ fascismo la volgarità dell’uomo forte che dà spettacolo- una laida rappresentazione – della sua forza.
E’ fascismo la supponenza, l’ assunzione di ridicole pose statuarie, l’ esibizione di se stessi nelle risibili firme dell’eroe di cartapesta.
Insomma, oggi i fascisti più pericolosi sono quelli che non sanno di esserlo.
Domenico Galbiati