Possiamo dimenticare Kiev? – di Domenico Galbiati

Possiamo dimenticare Kiev? – di Domenico Galbiati

L’ attacco di Hamas ad Israele dello scorso 7 ottobre ha distolto lo sguardo dell’ opinione pubblica e della stampa dalla lotta di resistenza – perché di questo si tratta e non va mai dimenticato – che il popolo ucraino combatte da quasi due anni contro l’ invasore russo. Ma soprattutto rischia di rappresentare un alibi per le stesse “cancellerie” che – come ha candidamente ammesso Giorgia Meloni, nella famosa intervista concessa ai due comici russi – lamentano la “stanchezza” di un sostegno fermo ed incondizionato a Kiev.

Ucraina e Gaza – a prescindere da ogni considerazione in ordine al dato che un conflitto abbia, se così si può dire, richiamato l’altro, nel segno o meno di una strategia pre-ordinata – sono ambedue, di fatto, funzionali al progetto di chi intende mettere alle corde l’ Occidente, impegnarlo su più fronti, indebolirlo, cercando di allargare quelle finestre di dissenso che nelle democrazie sono fisiologiche e questo in un quadro di destrutturazione delle relazioni internazionali, che valga come premessa alla costruzione di nuovi equilibri.

Non c’è, dunque, da sperare in alcun modo che Putin possa accogliere l’ invito che, nel corso del recente “G 20”, da più parti gli è stato rivolto perché si ritiri dalle provincie occupate del Donbass, ammesso che la sua declamata aspirazione alla pace abbia un qualche fondamento di sincerità.

Per un verso, infatti, per il leader del Cremlino la guerra in Ucraina è la spina irritativa che, conficcata nel fianco degli equilibri internazionali, come si sono via via riordinati dopo l’ ‘89 del secolo scorso, gli consente di giocare, a costo di dissanguare giorno per giorno le sue più giovani generazioni, un ruolo da protagonista sul piano mondiale che difficilmente gli sarebbe riconosciuto altrimenti. Per altro verso, anche in relazione alle vicende interne della Federazione Russa, la guerra senza quartiere è diventata la modalità di governo, forse l’unica, in ogni caso la più congeniale al momento, che a Putin sia concessa.

Non a caso, a dispetto dei tanti corifei che vanta in Occidente ed anche in casa nostra, non ha mai mostrato alcuna reale disponibilità ad una qualunque forma di trattativa diplomatica. In altri termini, per il Cremlino la guerra è diventata uno stato di necessità e questo interroga a fondo l’intero Occidente e l’ Europa in modo particolare.
E’ possibile incamminarsi verso nuovi equilibri, qualunque cosa possano essere in una prospettiva multipolare, prendendo le mosse da un conflitto e dall’ aggressione ad un Stato sovrano di cui si è invaso militarmente il territorio, in spregio alle più elementari norme del diritto internazionale? Cioè accedendo alle pretese espansionistiche del Cremlino? Ed è possibile aspirare ad una più avanzata autorevolezza nel quadro dell’ Alleanza Atlantica senza sostenere oneri relativi alla difesa militare dei propri territori, impegno che, di fatto, oggi concerne anche il sostegno da garantire a Kiev?

Possiamo dimenticare Kiev? Le democrazie possono, pur di assecondare l’ accondiscendenza di comodo di talune correnti di opinione nei confronti dell’aggressore, venir meno alla fermezza necessaria a difendere la libertà ed il diritto dei popoli? Ci sono ancora, anche sul piano dei rapporti internazionali, valori e principi da mantenere fermi e per i quali valga la pena di pagare un prezzo, oppure tutto è fungibile sul piano di interessi economici da rivendicare nel breve momento?

Domenico Galbiati